COPERTINA
Dal 30 maggio al 9 giugno 2024 la Cinémathèque Française ha dedicato una retrospettiva completa al cinema di Valerio Zurlini. Questa bande-annonce, montata con alcune scene significative del suo stile narrativo, è il tributo della più autorevole istituzione mondiale al cinema di uno tra i più originali autori italiani che non ha ancora ricevuto il riconoscimento che merita: Valerio Zurlini. Forse è successo per il suo stile e la sua poetica assolutamente personali e non assimilabili ad alcun movimento o tendenza della grande stagione del cinema italiano. Una sorta di Nick Cassavetes italiano, senza, però, la fama che arride tutt'oggi, giustamente, al maestro del cinema indi americano anche lui come Zurlini scomparso prematuramente della stessa malattia.
Buon giorno, buon inizio settimana e buon Ferragosto.
Mantenendo un ritmo di due film alla settimana per questo scorcio d’estate desidero proporvi 10 film di due autori, distanti tra loro anche anagraficamente, ma indubbiamente tra i più ispirati e originali della loro generazione.
Da una parte abbiamo il cinema intimista, malinconico e unico del nostro Valerio Zurlini (1926-1982) e, dall’altra, l’estetica sperimentale e le tematiche modernissime del parigino Olivier Assayas (1955).
A entrambi i registi la Cinémathèque Francaise ha dedicato nel 2024 una retrospettiva completa, un riconoscimento importante soprattutto per il nostro Zurlini sul quale è sceso l’indegno oblio del tempo.
L’oblio del tempo
Iniziamo proprio con Valerio Zurlini. Dicevamo appunto dell’oblio del tempo: la nostra benemerita Rai sul suo servizio di streaming, RaiPlay, offre un solo film degli otto diretti da Zurlini, il primo “Le ragazze di San Frediano”.
Non c’è neppure un film strepitoso come “La ragazza con la valigia” con Claudia Cardinale, al culmine del suo fascino e delle sue doti attoriali nel ruolo di Aida, affiancata da un altrettanto straordinario Jacques Perrin.
“Ho detto no”, dice Aida a Romolo, Riccardo Garrone, che si fa oltre modo insistente sulla spiaggia di Riccione. Sembra il prequel del #MeToo. E siamo nel 1961. Zurlini è un regista molto attento alla presa di coscienza delle donne.
Lo spleen lirico di Zurlini
Gli otto film malinconici e distaccati di Zurlini, realizzati in 20 anni di carriera e non adeguatamente riconosciuti, “sono tra i più alti nella storia del cinema italiano”, come osserva il critico francese Jean-Christophe Ferrari.
Zurlini è stato anche un documentarista d’eccezione. Lui stesso, della dozzina di corti che ha realizzato dal 1949 al 1963, ne ricorda tre in particolare “Pugilatori” 1951, “La stazione” e “Il mercato delle facce”, entrambi del 1952.
Solo un regista come Zurlini poteva avere lo stomaco di portare sullo schermo il senso di trascendente attesa del romanzo “Il deserto dei Tartari”, quella struggente e pervasiva ansia per un evento che non si verificherà mai.
I personaggi nell’universo del regista bolognese, prematuramente scomparso a soli 56 anni con tanti progetti nel cassetto, trovano rifugio nella solitudine e nella separazione al cospetto di un mondo prosaico e indifferente.
Fuggono in non-luoghi, siano essi spazi fisici come le spiagge della Romagna di “Estate violenta” o “La donna con la valigia” o territori interiori come quelli lunari di “Cronaca familiare” e “La prima notte di quiete”.
Morandi e Rosai
Questo spleen che vibra nei paesaggi e nei personaggi è reso da Zurlini in modo quasi-pittorico. Il regista, studioso d’arte, frequentò numerosi pittori come Morandi e Balthus, sui cui lavori scrisse saggi intensi e penetranti.
Le affinità estetiche, tematiche e di significato del cinema di Zurlini con le pitture di Giorgio Morandi sono notevoli. Entrambi bolognesi sembrano dei fuoriusciti dall’immagine di una Bologna crassa ed estroversa (NYT).
In effetti le palette tenui, malinconiche, sobrie e intime del pittore bolognese sono rintracciabili nelle atmosfere soffuse e fredde, spesso venate di claustrofobia, dei migliori film di Zurlini.
Un altro artista che ha avuto una influenza importante su Zurlini, per sua stessa ammissione, è Ottone Rosai, capace di rappresentare la vita quotidiana della Firenze popolare, altra città speciale per Zurlini, con tratti netti e potenti.
