Buongiorno, buon inizio settimana e felice inizio primavera.
La venticinquesima ora (su NowTV) è un vorticoso film di Spike Lee del 2002 con Edward Norton e il compianto Philip Seymour Hoffman.
Si svolge in una New York triste e frastornata all’indomani dell’attentato terroristico alle Torri gemelle. Si può immaginare il mood. Anche la storia che narra non aiuta l’umore, soprattutto quando il protagonista deve separarsi dal cane.
Non aprite quella porta
La 25° ora è anche il momento nel quale le persone di genere binario maschile decidono di farsi vedere da un medico, varcando una porta che non avrebbero voluto mai oltrepassare, ma che adesso non possono fare a meno di farlo.
Quella di un ambulatorio, appunto. Illuminazione LED, pareti bianche, rotocalchi sgualciti e alle volte il “National Geographic”, persone indaffarate in camice bianco che vanno e vengono e gente che esce dalle porte con una espressione, la maggior parte delle volte, compiaciuta. Sta bene o inizia una cura.
Gratificati si esce, in genere, anche dalle farmacie, uno dei luoghi più affollati del pianeta, dove di solito si viene anche alleggeriti delle risorse superflue. Però è rassicurante.
Succede davvero!
Osservando soprattutto i miei comportamenti, ma anche quelli di altre persone della mia cerchia di amicizie e frequentazioni, mi sono persuaso che gli uomini siano molto restii a visitare un medico e a permettere dei controlli, anche quando ne hanno obiettiva necessità.
Mi sono fatto questa idea, senza approfondirla troppo, finché, casualmente, mi sono imbattuto in un articolo che mi ha fatto sorridere.
Riferiva dei risultati di alcuni studi condotti negli Stati Uniti volti ad indagare i motivi della reticenza degli uomini a visitare un medico. Un’abitudine palesemente confermata da più della metà del campione di adulti incluso negli studi.
Succede anche che risultanze di analoghe indagini su un cluster femminile abbiano evidenziato un atteggiamento del tutto diverso. Le donne vanno regolarmente dal medico e sono ligie nel sottoporsi a cicli di controlli.
L’esito così esplicito del campione maschile ha in effetti sorpreso anche i ricercatori perché gli uomini tendono a vivere di meno delle donne spesso a causa di patologie, cardiache, vascolari e metaboliche che potrebbero essere prevenute e curate all’interno di un semplice percorso ambulatoriale di controlli e cure.
Comportamento, quindi, ben lungi dall’essere razionale, anche se non proprio sorprendente nel mondo di oggi.
… e succede questo
La ricerca della Cleveland Clinic su un campione di 1200 uomini adulti ha appurato che il 55% degli uomini dichiara di non sottoporsi regolarmente a screening sanitari. In dettaglio.
Il 72% degli intervistati ha detto di preferire le faccende domestiche, come la pulizia del bagno, all’andare dal medico. Disposizione di spirito che si commenta dal sola tant’è sconfortante per il sessismo che esprime.
Il 65% degli intervistati ha dichiarato di evitare il medico fin quando ciò sia possibile. Cioè fino alla 25° ora, quando intervengono sintomi severi. Qui dovremmo chiedere a Jung quale tipo di imprinting archetipico alimenti questa inclinazione.
Il 20% ha ammesso di non essere sempre onesto con il medico riguardo alla propria salute, di mentire spesso sui sintomi e di sminuirli. Non meraviglia. Già Freud aveva scoperto che il paziente tende a mentire spesso e Italo Svevo si è servito di questo elemento per costruire un romanzo che si legge in tutti i licei.
Il 37% ha dichiarato di aver nascosto informazioni al proprio medico, perché non era pronto ad affrontare una diagnosi più severa di quanto fosse pronto a sopportare. Questo è abbastanza comprensibile perché, come nella finanza, è irritante affrontare una situazione importante (come quella dei propri soldi o della propria salute) peggiore del previsto, in particolare se ve ne sono anche altre in giro. Insomma, è necessario attutire il colpo.
La maggior parte degli intervistati non conosce la storia sulle patologie urologiche (77%) e tumorali (64%) della propria famiglia.
Perché succede?
Una ragione che induce a evitare il medico è la fiducia messianica nell’auto-riparazione: come il problema è venuto se ne può andare da solo grazie alle capacità risolutorie del nostro sistema ben efficientizzato. Siamo una macchina perfetta, no?
Questa convinzione è forte soprattutto nei soggetti assertivi che conducono uno stile di vita consono alle raccomandazione del’OMS che, nel frattempo, diventano sempre più draconiane e sembrano indirizzarci verso una vita monastica. Succede, però, che anche i monaci si ammalano.
Un’altra ragione è quella che i ricercatori hanno chiamato la “sindrome del supereroe”. La cultura maschile tende a formare una mentalità che avvolge la persona in una corazza di Achille.
“Gli uomini tendono a sentirsi forti e in grado di affrontare qualsiasi cosa. Il ricorso al medico è vissuto come una debolezza. Gli uomini aborrono la vulnerabilità”, sostiene uno dei ricercatori.
Invece…
Invece “la vita è fragile”, ha dichiarato in una delle ultime interviste una persona che non difettava certo di fiducia in se stesso e nelle proprie capacità di controllo e di leadership.
