
Buongiorno e buon inizio settimana. Oggi scendiamo rispettosamente nelle attività quotidiane di molte persone con un punto di vista che molti potranno non condividere.
Il pendolarismo giova
Innanzitutto, consentitemi (bella parola evocativa) di parodiare un famoso passo scritto da Stanley Weiser per un altrettanto famoso film di Oliver Stone del 1987 (su Disney+):
Il pendolarismo, non trovo una parola migliore, è giusto, il pendolarismo funziona, il pendolarismo chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello stare insieme… Il pendolarismo, ascoltatemi, non solo salverà le città e il mondo del lavoro, ma anche un’altra disfunzione della società che si chiama democrazia.
Vi anticipo subito come la penso e penso anche di poter parlare del pendolarismo in quanto “pendolo” da 40 anni.
Il pendolarismo che non giova
Salire in auto nel garage di casa e scendere in quello dell’ufficio, non è pendolare, è puro “emissionismo” carbonico. Allora, meglio lavorare a casa, al tavolo di cucina.
Quel circuito da garage a garage è deprecabile e merita di sparire. Se c’è una Tesla di mezzo se ne può riparlare (ma non ditelo al sidolizzatore).
Anche senza essere un seguace di Greta, è facile rendersi conto di quanto sia pestilenziale l’aria delle nostre città, anche di quelle piccole, come quella in cui vivo io.
Ciò premesso, abbiamo un problema difficilmente risolvibile, una specie di congettura di Riemann: la gente non vuol tornare in ufficio, dà le dimissioni e, se decide di restare al lavoro, diventa “quite quitters”, cioè una gatta morta del minimo sindacale (che a scuola si sarebbe chiamato “lavoro stagionale”, prima dei compiti in classe…)
In ufficio? No, per favore
È successo che la pandemia ha fatto repentinamente affiorare una sensazione annidatasi da tempo nelle menti dei lavoratori 09°°-17°°: il lavoro, almeno nelle sue forme storicamente consolidate, come fardello esistenziale.
E sul modo di lavorare è caduto il meteorite della pandemia, che lo ha reso preistorico, quasi estinto in mezzo a molte macerie, come avvenne quando ne cascò uno sui dinosauri.
Oggi la realtà del lavoro assomiglia un po’ alla Varsavia che, nel ’45, apparve agli occhi stralunati di Adrien Brody che, nel desolato finale del film triplice premio Oscar e Palma d’oro, Il pianista, di Roman Polanski (a noleggio su YouTube e AppleTV), pensava di ritrovare casa di ritorno dall’inferno e trovò solo rovine annerite che spuntavano dal candore della neve immacolata.
Un panorama simile a quello di Varsavia 1945 si può ammirare rispettivamente a Grozny nel 1999 e ad Aleppo nel 2016: le nature morte di Putin.
La gente non vuol proprio saperne di tornare in ufficio. La statistica di cui sotto (fonte: “Financial Times”) rileva il tasso utilizzo degli uffici in alcune grandi città.
Non è a suo modo drammatica? Nonostante una crescita del tasso di utilizzo degli uffici del 59% rispetto all’inizio della pandemia (a Pechino, oltre il 90%), in città vetrina come Londra, New York e San Francisco si è sotto la metà e, nella città californiana, addirittura appena sopra il 35%.
Gli stracci della Apple
Ne sa qualcosa Apple, società che è tra i luoghi di lavoro più ambiti della Via Lattea. Quando le HR della mela morsicata hanno cercato di riportare in ufficio i dipendenti almeno per tre giorni alla settimana sono volati gli stracci.
Leggete la lettera anonima (in traduzione italiana) inviata da oltre 3mila dipendenti alla direzione della Apple.
A quel punto, anche per non aprire il vaso di Pandora dal quale sarebbero schizzati fuori i sindacati, Tim Cook ha deciso di sigillare tutto. Per ora non se ne parla più. Si va avanti con il lavoro a domicilio.
Una decisione presa a malincuore perché quando a Steve Jobs fu chiesto come era nato l’iPhone lui rispose «ci siamo chiusi in una stanza e l’abbiamo fatto». Come sarebbe potuto succedere con Zoom?
