di ADA ASCARI

Torniamo a metà settimana con un contributo di Ada Ascari su uno dei mestieri più antichi, più distanti dalla ribalta e, se volete, ingrati: quello dello scrivere per altri. Eppure nella sua essenza è qualcosa di bellissimo e di difficilissimo: ci vuole empatia, tecnica, abilità, conoscenza, umiltà e motivazione. Ma quanto sono difficili queste cose tutte insieme! E per essere uno scrivano bisogna anche essere un poco speciali come il Bartebly di Hermann Melville o il Fiorentino di Gabriel García Márquez.
Ada vi spiegherà perché. Annotatevi anche i libri che menziona.
Parliamo di ghost writers
Da quando mi occupo di scrittura autobiografica sono anche una accanita lettrice di autobiografie, Non solo mi faccio coinvolgere dalle scritture di chi partecipa ai miei laboratori, ma mi piace anche leggere autobiografie di personaggi famosi che raccontano la loro vita in libri che – a seconda della fama – vendono migliaia di copie.
Non ho mai avuto dubbi sul fatto che non erano certo i vari Totti, Ancellotti ecc. a scriverli. Non ce li vedevo proprio chini su un computer a raccontare personalmente la loro storia. Infatti non erano loro! Si erano semplicemente avvalsi di un ghost writer, una persona che li ha scritti per loro.
Fino a poco tempo fa questi scrivani rimanevano sconosciuti e i libri venivano messi in vendita solo con nome del personaggio noto come autore. Da un po’ di tempo però ho notato che spesso compare accanto al nome della persona che racconta quella di un altro, spesso un giornalista, qualcuno che si accolla l’onere di raccogliere le confidenze della celebrità e metterle in bella copia.
Ma andiamo con ordine
Gli scrittori fantasma sono sempre esistiti, nell’antico Egitto erano gli scribi che formando una vera e propria casta redigevano le scritture nella forma di geroglifici. Scrivere non era di tutti e quindi lo scriba era un personaggio potente e rispettato con ruoli ben precisi nella società egiziana. Di uno di loro ci è rimasto un ritratto sotto forma di statuetta di terracotta conservata al Louvre di Parigi.
Col passare del tempo non è che la popolazione e anche chi governava aumentasse le proprie capacità di scrittura per cui anche in epoca romana esistevano schiavi, generalmente greci, che avevano il compito di compilare documenti e scrivere sotto dettatura. Non tutti erano Cesare che si scriveva da solo il De bello gallico, ma chi lo sa… magari anche lui dettava come ipotizza Sergio De Santis nel libro Lo scrivano di Cesare.
Nel trascorrere dei secoli, la poca cultura delle popolazioni delegava ai monaci e ai religiosi la cura dei testi antichi, insomma la scrittura era appannaggio di pochi, e anche i grandi statisti spesso erano dei grandi ignoranti in questo senso.
La situazione in Italia
In Italia fino alla diffusione della scuola per tutti con la riunificazione del Regno d’Italia la situazione era pressoché tragica, la scrittura era appannaggio di pochi intellettuali che vivevano soprattuto in città, le campagne ancora erano popolate da grandi masse di analfabeti che non sentivano neppure la necessità di imparare a leggere e scrivere. Nel sud Italia si toccavano punte di analfabetismo tra il 90 e il 91% della popolazione, dunque la quasi totalità.
Con il passaggio alla gestione statale delle scuole e poi con la progressiva estensione dell’obbligo scolastico fino ai 16 anni, la situazione è notevolmente migliorata, la percentuale di analfabeti è progressivamente diminuita, ma solo dopo la prima guerra mondiale ha accelerato la decrescita. Nel 1920 erano il 35% sempre però con una incidenza maggiore nel mezzogiorno.
Lo scrivano
Con una simile situazione era ancora necessaria una figura che facesse da tramite tra chi voleva comunicare con qualcuno lontano e chi riceveva la comunicazione.
Sempre nel meridione sono diventate popolari le figure degli scrivani a cui si dettavano le lettere da inviare ai parenti lontani. Con il tavolino piazzato sulla strada davanti alla porta di casa che per poche lire scriveva le lettere a chi ne aveva bisogno. Era già cominciato l’esodo migratorio e le persone avevano bisogno di comunicare con i parenti emigrati oltre oceano o anche semplicemente al nord.
La collezione Alinari conserva alcune fotografie che documentano questo antico mestiere.
Suggerisco una scena esilarante di un film Totò Peppino e la Malafemmina (film su YouTube) in cui c’è la dettatura di una lettera a un improbabile scrivano.
Gli scrivani erano e restavano però anche coloro che specialmente nei tribunali si occupavano di redigere gli atti in bella calligrafia e tutto quello che poteva produrre l’amministrazione, sia pubblica che privata.