Steve Jobs è stato a lungo restio a curarsi in modo adeguato malgrado vi fosse nel consiglio di amministrazione di Apple il capo di una delle maggiori imprese biotecnologiche del mondo, Arthur Levinson di Genentech, che ogni giorno gli ricordava di farlo. “Vai dal medico – gli diceva – invece di curarti con le carote”. Poi è stata la moglie Laurene Powell a convincerlo, l’unica che poteva.
Ma la ragione principale individuata dagli esperti alla radice della diffidenza verso i medici è la paura: la paura della diagnosi. Scrive uno di loro:
“Gli uomini sono terrorizzati da una diagnosi infausta o dall’esito negativo di un esame”.
E così tendono ad esorcizzare questo possibile esito.
Riflessione finale
Riflettendo su tutti questi fenomeni la dottoressa Nikola Djordjevic, psicologa comportamentista, nota che, a differenza degli uomini, “le donne tendono ad essere molto più responsabili quando si tratta della salute”. Per questa ragione:
“Le donne si sono abituate a condividere dettagli intimi della loro vita, e non è difficile per loro aprirsi. Gli uomini, invece, non sono abituati e neppure incoraggiati socialmente a farlo. Quindi devono affrontare una sfida maggiore quando le loro condizioni lo richiedono ed è naturale che abbiano problemi maggiori ad aprirsi anche su mere questioni di salute, per non parlare di altre legate, per esempio, alla vita sessuale”.
Secondo Ilaria, l’amica di mio nipote Marco, gli uomini non vanno dal dottore “perché sono ganzi”. Meglio non si poteva spiegare il fenomeno.
Per non arrivare alla 25° ora
Viene da chiedersi che cosa si possa fare per superare questo stato di cose e curare in tempo patologie risolvibili con un intervento tempestivo. I principali suggerimenti degli esperti vertono sostanzialmente su tre azioni.
Trovare un medico di fiducia. Come sostiene anche il mio amico e medico Enrico, il primo passo è costruire un rapporto di affidamento con un professionista tale che diventi duraturo. Può essere un medico di base o uno specialista. Può trovare fondamento su una amicizia, un’affinità caratteriale, ideale, sportiva (come giocare a padel insieme) o ricreativa (come il Bridge).
Può solidificarsi su una certa visione della cura e della professione da parte del medico che sia congeniale alla psicologia e alle convinzioni del paziente. Questo tipo di relazione, qualunque sia il motivo che la fa nascere e la sostiene, è propedeutica alla condivisione. Insomma ci vuole della chimica per fare un impasto che lieviti.Farsi supportare da una persona cara. È importante fissare il primo appuntamento e farsi accompagnare da una persona di sostegno, partner, amico o familiare. Questo tipo di sostegno può, per esempio, contribuire a scongiurare l’impulso a disdire o rimandare la visita. È importante anche che questa persona partecipi al primo colloquio e sia al corrente della diagnosi e degli stati di avanzamento della cura in modo tale che non possiamo uscire dalla porta di servizio. Secondo gli esperti sarà di grandissimo aiuto nella condivisione di qualsiasi circostanza avversa.
Programmare visite regolari. “Più una cosa che si teme diventa routine, più sarà facile farla”, dice la dottoressa Djordjevic. Verissimo. Perché, allora, non programmare una visita al mese?
Woody Allen e il dottore
Penso che il modo migliore di concludere questo post sia con uno scambio di battute dal film Io e Annie di Woody Allen (su Prime Video).
Dopo essersi conosciuti al tennis, Annie (Diane Keaton) dà uno strappo ad Alvy (Woody Allen) sul suo maggiolino che guida in modo temerario per le strade di Manhattan.
”Tu non sei di New York, vero?”, chiede Alvy terrorizzato. “Sì” risponde Annie”. I due protagonisti arrivano nei pressi dell’abitazione di Annie e dopo un parcheggio altrettanto temerario, quando stanno per salutarsi, si scambiano queste battute sul marciapiede.
Annie: Se vuoi salire un momento a bere un bicchiere di vino, qualcosa? Ah ma non voglio… non voglio insistere, avrai qualche altro impegno.
Alvy: No, no va benissimo, certo!
Annie: sicuro?
Alvy: Non ho niente, niente fino all’appuntamento con l’analista.
Si muovono in direzione dell’appartamento di Annie.
Annie: Oh, vai da un analista?
Alvy: Sì, da 15 anni soltanto.
Annie: Da 15 anni?!
Alvy: Sì, gli do ancora un altro anno e poi vado a Lourdes.
Annie: 15 anni? Dai davvero...
Alvy: Sì.
La scena si sposta nell’appartamento di Annie dove iniziano a parlare di Sylvia Plath.
Forse dovremmo prendere esempio da Alvy.
L’ultima parola al sidolizzatore. Sono un maschietto. È vero: non vado volentieri dal medico. Sì: per la paura che confermi una diagnosi (ridicola, che in genere mi sono fatto da solo).
Medico! Cura te stesso, smetti di fumare…
…Ah, scusa. È un altro discorso (?!?).
Ma i limiti sono parte delle nostre vite come le contraddizioni che ci fanno stare lontano dal medico anche quando sappiamo che sarebbe ora di correre da lui. Ribadisco però che il problema non è solo nella domanda ( cioè noi ed i nostri bisogni) ma molto anche nell’offerta. I medici e la medicina sono sempre più raffinati nelle conoscenze ma sempre più fragili nell’empatia. Senza empatia cioè la base dell’amore non si va da nessuna parte
La malattia , forse quella che si teme più che quella reale, fa paura perché ci mette davanti ai nostri limiti