
Buon giorno e buon inizio settimana.
Il 18 novembre di 100 anni fa, appena 51enne, ci lasciava Marcel Proust che ha impresso un’impronta indelebile nella cultura mondiale. Alla vigilia delle elezioni del 2016 è stato chiesto ad Hillary Clinton quale libro rimpiangeva di non avere letto. Lei ha subito risposto La Recherche (in francese) e ha detto che lo avrebbe letto da presidente [sic!].
Per tale mesta ricorrenza vi proponiamo la lettura di qualche passo da quest’opera immensa, senza prima qualche divagazione della quale potete senz’altro fare a meno visto l’impari confronto.
In svariati modo
Ci si può innamorare per via di un quadro, ma può succedere anche per tramite di un film, di un personaggio letterario, di una voce o di un sogno.
Tra Swann e Odette in Dalla parte di Swann di Marcel Proust l’innamoramento scatta nella testa di Swann attraverso la figura di Sefora (futura moglie di Mosé) raffigurata nell’affresco Le prove di Mosé di Sandro Botticelli nella Cappella Sistina.
Da Lara a Jill
Poco più che adolescente non avevo altro per il capo che Lara (Julie Christie) del Dottor Zivago di David Lean (su Prime Video). Infatuazione che è diventata cosmica con il libro.
Quando sono arrivato al verso excipit “A me verranno i secoli dal buio” dalle Poesie a Lara che sigillano il romanzo, mi sono incavolato con Pasternak che l’aveva chiusa lì, in appena 600 pagine. Le storie belle e raccontate bene non dovrebbero finire mai.
Nel finale del film, ma nel libro non c’è, parlando dell’enorme folla accorsa al funerale di Yuri, il poeta-dottore (raro caso) emarginato dal regime comunista (caso frequente), il fratello generale Evgraf Zivago dice a Tanja, figlia di Yuri e Lara: “Nessuno ama la poesia più di un russo”. Non si direbbe proprio, ma se è vero e ci credo, c’è speranza ad Est.
Poi è venuta la Giulietta di Zeffirelli (l’allora sedicenne Olivia Hussey, su Prime video). Invece di andare al Vespa Club (“la” discoteca del mio paese), mi sono messo a leggere Shakespeare, nella edizione rossa Sansoni delle opere complete su carta Bibbia, finché le tragedie nere mi hanno mandato via tutti i grilli dalla testa.
Per non parlare di Jill (Claudia Cardinale) in C’era una volta il West (su Prime video), vedevo di continuo la schermaglia di sguardi intensi e la carrellata di volti afflitti nella scena dell’addio ad Armonica (identificandomi in lui, un solitario e misterioso Charles Bronson).
Ma l’archetipo di tutti i volti rimane quello della madre (su YouTube) del regista russo Vsevolod Pudovkin, coetaneo dell’altro grande maestro dell’avanguardia russa, Dziga Vertov. Ancora due russi! Sulla profondità di quel volto e su quello che smuove dentro ci sarebbe molto lavoro per gli eredi di Freud.
Da Françoise all’elfa
La voce che usciva dal 45 giri di Tous les garçons et les filles (in italiano Quelli della mia età) mi ha spinto verso Françoise Hardy.
… Et les yeux dans les yeux
Et la main dans la main
Ils s'en vont amoureux
Sans peur du lendemain …
Senza paura, appunto, del futuro. Era, quello, un mood che abbiamo smarrito.

Ma con Joan Baez è stata una cosa più seria. Ho poi letto nella autobiografia di Bob Dylan questo passo che meglio non si potrebbe dire:
“Non c’era nessuno al suo livello. Era lontana e inaccessibile, una Cleopatra in un palazzo italiano. Quando cantava ti faceva restare a bocca spalancata. La sua voce cacciava via gli spiriti maligni. Era come se fosse scesa da un altro pianeta”.
Da un’altro pianeta scende anche l’elfa Galadriel (Morfydd Clark, nella serie Gli anelli del potere di Amazon) che se non avessi l’età per niente, anche se Marques e anche il mio amico Furio non la pensano così, la potrei mettere in questa galleria di fascinazioni giovanili. Determinata, temeraria, ribelle, coerente e anche prone ai sentimenti, un oceano di fascino.
Oltre la fantasia
Ora succede che queste figure non restano confinate nella mera vita fantastica, cioè nell’altro verso di quella vera, che non è naturalmente il metaverso.
Qui accade piuttosto il contrario: si va a ricercare nel quotidiano il Doppelgänger di quelle intangibili effigi affrescate nell’immaginario. E succede purtroppo che il reale deflora crudelmente tali insussistenze che germogliano solo nella nostra personale La La Land (su RaiPlay).