La corporate America, e non solo quella, non riesce a riportare la gente negli uffici e inizia, come è accaduto a Elon Musk, a innervosirsi. Non bastano neppure piscina, palestra, yoga, birra gratis, biliardino o ping pong (l’abbiamo chiesto al nostro co-working: il biliardino lo abbiamo già), stimoli motivazionali un tempo appannaggio solo dei dipendenti Google. Di questa roba un tempo ambita, oggi non frega più niente a nessuno.
Tempo sprecato
Una delle ragioni principali per le quali in America il 75% degli addetti non vuol tornare in ufficio è che aborre prendere un mezzo per andare al lavoro. Perfino tre giorni sembrano insopportabili.
Il traffico delle ore di punta, i treni sovraffollati, gli scioperi dei trasporti (come quelli recenti della metropolitana di Londra), il crescente costo degli abbonamenti, la spinta verde per ridurre le emissioni di anidride carbonica sono tutti validi argomenti per opporsi a spostamenti ritenuti evitabili grazie a quanto appreso durante la pandemia
La si metta come si vuole, però, qualche volta in ufficio bisogna pur andarci, sempre che questo esista ancora. Ci si può andare a piedi, in bici, con la Vespa, con il monopattino con un autobus o con la metro o, al limite, con un’auto elettrica o ibrida o con un mezzo a di car-pooling, tipo mini van.
Il fatto stesso di andarci, sostiene il curatore di Bartleby, una rubrica di “The Economist” che copre il mondo del lavoro, potrebbe essere utile e anche appagante. Per lui lo è: si reca tre volte la settimana nella sede di Londra del magazine che si affaccia sul Victoria Embarkment. Un bel posto, senz’altro migliore di Calenzano.
… o tempo guadagnato?
E se invece il “commuting” fosse tempo, magari percettivamente sottratto, ma di fatto guadagnato? Innanzitutto percorrere il tragitto casa-ufficio comporta un’attività fisica. A passo svelto si può aggiungere, secondo studi recentissimi, qualche buon annetto alla propria aspettativa di vita. Si tratta di attività marginali, cumulabili a quelle più sistematiche e ad esse (quasi) sostituibili.
La bicicletta poi, anche per spostamenti brevi, dà enormi benefici. Treni e bus offrono spazi per accoglierla senza urtare nessuno. Purtroppo, l’accidentalità della bicicletta è ancora elevata. Ma ci stiamo organizzando.
Nelle nostre città e anche nelle campagne ci saranno sempre più spazi per la mobilità non carbonica. Il mio amico Jordi Bosch, ne progetta moltissimi per amministrazioni di qualsiasi taglio ideologico che abbiano a cuore l’aria buona e la ossa dei ciclisti. Votiamole, Santo Dio!
Gli orari flessibili: c’è sempre l’opzione del prossimo treno. Non dovremo prendere per forza il Darjeeling Limited (Leoncino d’Oro 2007 a Venezia, ora su Disney+). Nessuno ti metterà una nota di demerito. Basta avere la creanza di avvertire. Non manca certo l’app per farlo!
Alvar Aalto
Il maestro del modernismo diceva che per essere felici, produttivi e creativi sul lavoro al mattino di buon’ora occorre attraversare un bosco. Lui in Finlandia ne aveva molti; noi, nei nostri conglomerati urbani… Lasciamo perdere. Però, studiando bene l’itinerario, allungandolo un po’, si trova sempre un parco, un giardino. Percorriamolo allora!
Alexandra Alter, book critic del “New York Times”, alla domanda di come riuscisse a leggere così tanti libri, ha risposto che li ascolta sull’iPhone mentre va e viene da casa alla redazione del giornale o agli altri appuntamenti. Ha quasi raddoppiato le pagine lette in una giornata. Certo, poteva farlo anche dal divano di casa mettendo su qualche etto.
L’incontro
Pendolando, ci si può imbattere in una persona, un’idea o una situazione. Il viaggio porta fuori dalla placide zone di comfort; costringe a confrontarsi con la realtà (a volte è terapeutico), a connettersi con il mondo, al di là di Zoom o dei pupazzoni di Meta.