In una intervista del 1966 (disponibile su YouTube) è stato chiesto a Zurlini quale autore cinematografico sentisse più vicino. E lui ha risposto Robert Bresson. Un regista che definiva “pittorico” il suo lavoro.
Ecco i 5 film veramente indispensabili. Ma anche gli altri 3 che non sono nella lista meritano la visione. Le schede dei film sono rielaborate da quelle preparate dall’équipe della Cinémathèque Française per la retrospettiva della scorsa primavera.
Estate violenta
Italia-Francia/ 1959 / 100 min
regia di Valerio Zurlini
sceneggiatura di Valerio Zurlini, Suso Cecchi D’Amico, Giorgio Prosperi
con Eleonora Rossi Drago, Jean-Louis Trintignant, Jacqueline Sassard, Lilla Brignone
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Estate 1943. Sulla riviera romagnola, mentre i cannoni tuonano in lontananza, la gioventù dorata di Riccione cerca rifugio nel divertimento. Tra bagni di folla e notti insonni, Carlo, figlio di un gerarca fascista, e Roberta, una vedova di guerra, entrano in una relazione passionale e proibita in un mondo sull’orlo del baratro.
Zurlini, con la perizia di un pittore, dipinge questa intensa storia d’amore sullo sfondo di una società fosca. Il bianco e nero, elegante e netto, sottolinea la bellezza fragile di questo idillio estivo destinato a infrangersi. La incombente caduta di Mussolini segna la fine di un’epoca e getta un’ombra sinistra sulle speranze dei protagonisti.
Attraverso gli occhi di Carlo e Roberta, Zurlini ci offre un ritratto amaro e lucido di un’Italia che si divide tra l’illusione di un passato al tramonto e l’angoscia di un futuro incerto. L’amore, potente e impossibile, diventa il motore di questa tragedia privata che si intreccia con la grande storia. Il finale, gelido e disperato, ci lascia con un senso di profonda malinconia. Trasmette il senso della fragilità dell’esistenza umana e dell’impossibilità della felicità. Quasi-leopardiano e non siamo distanti da Recanati.
La ragazza con la valigia
Italia-Francia/ 1961 / 121 min
regia di Valerio Zurlini
sceneggiatura di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Giuseppe Patroni Griffi, Valerio Zurlini
con Claudia Cardinale, Jacques Perrin, Corrado Pani, Gian Maria Volonté, Romolo Valli
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Abbandonata dal suo amante, Aida, una cantante in difficoltà, trova rifugio nell’affetto protettivo di un adolescente di buona famiglia. In “La ragazza con la valigia”, Valerio Zurlini riprende un tema caro alla sua cinematografia, quello del rapporto tra generazioni e delle disuguaglianze sociali, già esplorato in Estate violenta. Il regista ci immerge in una storia di amore, desiderio e disillusioni, ambientata in una cornice estiva e solare che cela una malinconia profonda.
Il duo Perrin-Cardinale, con la sua chimica magnetica, conferisce all’opera un’eleganza struggente. I due interpreti incarnano i tormenti e le speranze dei loro personaggi. La loro storia d’amore, tormentata e impossibile, diventa il fulcro di un racconto che va oltre il mero melodramma, toccando corde profonde e universali. Le immagini, illuminate dal sole della Riviera, contrappuntano la dolcezza dell’amore con l’amaro sapore della delusione. Zurlini, con la sua perizia visiva, crea un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà, in cui il bello e il brutto si intrecciano in un gioco di chiaroscuri. “La ragazza con la valigia” è un’opera che ha segnato un’epoca, diventando un punto di riferimento per il cinema italiano e internazionale.
Cronaca familiare
Italia / 1962 / 113 min
regia di Valerio Zurlini
tratto dal romanzo Cronaca familiare di Vasco Pratolini
con Marcello Mastroianni, Jacques Perrin, Sylvie, Salvo Randone, Valeria Ciangottini
Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia
DVD
Roma, 1945. Enrico riceve una telefonata che lo informa della morte del fratello minore, Lorenzo. Questa notizia lo spinge a ripensare il loro lungo e difficile rapporto, segnato da segreti, risentimenti e incomprensioni. Cresciuti in contesti diversi, Enrico viene allevato a Firenze dalla nonna povera ma affettuosa, mentre Lorenzo, è allevato a Roma come un vero gentiluomo da un ricco aristocratico.
Riuniti a Firenze negli anni trenta, Enrico, sempre ossessionato da un senso di colpevole responsabilità, mantiene il viziato Lorenzo, amandolo e odiandolo allo stesso tempo. La strana e fatale malattia di Lorenzo farà emergere in Enrico tutto il profondo attaccamento e amore per il fratello morente. Mastroianni raggiunge uno dei culmini della sua carriera, offrendo un’interpretazione straordinaria in un’opera struggente, tratta dal romanzo autobiografico di Vasco Pratolini, e giustamente premiata con il Leone d’oro al Festival di Venezia.
