
Buongiorno e buon inizio settimana.
Oggi vorrei parlarvi dell’ultimo Tolstoj. O meglio di un libro che torna decentemente reperibile e leggibile per il pubblico italiano, un’opera, inspiegabilmente, lasciata a prendere polvere.
Prima però qualche divagazione… di cinema naturalmente (di cosa, se no…). Nel cinema, a cercare bene, c’è davvero tutto.
Sarebbe troppo facile portarvi sulla incredibile interpretazione di Anna Karenina da parte di un’irraggiungibile Greta Garbo nel film del 1927 di Edmund Goulding, deliziato di quel lieto fine che Tolstoj invece ci nega. Poi nell’edizione sonora del 1935 il lieto fine s’invola.
L’ultima stazione
Il film che intendo raccomandare non è l’adattamento cinematografico di un romanzo, ma ricostruisce l’ultimo tormentato anno della vita di Tolstoj, il 1910, contrassegnato dalla disputa intorno alla sua eredità spirituale e materiale. Ritengo che questo film sia propedeutico al misterioso libro di cui sopra.
Il film è del 2009, The Last Station (a noleggio sulle principali piattaforme) con una valenza, francamente, più istruttiva che artistica. Poco meno di due ore di decorosissimo infotainment, senza essere, però, documentaristico. È tratto dall’omonimo romanzo storico di Jay Parini (Bompiani).
Il film è una produzione internazionale. Ci sono anche i russi (allora che si poteva), con un cast di tutto rispetto.
Personaggi principali
Ci sono due performer inglesi d’eccezione, ambedue candidati all’Oscar e al Golden Globe per questo film: il compianto Christopher Plummer nelle vesti dell’anziano Tolstoj e “la regina” Helen Mirren (nata Mironof) che interpreta la contessa Sofja Andreyevna (detta Sonja), l’indomita e affezionata moglie di Tolstoj.
L’attore americano Paul Giamatti (3 Golden Globe), che abbiamo visto tra l’altro nel delizioso Sideways (Disney+) e nell’impegnativo La versione di Barney (NowTV), è Vladimir Grigoryevich Čertkov, apostolo del tolstoismo e maggiore esponente del movimento d’opinione nato intorno alle idee del grande scrittore. Nel film cerca di persuadere Tolstoj, raggirandolo secondo la Contessa Sonja, a lasciare tutti i diritti dei libri al movimento piuttosto che alla famiglia.
C’è poi l’attore scozzese di Espiazione (Prime Video) James McAvoy nei panni di Valentin Fëdorovič Bulgakov, il giovane discepolo neofita e segretario dello scrittore. Il giovane schiacciato dalla rivalità tra la contessa Sonja e l’adepto Čertkov come pure preso nella morsa tra la fedeltà al movimento e la spinta del cuore. Bulgakov diverrà una delle figure di spicco del moderno movimento pacifista..
Maša e Saša
Non si può non menzionare l’incantevole attrice irlandese Kerry Condon. L’abbiamo vista nel recente Gli spiriti dell'isola (Disney+) che le ha portato una candidatura agli Oscar 2023. La Cordon è la giovane adepta Maša, l’unico personaggio di fantasia del film. Maša è una donna libera, emancipata e disinibita. Con la complicità celata di Tolstoj, tende a rompere la rigida regola della Comune dove vive. Una regola che contempla anche l’astinenza sessuale oltre al vegetarianismo, all’uguaglianza e al radicale pacifismo.
Lo stesso Tolstoj considerava le comuni che portavano il suo nome poco più di sette e non ne visitò mai una. Non gli piaceva essere un maestro, era un anarchico libertario.
Infine c’è Anne-Marie Duff. L’attrice di Chiswick (dove è sepolto il nostro Foscolo) interpreta Alexandra (Saša) Lvovna, penultima della numerosa prole dello scrittore, 13 creature di cui 5 avute dalla contessa Sonja. Saša, dopo la scomparsa di Tolstoj, raccolse e difese l’eredità letteraria e spirituale del padre.
Il film si svolge nella tenuta di Tolstoj a Jàsnaja Poljana con finale nella stazione ferroviaria di Astàpovo, l’ultima stazione appunto, che oggi di chiama Lev Tolstoj. Paesaggi di sfondo bellissimi.
Questo il film. Ora, il libro.
Il piacere di ammazzare?
Si narra che Simone Segouin, la pasionaria della resistenza francese conosciuta con il nome di Nicole e scomparsa in questi giorni a 98 anni, solesse dire:
“Niente mi dà più piacere che ammazzare i tedeschi”.
Queste parole ci appaiono, se decontestualizzate, il segno di un’aberrante deviazione della personalità come quella accaduta ad Hannibal Lecter. Se, invece, le mettiamo nella situazione che le ha generate, possiamo spiegarle meglio, anche se feriscono una volta storicizzate. Oggi si potrebbero ancora udire, seppur riformulate, in qualche parte del nostro continente.
Per Tolstoj non hanno senso. C’è un solo modo di agire che, nella sua universalità, non ammette alcuna contestualizzazione o validazione.
Nicole avrebbe dovuto dire:
“Niente mi dà più piacere che amare i tedeschi”.
Per Tolstoj l’unico principio organizzativo del mondo è l’amore e l’amore esclude a priori la violenza e presuppone invece la non-resistenza al male, persino l’amore per chi lo mette in atto.