È un brutto risveglio quando il reale tracima e sommerge l’immaginario. E come potrebbe essere diversamente? Nel reale siamo davvero tutti umani, e come dice in Film Blu (di Krzysztof Kieślowski, su YouTube e Apple TV a noleggio) Julie (Juliette Binoche) a Oliver (Benoît Régent), l’uomo al quale si dà dopo che lui l’ha idealizzata per tutta la vita: “come vedi anch’io ho una carie”. Per questo ci sono i dentisti e sono anche tra i maggiori contribuenti.
Per fortuna che c’è ancora la narrazione letteraria o visuale a rendere meno amara la matrice delle cose. E la narrazione più rarefatta a cui si possa accedere è quella di Proust, sempre di averne la disposizione d’animo e soprattutto l’allenamento. Anche se sappiamo che Proust è un prodigioso bugiardo, come ci ricorda Franco Fortini, il suo racconto ci conquista e ci lascia morbidi come il pan di Spagna della nostra Maura.
Di seguito vi propongo, dunque, la lettura di alcuni brevi passi tratti da Dalla parte di Swann che riguardano l’innamoramento di Charles Swann per Odette de Crécy, i due protagonisti della seconda parte del romanzo intitolata, appunto, Un amore di Swann.
Prima di Sefora
Giovanni Raboni, esimio traduttore e studioso della Recherche e di Proust, ci dice che il nostro Swann, rentier e raffinato “dilettante”, un “fallito” secondo M. Verdurin, ha due grandi passioni nella vita: la pittura italiana e fiamminga e le donne. Queste due passioni si incrociano in Odette, ma non subito perché manca ancora un tramite.
Infatti quando Swann incontra la cocotte Odette, nel salotto dei Verdurin, trova la donna di “una bellezza troppo delicata e sofferta opposta a quella che di solito accendono il suo desiderio” (sempre Raboni).
Scrive Proust:
E, d’altra parte, preferendo infinitamente a quella di Odette la bellezza di una giovane operaia fresca e paffuta come una rosa e di cui si era incapricciato, preferiva passare l’inizio della serata con lei, essendo sicuro di vedere Odette dopo. Per le stesse ragioni non accettava mai che Odette venisse a prenderlo per andare dai Verdurin. La giovane operaia l’attendeva presso casa sua, a un angolo di strada che il suo cocchiere Rémi conosceva, saliva accanto a Swann e restava tra le sue braccia fino al momento in cui la carrozza si fermava davanti alla casa dei Verdurin.
Qui mi verrebbe in mente una scena de Il Casanova di Federico Fellini (su YouTube), ma ci porterebbe troppo lontano
Finché nella psiche di Swann non succede qualcosa di veramente spontaneo e sorgivo, un transfert.
Il transfert di Sefora
Avviene durante una visita a Odette, la seconda, nella palazzina in rue La Pérouse, dietro l’Arco di Trionfo, che Proust descrive minuziosamente.
In questa palazzina Swann fa una scoperta decisiva che tramuta il suo ambiguo sentimento per Odette in passione e poi in vera e propria ossessione.
Questa sorta di epifania è l’identificazione di Odette con la Sefora del Botticelli. Ecco come avviene:
Odette non si sentiva molto bene e lo ricevette con indosso una vestaglia di crespo di china color malva che si allacciava sul petto a guisa di mantellina in una stoffa preziosamente ricamata. In piedi, accanto a lui, i capelli sciolti che le ricadevano lungo le guance, una gamba leggermente flessa in un atteggiamento quasi di danza per potersi chinare senza sforzo ad osservare l’incisione, piegando la testa dai grandi occhi così stanchi e imbronciati quando non era animata, colpì Swann per la rassomiglianza con quella figura di Sefora, la figlia di Jetro, che si vede in un affresco della Cappella Sistina. Swann aveva sempre avuto quel particolare gusto di voler ritrovare nella pittura dei maestri non soltanto i caratteri generali della realtà che ci circonda, ma ciò che sembra al contrario meno suscettibile di generalizzazione: i tratti individuali dei visi che ci sono noti.
La beatitudine conquistata associando Odette a Sefora inizia a ossessionarlo. Ancora Proust:
La guardava; un frammento dell’affresco appariva nel viso e nel corpo di lei, e da quel momento cercò sempre di ritrovarvelo, sia che le fosse accanto o semplicemente pensasse a lei; e, benché forse avesse caro il capolavoro fiorentino soltanto perché lo ritrovava in Odette, tuttavia quella rassomiglianza conferiva anche a lei una bellezza, la rendeva più preziosa. […]
Si disse che, associando il pensiero di Odette ai suoi sogni di felicità, non si era rassegnato a un ripiego tanto imperfetto come finora aveva creduto, perché lei appagava i suoi gusti artistici più raffinati.
Il capolavoro di Botticelli rende un “gran servizio” a Swann.
