Ritorno della televisione
Durante la prima ondata della pandemia la televisione del mio soggiorno è rimasta spenta. Il telecomando era difettoso e non c’era nessuno che sapesse ripararlo. Ero pure privo del classico divano sul quale potermi accomodare. Ho usato sempre l’iPhone, sostituendo anche al tempo-tv il tempo-lettura: ottimo scambio, ma impegnativo.
Poi mia nipote mi ha procurato un divano e sono tornato a guardare la televisione nella fascia serale. Il TG1 è diventato il compagno della mia rapida e solitaria cena. Dopo il TG ho preso a dividermi tra due talk show, entrambi di ragionevole durata. Otto e mezzo, condotto da Lili Gruber e Stasera Italia, condotto da Barbara Palombelli.
A volte resto davanti al teleschermo e guardo TG2Post dove tiene banco un’ottima Manuela Moreno. Alle 21:30 è tutto finito e posso tornare al tempo-lettura. Netflix permettendo. Terribile concorrenza questa di Netflix. Ora c’è anche Disney+ e Prime video con la libreria MGM.
Qualcosa che non va
Ascoltando i campioni dell’opinione pubblica progressista che sfilano nel salotto dalla Gruber mi sono chiesto più volte se qualcuno di loro abbia mai letto le riflessioni di Noah Yuval Harari, di Byung Chul Han o anche del nostro Giorgio Agamben sulle risposte che i governi hanno dato alla pandemia. Tutti questi contributi, e molti altri, sono stati raccolti in un volume pubblicato da goWare.
Ora, le tesi di questi perspicaci osservatori della contemporaneità sembrano trovare maggior risonanza tra gli ospiti dell’accogliente Palombelli che nel freddo rigorismo sanitario e statuale dalla conduttrice e degli ospiti di Otto e mezzo.
Questo, che ho percepito come un piccolo scompiglio, mi ha spiazzato rispetto ad alcuni punti di riferimento di una certa area ideale, rappresentata anche dalle riflessioni di Michel Foucault o di Ivan Illich sul potere disciplinare o sulle forme autoritarie di certe istituzioni.
Che è successo a Foucault?
Sono riuscito a elaborare questa specie di vertigine solo quando mi sono imbattuto in un denso articolo di Ross Douthat, opinionista del New York Times e già direttore di The Atlantic, dal titolo How Michel Foucault Lost the Left and Won the Right. Chi sia interessato ad approfondire può leggere qui la traduzione italiana dell’articolo.
Che cosa è successo a Michel Foucault e al suo lavoro di storico, antropologo ed epistemologo? Perché il sistema di pensiero, da lui così generosamente nutrito, lo ha messo da parte così, proprio nel momento in cui la fattualità ha intersecato massicciamente le sue teorie? È diventata così scomoda quest’icona calva del postmodernismo?
Una teoria appartiene solo al suo autore
Penso che sia sciocco avvicinare una teoria chiedendosi se appartenga a un sistema di pensiero o al sistema concorrente. Mi chiedo se queste classificazioni abbiano ancora un senso o siano semplicemente un “discorso” nel senso strettamente foucoltiano del termine.
Una teoria è, e basta. Quando una nuova, importante, teoria giunge a imporsi, sarà senz’altro il risultato di una sintesi difficilmente collocabile in un qualsiasi insieme concettuale precedentemente stabilito.
Un pensatore come Foucault, idealmente e politicamente schierato nello scacchiere politico e culturale del suo tempo, può favorire il collocarsi in una certa angolazione nell’interpretare il suo lavoro scientifico.
Ma la politica è un fenomeno transitorio e, per di più, trasformistico – a differenza della cultura e dei contenuti. I contenuti non devono affrontare le elezioni. Come diceva Gramsci: “la politica sta a valle della cultura”.