Il Discorso della Montagna
È questo il principio che Tolstoj distilla dal Discorso della Montagna del Vangelo di Matteo. Da questo testo e dal Prologo del Vangelo di Giovanni, visti come l’unico fondamento del Cristianesimo dal quale la Chiesa lo ha allontanato, prende corpo la filosofia e la visione del mondo di Tolstoj che ha nella non-violenza e nella fratellanza universale il suo perno.
A proposito del Discorso della Montagna, come si fa a non tornare al cinema e precisamente a Pier Paolo Pasolini e al suo Vangelo secondo Matteo (YouTube). L’attore Enrico Maria Salerno dà la voce a Gesù nella scena di sei minuti dove il Discorso scorre nella sua integralità.
La soluzione è dentro di noi
Come può inverarsi questa visione del mondo pacificato e all’unisono che Tolstoj chiama “Il regno di Dio”? Con una rivoluzione politica o sociale? Con l’azione di un movimento religioso? Con la legge? Con una istituzione sovranazionale?
No, con niente di tutto questo.
Il regno di Dio non viene in maniera da attirar gli sguardi; né si dirà: “Eccolo qui”, o “eccolo là”. Perché il regno di Dio è in voi. [alcune traduzioni lo rendono con “in mezzo a voi”]. (Lc 17, 20-21).
È questa la chiusa del libro di cui sopra, il cui titolo deriva proprio dal Vangelo di Luca.
Il regno di Dio è in voi finalmente torna, grazie a goWare, ad essere proposto al pubblico italiano in una edizione leggibile visto che non lo era più nell’edizione dei fratelli Bocca del 1894 con la traduzione di Sofia Behr approvata da Tolstoj, ma senza troppa convinzione. Tutte le edizioni successive del libro, anche per più recenti, riportano la traduzione della Behr.
Da questa nuova edizione, riscritto partendo da quella versione, vogliamo proporvi un brano tratto dalla introduzione di Stefano Garzonio, professore di slavistica all’Università di Pisa, già presidente dell’Associazione italiana degli slavisti.
L’estratto verte sulla fortuna e l’influenza del libro di Tolstoj che è stata veramente considerevole anche nella formazione di una importante corrente del pensiero politico moderno.

Dopo Tolstoj
di Stefano Garzonio
Gandhi
Molto si è dibattuto sul carattere utopistico del pacifismo di Tolstoj e le critiche nei suoi confronti furono subito aspre e talvolta sprezzanti.
Eppure proprio nella lettura delle pagine di Tolstoj trovò ispirazione e incoraggiamento, per le proprie convinzioni pacifistiche, Gandhi che poi nel 1908, dopo aver letto la celebre Lettera ad un indù di Tolstoj, intrattenne uno scambio di lettere con lo scrittore.
A quel tempo io credevo nella violenza.La sua lettura mi guarì dal mio scetticismo, e fece di me un fermo credente nell’Ahimsa (non violenza).
Vale la pena segnalare lo specifico dualismo del pensiero religioso di Tolstoj e della sua interpretazione del cristianesimo che si evidenzia nelle due diverse vie percorse dallo scrittore nella sua esperienza religiosa.
Un duplice retaggio
A una via etico-religiosa che si fonda sul rifiuto della violenza e dell’egoismo si accompagna una via ascetica che, rifiutato il desiderio e lo stesso principium individuationis, aspira in senso panico al “ricongiungimento con il tutto”.
Su questa duplicità si fonda la fortuna del retaggio di Tolstoj, ora nell’ambito del pacifismo, dell’antimilitarismo e del vegetarismo, ora in quello del sincretismo religioso contemporaneo che ricerca le linee di affinità e contatto tra le forme dell’ascetismo occidentale e quello orientale.
Ancora oggi, anche sull’esempio di diverse esperienze del cristianesimo novecentesco, ad esempio quello della teologia della liberazione, e di numerose esperienze di movimenti non violenti, oltre che in forme di pensiero che attingono alla religiosità orientale, l’insegnamento di Tolstoj costituisce un punto di riferimento ineludibile pur nella complessità e nel carattere contraddittorio di molte sue convinzioni e affermazioni.
In campo politico
In particolare, a me sembra, risulta di indubbia attualità la denuncia da parte dello scrittore del “legame diabolico” tra violenza ed economia, idea questa che fa del pensiero di Tolstoj uno dei capisaldi delle teorie pacifiste e terzomondiste ancora oggi, favorendo così anche un uso politico e non solo filosofico-spirituale del suo sostrato anarchico e sovversivo.
Accanto a ciò è evidente che il pensiero di Tolstoj mette in dubbio molte delle certezze di un approccio illuministico alla realtà, all’idea del progresso, valorizzando invece il ruolo di una forma di ascetismo io direi “attiva”, che ha trovato consonanze non solo nel pensiero di Gandhi, ma poi in quello di personaggi quali Giorgio La Pira o Charles de Foucauld.
E proprio oggi, di fronte alle sfide della contemporaneità, pur ancorato ad un mondo che è oramai assai lontano dal nostro, il complesso dei principi valoriali propugnati da Tolstoj rimane un punto di riferimento vivo e convincente.
L’ultima parola al sidolizzatore. Sì, mi inchino ai grandi Leone,… ai grandi Mahatma,… ai grandi Danilo… Ma le fondamenta religiose non mi convincono. E, dunque, taccio.