Gli permise, quasi come un attestato, di far entrare l’immagine di Odette in un mondo di fantasie in cui non aveva avuto accesso fino a quel momento e dove si impregnò di nobiltà.
Dopo aver guardato a lungo quel Botticelli, pensava al «suo» Botticelli che trovava ancora più bello e, avvicinando a sé la fotografia di Sefora, aveva l’impressione di stringere Odette contro il suo cuore.
Dopo Sefora
Ma ad attivarsi in Swann non è solo “il compiacimento dell’esteta, il capriccio dell’amatore d’arte, la vanità e la sensualità del collezionista” (Raboni) è un sentimento più profondo di uno stato cerebrale, è un desiderio materiale di unirsi carnalmente a Sefora/Odette come ci fa intuire subito Proust con uno stile vagamete da 50 sfumature di grigio che impreziosisce e nobilita da par suo. Swann esigeva da Odette che non smettesse di baciarlo:
Un bacio chiama un altro bacio. Ah! i primi tempi in cui si ama come nascono con naturalezza i baci! Spuntano così vicini l’uno accanto all’altro; e contare i baci che ci si è dati in un’ora sarebbe difficile come contare i fiori di campo nel mese di maggio.
A volte lei lo guardava con aria imbronciata, lui rivedeva un volto degno di figurare nella Vita di Mosè di Botticelli, ve la situava, dava al collo di Odette la giusta inclinazione; e quando l’aveva ben dipinta nel quindicesimo secolo sulle pareti della Cappella Sistina, l’idea che nel frattempo lei era rimasta lì, accanto al piano, nel presente, pronta per essere baciata e posseduta, l’idea della sua materialità e della sua vita lo inebriava con tale violenza che, con lo sguardo smarrito, le mascelle tese come per divorarla, si gettava su quella vergine del Botticelli e le mordicchiava le guance.
E ancora:
Da quando si era accorto che molti uomini consideravano Odette una donna affascinante e desiderabile, il fascino che aveva per gli altri il suo corpo aveva risvegliato in lui un bisogno doloroso di dominarla interamente fin nelle parti più recondite del suo cuore.
… ma dove porta Sefora?
Dove poteva portare un sentire di questa natura? Se non al tormento della gelosia, anche di quella più insensata! È qui che l’amore diventa una malattia psichica, anche somatica, senz’altro grottesca, come succede in effetti a Swann nel prosieguo del romanzo.
È la vita che deflora i sentimenti. A causa di una figura dipinta, di un appagamento estetico, di una carica psichica, Swann manda la sua vita alla deriva:
Ho sciupato anni della mia vita, ho desiderato di morire, ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo!”.
E non era neppure intelligente, Odette.
La potenza psichica dell’arte.
Prima di andare
La grazia presidenziale al tacchino. In vista del prossimo 24 novembre, il giorno del Ringraziamento in America, il presidente Joe Biden ha rinnovato la tradizione presidenziale, che risale ad Abraham Lincoln, di concedere la grazia al tacchino, quello destinato a pranzo della Casa Bianca. Nella foto sotto vediamo la cerimonia della grazia sotto la Presidenza Kennedy.
Ma non sono meglio le melanzane alla parmigiana del tacchino arrosto?
L’ultima parola al sidolizzatore: Argenteria senza macchie. Sidol inutile. Ma lucidando senza vera necessità la mente divaga. Facile, con Proust. La mia “prima volta” de “…La Recherche…” lessi le 2 pagine e qualche rigo iniziali, sul dormiveglia dell’innominato protagonista, come una sola, fantastica, incalzante, incontenibile, audace, imprevedibile frase e smisi sconvolto dalla densità, eterogeneità, sensualità dei pensieri di uno che si stava addormentando, e affaticato: diméntico di respirare, tossii affannato.
Ma restiamo svegli. Dziga Vertov, “ancora un russo”. Definire “russo” uno nato in Polonia a Bialystok dentro la grande comunità ebraica di lingua yiddish (alla fine del XIX sec. quando nacque, quasi l’80% della popolazione di Bialystok) come Dziga Vertov è riduttivo.
Ciò vale anche per il lettone Eisenstein - di Riga.
Ciò vale anche per l’ucraino Prokofjew - di Jekaterinoslaw, oggi la contesa Dnipro.
Nomi indissolubili l’uno dall’altro. Tutti più o meno perseguitati. Tutti “russi”.
Ve lo immaginate un Garcia Marquez, “spagnolo”???
Ora che le maglie si allargano, impariamo a conoscere Andrej Kurkow. “Russo” ucraino, presidente del PEN ucraino, plurilingue, tiene il conto degli intellettuali ucraini “scomparsi” durante l’operazione speciale russa. I suoi libri sono pubblicati in Italia da Garzanti e da Keller Editore, microscopica - importantissima - casa editrice di Rovereto.