Con la macchina del tempo sono andato a recuperare la critica cinematografica coeva dei film di Pier Paolo Pasolini. L’ho fatto dopo aver rivisto, durante la clausura, tutti i lungometraggi di Pasolini insieme a mio nipote 25nne (poverino, penserete subito!… e invece fortunato!).
Proprio durante la visione a due dei film di Pasolini mi sono reso conto che è impossibile approcciare il cinema di Pasolini a prescindere dal suo essere stato poeta, scrittore, polemista, pittore e anche dal suo vissuto e dalla sua militanza.
L’opera di Pasolini è un’arte totale che si divide in molti rami e uno di questi rami è il cinema, ma la sostanza che li alimenta non cambia. Non si può staccare il cinema di Pasolini e avvicinarlo con l’armamentario classico della critica cinematografica o pensare di assistere alla proiezione di un suo film come si assiste alla proiezione di un film. È richiesto di più. Un’affermazione che, però, non sarebbe piaciuta a Pasolini convinto dell’immediatezza del suo lavoro. E per certi versi ha anche ragione: c’è quello che si vede.
Pasolini non faceva solo cinema, era anche un teorico dell’arte cinematografica della quale conosceva ogni recondito aspetto, anche nel campo strettamente tecnico. Il suo campo visivo con la macchina da presa, come ricordano i “tecnici” che hanno lavorato con lui, era fuori dal comune. Uno spessore teorico, tecnologico e ideologico che forse si ritrova solo in Godard, al quale spesso si riferiva lo stesso Pasolini.
La critica cinematografica del tempo era piuttosto mal equipaggiata per Pasolini. Lo capivano meglio gli scrittori come Moravia, la Morante (che compare anche in Accatone), Calvino, Sciascia, la Ginzburg, Volponi solo per citarne alcuni.
Una cosa che colpisce nei documenti della critica del tempo è il rispetto per l’autore e la difesa senza riserve del suo lavoro di fronte all’accanimento della censura… anche se Pasolini voleva sfidare a duello qualche critico.
Un seconda cosa che pare balenare nella testa dei critici è lo stupore che un cinema “sofisticato” e anche “carnale” come il suo abbia trovato dei produttori, attirato alcune grandi produzioni e anche arruolato figure globali come la Callas o Orson Welles che ripete a pappagallo dei versi di Pasolini.
Ma sui contenuti c’è molto imbarazzo se non soggezione. La critica, anche quella cattolica, lo segue piuttosto benevolmente, come si segue il parroco durante una processione, sino a Salò e le 120 venti giornate di Sodoma. Un film visionario sull’oscenità del potere che nel suo furore sfuggiva ai suoi tempi e sfugge anche ai nostri. È qui che pure mio nipote 25nne è fuggito. Ma lo ha fatto in buona compagnia.
La stessa Dacia Maraini, che aveva sceneggiato con Pasolini Il fiore delle Mille e una notte e gli era amica e affezionata, non riuscì a trattenere il suo turbamento, e anche il desiderio di essere da un’altra parte, durante una visione privata, con Pasolini al suo fianco, di Salò e le 120 giornate di Sodoma. Un film anche per lei indigeribile (forse anche in senso fisico). E lo è rimasto anche per noi, proprio a livello fisico. Poi Pasolini come un profeta inascoltato ci ha lasciato per sempre.
A questo punto non mi resta che augurarvi un buon viaggio nella macchina del tempo della critica cinematografica e, per i volenterosi, una piacevole escursione negli scritti teorici e nelle interviste di Pasolini sul cinema.
Voglio anche consigliarvi uno dei più bei libri su Pasolini.
Rassegna stampa della critica del tempo
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Il fiore delle mille e una notte
Medea (1969), 16 gennaio 2021, 14 minuti
Pier Paolo Pasolini sul cinema
Cinema e letteratura. Appunti dopo Accattone
La sceneggiatura come «struttura che vuol essere altra struttura» (
Cinema: La lingua scritta della realtà
Osservazioni sul piano-sequenza