In Innamorarsi (a noleggio su Prime Video e AppleTV) Meryl Streep e Robert De Niro si incontrano e si innamorano nello scompartimento di un treno che ogni giorno prendono sempre più volentieri.
In Shall We Dance (su Prime Video), Richard Gere decide di uscire dalla routine vedendo tutti i giorni dal finestrino del treno, che corre sulla sopraelevata di Chicago, la sala di una scuola di ballo con una imperiosa Jennifer Lopez. Come si fa a non iscriversi a quella scuola?
Vera Farmiga e Liam Neeson vivono un’avventura da brivido su un treno di pendolari sul quale sta per succedere qualcosa di imprevisto e purtroppo nefasto in L’uomo sul treno - The Commuter (su Netflix).
«Un tragitto giornaliero comporta sì delle noie, ma anche delle possibilità», scrive correttamente “The Economist”.
L’essenza del pendolarismo
Essenza del pendolarismo è il trasporto pubblico, dice sempre più correttamente “The Economist”. Scrive il magazine di Londra:
Il trasporto pubblico rimane il modo più democratico di andare al lavoro. In qualità di presidente della Federal Reserve dal 1979 al 1987, Paul Volcker viaggiava in classe economica sulla navetta da New York a Washington e prendeva l’autobus in entrambe le città. Come funzionario pubblico era l’emblema del dovere civico. Infatti il banchiere centrale era noto per la sua disciplina finanziaria negli affari personali, oltre che nella politica monetaria. In un’epoca, come la sua a anche come la nostra — in cui “l’avidità era giusta” (Gordon Gekko, vedi sopra) insieme alle limousine, agli elicotteri e ai jet privati e all’essere yuppie — il “custode del denaro della nazione” inviava a tutti un forte messaggio di frugalità. Nel momento in cui le aziende e i lavoratori che si preparano a una recessione stringono la cinghia, l’esempio di Volcker sembra particolarmente attuale.
Allora, il pendolarismo fa bene forse anche alla nostre democrazie sempre più in bilico.
Prima di andare
Lo Steve Jobs Archive. A 11 anni dalla scomparsa di Steve Jobs (11 ottobre 2011), la moglie Laurene Powell Jobs, con il sostegno di Tim Cook e Jony Ive, ha lanciato lo Steve Jobs Archive. L’archivio si propone di costruire progetti, bandire borse di studio, promuovere raccolte di documenti e partnership che riflettano i valori e la visione di Steve Jobs. Si può continuare a essere informati, lasciando la propria email qui. Io l’ho fatto.
Tassa sul meteorismo. Il governo neozelandese guidato da Jacinda Ardern ha deciso di introdurre una tassa sulle emissioni di metano dei bovini di allevamento (la cosiddetta Fart Tax) suscitando una furiosa alzata di scudi da parte degli allevatori. In Nuova Zelanda ci sono due bovini e cinque pecore per ogni abitante.
Il miliardo di bovini che sono negli allevamenti del pianeta generano, secondo alcune organizzazioni ambientali, una quantità di inquinamento paragonabile a quello delle auto in circolazione. Non si potrebbe usare questo metano al posto del gas russo?
L’ultima parola al sidolizzatore: “Ho pendolato” anch’io: ricordo freddo e caldo eccessivi, scomode tradotte, in piedi, appoggiato, appeso, scosso, ciondoloni, sedili stretti, occupati, scompartimenti angusti, soffocanti, fragore, afrori, …40 anni dopo, all’improvviso, i bus: “soffici”, silenziosi, invitanti, “allacciate le cinture di sicurezza”, vi ho letto vari libri… Ma il ricordo va alle corse in ufficio in 4 o 5 o più con la station wagon o (molto meglio) col Mini Van, con la routine di portare i bimbi a scuola e l’imprevisto di cenare fuori se sorpresi dalle tempeste di neve (è capitato di tutto: è la happiness, il caso, baby…). Lavorare al tavolo di cucina? No, grazie. Nell’industria di mio figlio avevano preso a lavorare dalle Canarie e dalle Maldive – hanno subito tirato il freno a mano!
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