COPERTINA
C’è ancora un mese di tempo per visitare una piccola mostra, seppur molto speciale, al Bode Museum di Berlino, “L’Angelo della Storia. Walter Benjamin, Paul Klee e gli Angeli berlinesi 80 anni dopo la fine della guerra” (Der Engel der Geschichte Walter Benjamin, Paul Klee und die Berliner Engel 80 Jahre nach Kriegsende).
Credo che questa mostra possa essere un momento imperdibile per i cultori di filosofia e iconologia e per chi voglia conoscere meglio uno dei pensatori più originali del Novecento, Walter Benjamin.
È anche un’occasione più unica che rara, data l’attuale situazione della Palestina, di vedere Angelus novus l’acquarello di Klee, eccezionalmente prestato dal Museo d’Israele di Gerusalemme.
Il visitatore potrà inoltre avvicinarsi ad alcuni manoscritti di Benjamin provenienti dall’Akademie der Künste, tra cui pagine delle Tesi sul concetto di filosofia della storia.
La mostra riunisce anche sculture di angeli provenienti dai Musei di Berlino, danneggiati durante la Seconda Guerra Mondiale e clip del film “Il cielo sopra Berlino” (1984) di Wim Wender.
Tra queste una di 6 minuti nella quale Damiel e Cassiel, i due angeli di Wenders, ascoltano una donna alla Biblioteca di Stato di Berlino mentre legge un estratto delle tesi di filosofia della storia di Benjamin.
La versione restaurata del film è disponibile gratuitamente su YouTube e DailyMotion.
Se siete impossibilitati, come me, a visitare la mostra, potete sfogliare, e magari farvi tradurre il testo dall'intelligenza artificiale, il catalogo di 80 pagine, in formato pdf, presso dil sito dell’editore.
È sufficiente scaricare il pdf e caricarlo su ChatGPT o Claude e chiedere la traduzione in italiano.

Sempre in viaggio
Leggendo la cronobiografia di Benjamin curata da Fabrizio Desideri nell’edizione Einaudi di Angelus Novus, sono rimasto colpito dai suoi innumerevoli viaggi, al punto da pormi spontaneamente una domanda.
Come riuscisse a mantenere tranquillità, concentrazione, materiali, risorse e continuità speculativa necessaria per scrivere spostandosi in contesti così diversi per condizioni materiali e psicologiche.
Benjamin ha lasciato una produzione impressionante: lettere, saggi, recensioni, traduzioni, appunti. Un corpus vastissimo oggi raccolto nei sette volumi delle opere complete dell’edizione tedesca Suhrkamp.
Immagino che, spostandosi continuamente, doveva trasportare bagagli pesanti. Oppure era molto organizzato e dotato di memoria eccezionale per gestire fonti, appunti e quaderni anche durante soggiorni brevi e precari.
Anche nell’ultimo tragico viaggio a Port Bou, stando alle testimonianza di Lisa Fittko, Benjamin, cardiopatico, portava con sé una pesante borsa nera. “È più importante di me, deve essere salvata”, sembra abbia detto.
Consegnò anche ai tre compagni di fuga un appunto in francese: “Je vous prie de transmettre mes pensées à mon ami Adorno”. Era proprio T.W. Adorno che doveva raggiungere a New York, ma il suo viaggio terreno era concluso.
Il viaggio è già la ricompensa
Questi viaggi, spesso necessari, gli permettevano di confrontarsi con amici e intellettuali come Scholem, Brecht, Adorno, Ernst Bloch, Arendt, Asja Lācis, figure legate alle avanguardie artistiche e filosofiche del tempo.
Viaggiare, però, non era facile. Nonostante l’origine agiata, Benjamin viveva in ristrettezze economiche, sostenuto solo da sporadiche collaborazioni editoriali e giornalistiche, che gli garantivano a malapena la sussistenza.
Grazie a una rete di conoscenze e amicizie amplia dislocata in differente parti dell’Europa poteva utilizzare una logistica legata a questa rete. Ma non sempre le amicizie e la stima gli furono d’aiuto decisivo.
Quando cercò una posizione accademica stabile, fu sempre respinto ad Heidelberg, Francoforte e persino a Gerusalemme. A Francoforte gli dissero che i suoi lavori non erano adatti alla formazione universitaria.
Affrontò anche un divorzio difficile e dispendioso. Forse è proprio questa erraticità a spiegare perché molte delle sue opere maggiori siano rimaste incompiute e frammentarie.
… con l’inseparabile Angelo
C’era però una costante nella vita errabonda di Benjamin: la promessa di non separarsi dall’acquarello di Klee Angelus novus, acquistato a Monaco nel 1921. Da quanto leggo, lo portava sempre appresso.
L’opera ispirò anche il nome per una rivista mai realizzata, della quale nel 1922 scrisse una sorta di manifesto programmatico, come se quel piccolo dipinto avesse per lui un profondo significato escatologico.
Benjamin si separò dall’Angelus novus nel 1933, lasciando Berlino. Si ricongiunse al dipinto a Parigi nel 1935. Nel giugno 1940 lo ritagliò dalla cornice per infilarlo in una valigia consegnata a George Battaille.
Dopo la guerra, il dipinto raggiunse Adorno in America, migrando poi a Francoforte quando lo studioso vi fece ritorno. Attualmente si trova al Museo d’Israele a Gerusalemme, sua destinazione definitiva.
Gershom Scholem, amico intimo di Benjamin e grande studioso della mistica ebraica, ha dedicato un libro all’angelo benjaminiano. L’opera, edita da Adelphi, ricostruisce il loro rapporto ventennale attraverso lettere e testimonianze.
Gli angeli di Klee
Klee e Benjamin sembrano accomunati da un destino condiviso, oltre l’ossessione per gli angeli. Entrambi scomparvero nel 1940 a soli tre mesi di distanza l’uno dall’altro.
Klee, apolide, sofferente di sclerodermia, una rara malattia autoimmune, scomparve il 29 giugno 1940; Benjamin si tolse la vita il 26 settembre temendo di essere consegnato alle autorità collaborazioniste del regime di Vichy.
Dal 1919 fino alla morte, Klee dipinse circa 50 angeli: angeli che ascendono, angeli che discendono, angeli camerieri o cameriere, che piangono, che non ricordano, vigilano, hanno dubbi e speranze. Angeli di ogni tipo.
Leggo che Klee non commentò mai questa scelta figurativa dell’ultima fase artistica e non è facile rintracciare interpretazioni plausibili, come succede spesso con la ricerca di un senso iconografico dell’arte.
Stupisce che Angelus novus, un’opera della dimensione di un A4 abbia suscitato un interesse così intenso presso pensatori come Benjamin e Hanna Arendt e artisti innovatori come Laurie Anderson e Wim Wenders.