Foucault è incasellabile
E i contenuti sono quelli che sono. Può accadere che a un contenuto possa essere cambiato punto di appoggio come fece Giolitti con i cattolici e i socialisti. Però resta quello. E Foucault resta Foucault, cioè il critico ultimo della “governomentalità” nelle sue manifestazioni di controllo amministrativo-burocratico e di centralizzazione della verità nelle forme tecnocratiche e terapeutiche del potere disciplinare.
Per certi aspetti i convincimenti di Foucault sono sempre andati oltre le barriere politiche: si pensi a certe affinità che, ancora in vita, manifestò con il confessionalismo islamico o con il neoliberismo. Ma, nonostante i molti tentativi, è impossibile ricondurre Foucault a schemi che non siano foucaultiani, come hanno tentato e stanno tentando di fare i cosiddetti pseudo-foucaultiani.
Foucault, una stella in spostamento
Nella Pandemia il pensiero di Michel Foucault avrebbe dovuto brillare come una stella polare. Biopolitica come biopotere è al centro del suo pensiero insieme al concetto di “scienza-potere”. La biopolitica, che lo si creda o no, ha preso possesso dei nostri corpi attraverso i vari passaggi della risposta all’emergenza sanitaria. Forse non c’era proprio altra via che questa e ciò può andare anche bene come una misura “provvisoria” (ma leggiamoci le riflessioni di Agamben sullo Stato di Eccezione).
Ma poi che cosa succederà dell’eccezione? Questo è l’interrogativo che abbiamo oggi. Forse le riflessioni di Foucault potrebbe aiutarci a trovare una qualche risposta bilanciata. Ma… chi ha visto Foucault?
Oggi Foucault è una stella spenta. E anzi, è una stella che sta accendendosi in una galassia di pensiero molto diversa da quella che il suo lavoro ha così abbondantemente nutrito.
Si sta accendendo nella galassia dal sistema di pensiero pseudo-modernista teorizzato dalla nuova destra di Steve Bannon e dal gruppo degli alt-right di Breitbart News che stanno mettendo in atto una forma di appropriazione dell’ultimo Foucault, quelle delle lezioni al College de France, incentrate sul concetto di “governomentalità” e vòlte alla decostruzione dello stato amministrativo-disciplinare.
Candidato alla cancellazione
Durante l’esplosione di furore contro l’eredità storica del colonialismo occidentale, seguita all’uccisione di George Floyd, è stata imbrattata di vernice rossa anche una statua di Voltaire accusato di aver avuto rapporti con commerci coloniali, forse all’origine della sua fortuna economica.
Se il povero Voltaire, campione dell’illuminismo e del nostro stile di vita, ha ricevuto un paio di secchi di vernice rossa, non oso immaginare, nell’ambito completamente decontestualizzato nel quale maturano queste azioni, cosa la cultura della cancellazione, praticata soprattutto da una certa area politica, possa metter in atto contro Michel Foucault se i fatti di Tunisia, per ora ignorati dalla grande stampa francese, diventassero mainstream.
Ne faranno un rogo che, in fin dei conti non sarebbe dispiaciuto a questa icona del tempo che fu.
Un passaggio impensabile
In ogni caso è piuttosto istruttivo constatare, come fa Angela Nagle in Kill All Normies (tradotto in italiano dalla Luiss), che il testimone della trasgressività e dell’antiautoritarismo della nuova sinistra degli anni Sessanta sia stato raccolto dalla destra estrema, specialmente online. È avvenuto nello stesso modo in cui lo spirito della controcultura ha nutrito la sua nemesi, la corporate America.
Allora significa che quella generazione ha vinto. Ed è proprio questo il problema di cui soffre anche l’eredità di Foucault.
Per capire come erano davvero i vincitori di oggi, guardatevi su Apple TV+ la serie 1971, l’anno che cambiò la musica.
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(Post revisionato da Tiziano Tanzini che da Treviri mi impedisce di strapazzare l’italiano e vigila sul politicamente corretto che non mi viene sempre benissimo, come mi è stato fatto notare. Chiedo scusa se qualche sbavatura rimane).