Le soldatesse
Italia-Francia-RFT-Jugoslavia / 1965 / 120 min
regia di Valerio Zurlini
tratto dal romanzo Le soldatesse di Ugo Pirro
con Tomas Milian, Anna Karina, Lea Massari, Marie Laforêt
DVD
In un’Europa martoriata dalla Seconda guerra mondiale, un treno attraversa il continente, trasportando un carico di vite spezzate: un gruppo di donne greche, destinate ai bordelli dell’esercito italiano.
Basato sul racconto dello scrittore e sceneggiatore premio Nobel Ugo Pirro, il film ci immerge in un inferno di sofferenza e degrado, dove le donne, spogliate della loro dignità, diventano oggetti. Attraverso le storie di queste vittime innocenti, il regista denuncia con forza l’orrore della tratta e lo sfruttamento sessuale, strumenti di potere utilizzati anche per sottomettere e umiliare.
Il destino di queste donne diviene lo specchio di una società corrotta e violenta, dove la guerra ha cancellato ogni tratto di umanità, sollevando così interrogativi sulla responsabilità individuale e collettiva di tale brutale stato di cose. Il film mette in luce anche quella brutta pagina di storia patria costituita dall’occupazione italiana della Grecia punteggiata dalle violenze delle camicie nere. Il film più politico di Zurlini influenzato sia dalla sua spiritualità cattolica che dal suo comunismo umanista e decisamente orripilato dalle imprese del fascismo e del colonialismo italiano.
La prima notte di quiete
Francia-Italia / 1972 / 127 min
regia di Valerio Zurlini
sceneggiatura di Enrico Medioli e Valerio Zurlini
con Alain Delon, Lea Massari, Sonia Petrovna
Prime video, Apple TV, a noleggio
Ispirato a un verso di Goethe, “La prima notte di quiete” si presenta come una riflessione sull’esistenza umana. Ambientato nella malinconica e nebbiosa costa adriatica in inverno, il film ci introduce in un mondo sospeso tra sogno e realtà, dove un professore di lettere, ben interpretato da Alain Delon, si trova a fronteggiare una profonda crisi esistenziale.
Il protagonista, un intellettuale tormentato, incarna la figura dell’uomo moderno alla ricerca di un senso in un mondo che sembra aver perso ogni certezza. La sua relazione con una giovane studentessa, enigmatica e affascinante, innesca in lui una serie di eventi che lo porteranno a mettere in discussione i propri valori e le proprie convinzioni.
La versione per il mercato francese fu preparata in modo notevolmente diversa da quella italiana anche nel titolo, “Le Professeur”. Alain Delon, co-produttore del film, impose numerosi tagli e modifiche. Anni dopo, lo stesso Delon si rammaricò di questo intervento, riconoscendo che il film è tra i più intensi e significativi della sua lunga carriera.
Il deserto dei Tartari
Francia-Italia-RFT-Iran / 1976 / 140 min
regia di Valerio Zurlini
tratto dal romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati.
con Vittorio Gassman, Jacques Perrin, Philippe Noiret
2 David di Donatello (Miglior film e Miglior regia) e 1 Nastro d’argento
CG TV, a noleggio
Agli albori del Novecento, ai confini di un impero sull’orlo del collasso, un giovane ufficiale viene destinato a una fortezza isolata, immersa nell’infinito deserto dei Tartari. In questo limbo, tra le dune infuocate e il cielo immenso, il tempo si dilata e l’attesa di un nemico invisibile diventa un’ossessione. Zurlini ha la capacità di trasformare il romanzo di Dino Buzzati in un’opera lirica e introspettiva, dove il paesaggio aspro e inospitale diventa lo specchio dell’animo umano.
L’attesa, in questo labirinto di sabbia e di silenzi, si trasforma in una metafora esistenziale. Il tenente Drogo, protagonista tormentato, è lo specchio della condizione dell’uomo moderno, alla ricerca di un senso in un mondo che sembra privo di certezze. La fortezza, luogo di confine tra la vita e la morte, è il palcoscenico di un dramma interiore, dove il protagonista si confronta con la propria finitezza e con l’assurdità dell’esistenza.
La fotografia, con i suoi colori caldi e intensi, marca la bellezza malinconica di un paesaggio che affascina e terrorizza al tempo stesso. “Il deserto dei Tartari” non è solo uno ambiente, ma un personaggio a sé stante, che incide profondamente sulla psicologia dei personaggi e sulla loro percezione del tempo.