… e l’Angelo della storia di Benjamin
Se Klee tace sui propri angeli, Benjamin offre un’interpretazione lucidissima del suo Angelus novus nella nona delle sue Tesi di filosofia della storia, scritte nel 1940, pochi mesi prima della morte.
C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosí forte che egli non può piú chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
Walter Benjamin, Angelus novus: Saggi e frammenti, Einaudi, Edizione del Kindle.
«Quest’angelo non canta più inni. Anzi, è più che dubbio se compirà comunque la propria missione angelica». Tutt’altro, annuncia «un’unica grande catastrofe», scrive Scholem commentando il passo benjaminiano.
Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Edizione del Kindle.
La tempesta che spira dal Paradiso si è irretita nelle ali dell’angelo e ne ha fatto delle vele che i venti impetuosi spingono verso il futuro, è la tempesta inarrestabile del progresso. È qui che va l’angelo.

L’angelo sopra Dresda
Queste parole evocano una delle immagini più sconvolgenti del Novecento: l’angelo barocco del Municipio di Dresda che, miracolosamente intatto, si ergeva sulle rovine spettrali della città distrutta da bombe incendiarie.
Oggi si tende a considerare il bombardamento di Dresda del 28 marzo 1945, una decisione imbarazzante: benefici strategici nulli a fronte della distruzione di un patrimonio culturale enorme e di migliaia di vittime civili.
Le bombe alleate lasciarono un paesaggio gaziano di una delle città più belle d’Europa, la Firenze del Nord. L’angelo diventa simbolo involontario della catastrofe, testimone silenzioso e attonito della distruzione totale.
La vista dell’angelo tra le macerie è plasticamente benjaminiana: non più messaggero divino ma testimone/custode impotente di una “catastrofe unica” che accumula “rovine su rovine” davanti ai suoi occhi sbarrati dal terrore.
Kurt Vonnegut, prigioniero di guerra a Dresda durante i bombardamenti, trasformò quell’esperienza nel romanzo Mattatoio n. 5 (1969), raccontando la tragedia attraverso Billy Pilgrim, il suo “angelo” spaesato e rassegnato.

E gli angeli sopra Berlino
In questo contesto come non menzionare il capolavoro di Wim Wenders del 1987, il cui titolo tedesco “Der Himmel über Berlin” conserva una sfumatura di senso (Paradiso) che si perde in quello italiano di “Il cielo sopra Berlino”.
Nel film, due angeli assistono impotenti allo svolgersi della condizione umana. Sono presenze silenziose e compassionevoli, custodiscono la memoria, privi della possibilità di intervenire o offrire autentico conforto.
Vestiti di nero, immobili tra le macerie o accanto alla gente, gli angeli di Wenders sono figure malinconiche, più persone che spiriti. Ascoltano senza agire, anelando all’esperienza terrena.
Questo nucleo emotivo si scioglie quando Damien sceglie di diventare umano per amore, preferendo il finito all’infinito. Essere persona per toccare, patire freddo, fame, dolore — e infine poter dire: “Ora sì”.
“Non vorrei più fluttuare in eterno, ma sentire un peso dentro di me che mi levi questa infinitezza e mi leghi in qualche a modo alla terra” dice Damiel (Bruno Ganz) a Cassiel (Otto Sander) dentro una spider.
Come dice Julie (Juliette Binoche) in “FIlm Blu” di Kieślowski nel darsi a Olivier (Benoît Régent) che l’ha desiderata e idealizzata per tutta la vita: “Come vedi, caro Olivier, anch’io ho la carie”. Benvenuto sulla terra, Damiel!”