L’importanza riservata alla stesura delle lettere ufficiali è testimoniata dall’altissimo profilo culturale delle personalità chiamate a dirigere le cancellerie.
Preferirei di no!
Famosissimo il racconto di Herman Melville Bartleby, lo scrivano in cui la frase ricorrente “preferirei di no” pronunciata nella più olimpica passività, trascina i protagonisti in un vortice di situazioni assurde e imprevedibili. Il racconto è reperibile a scaricabile gratuitamente in pdf dal web. Si può ascoltare anche l’audiolibro letto da Elia Schilton per “Ad Alta Voce” di Radio 3.
Le raccolte di storie di vita
Purtroppo però, pur aumentando, col passare degli anni, le persone che sanno leggere e scrivere, sempre di più aumentano coloro che si allontanano progressivamente dalla scrittura producendo quello che si chiama analfabetismo di ritorno.
La società è apparentemente più alfabetizzata, ma sempre di più viene a mancare la capacità di esprimersi con la scrittura. La scuola non aiuta, anzi a volte inibisce la spontaneità a favore di una lingua letteraria e un po’ ingessata.
Per questo negli ultimi anni dello scorso secolo sono nati progetti volti a raccogliere le storie delle persone anziane per non disperdere il patrimonio culturale che loro non riescono a trasmettere.
La scrittura, paradossalmente, oggi è diventata una pratica alla portata di tutti, si scrive molto di più: social, messaggi ed email, ma è sparita, la capacità di strutturare una storia, anche la propria.
Nei laboratori autobiografici si cerca di portare fuori le capacità di scrittura di ciascuno, stimolando i ricordi e prediligendo la spontaneità e la sincerità.
L’avvento dei ghost writer
Nonostante tutto ancora esistono gli scrivani che adesso si chiamano, come ho detto all’inizio, ghost writer. Sono professionisti della scrittura che si mettono al servizio di chi non sa o non può mettersi a scrivere, ma ha qualcosa da raccontare.
Una curiosità… nei paesi francofoni la stessa figura si chiama “negre pur inconnus”, una definizione molto poco gentile! Forse retaggio coloniale?
Purtroppo molto spesso si tratta di scrittori improvvisati, o giornalisti reclutati dalle case editrici che vogliono sfruttare la fama di qualche personaggio ma che per mancanza di tempo o per superficialità si fermano all’evidente senza approfondire ciò che sta alla base di una vita vissuta.
Scrivere e scrivere bene sono due cose molto diverse.
Naturalmente esistono anche le accezioni, la più bella autobiografia che io abbia mai letto è quella di Andre Agassi Open raccolta da J. R. Moehringer. Open è stato scritto come se Agassi si fosse seduto davanti ad un analista a cui ha raccontato per ben due anni la propria vita, le proprie emozioni, dolori e successi.
La bravura premiata con il premio Pulitzer Moehringer ha fatto il resto. Un libro che si legge tutto di un fiato nonostante le 500 pagine e che fa entrare nella fatica e nel dolore di uno sport che sembra invece facile e divertente.
Purtroppo tutte le altre autobiografie che ho letto, firmate nominalmente dal protagonista della storia, non hanno lo stesso spessore.
Il mestiere del ghost writer
Fare il ghost writer è un mestiere difficile, si deve entrare nella mente e nella storia di chi si racconta mettendosi da parte per entrare nel mondo, nelle idee, nello stile della persona da raccontare e deve farli propri: deve vestire altri panni e usare una voce non sua, affinché il testo, pur fatto da lui, sembri fatto da chi ha commissionato il lavoro…
Se si scrive un’autobiografia, non basta raccontare la vita in ordine cronologico, ma è importante saper trovare le parole giuste per dare vita ai pensieri, esprimere emozioni e comunicarle agli altri.
Per farlo ci vuole tempo e pazienza, magari non i due anni che ci sono voluti a Moehringer per scrivere l’autobiografia di Agassi, ma comunque molto tempo e pazienza.
Occorre registrare le parole, trovare le domande adatte a far emergere i nodi di una vita, e poi ricomporre tutto in forma organica e piacevole alla lettura.
Per niente scontato considerando anche il fatto che il nome del ghost writer non verrà mai rivelato e tutti i meriti andranno a chi compare come autore ufficiale.
Io stessa ho raccolto spesso storie di persone che volevano raccontare la propria vita e vi assicuro non è per niente facile! Occorrono doti di empatia e di ascolto, molta pazienza, ore di scrittura, confronto con chi narra e poi farsi da parte perché la vita non è la nostra, ma quella di chi ha raccontato.