Buongiorno e buon inizio settimana. Scendiamo decisamente dalla quota dove ci ha portato Sapelli, per riprendere la nostra normale altezza di crociera. Vi vorrei parlare oggi di qualcosa di ameno e anche divertente, se non fosse una sorta di cartina di tornasole dei mesti tempi nei quali viviamo. Ma non facciamone una questione: ci sono cose ben più gravi che incombono su di noi, come il clima e il terzo mandato di Xi Jinping.
C’era una volta il brand
Si pensava, io stesso pensavo, che Internet con la sua trazione democratica, egualitaria ed anarchica avrebbe raso al suolo i brand inverando così il fairy tale del sogno americano, quello delle pari opportunità e vinca il migliore. I brand sono sempre stati odiosi, superbi e prevaricanti, come un fratellone maggiore, il quale, a sua volta, resta castrato dal brand familiare.
I brand producono una sorta di monopolio dei cervelli e delle sensibilità che inibisce il libero arbitrio, fondamento dell’uomo civilizzato. E Beh? Come dice Yuval Noah Harari “è da mo! che abbiamo perduto il libero arbitrio”.
Sono anche fastidiosi con la loro presuntuosa e ridicola gravità. Difficile, però, sottrarsi al loro fascino. È come sfuggire al canto delle sirene: bisogna davvero farsi legare all’albero maestro.
Effervescenza brand
E invece è successo che con l’internet sociale i brand sono tornati più forti e arroganti di prima. Anzi sono sbocciati nuovi brand fedeli al principio codificato dagli Abba che il vincitore prende tutto e il perdente nulla (a proposito del pezzo degli Abba, seducente l’interpretazione di Carla Bruni).
E adesso, vedi un po’, stanno anche cercando di diventare simpatici come Topo Gigio. Ma c’è tanto di quel greenwashing nei top brand da riempire il Mar Caspio.
Prendiamo l’ineffabile Elon Musk che ama le burle come Buffalmacco. Ora, Musk siede su uno dei più mastodontici brand della terra: Tesla che lo ha reso la persona più ricca del mondo (vale 317 miliardi di dollari) e il maggior contribuente dello stato californiano, che ringrazia. Adesso però si è trasferito in Texas.
Dicevamo: l’ineffabile Mr. Musk…
Basta dire Tesla ed eccoli arrivare come i cani di Pavlov.
Già la denominazione Tesla è un cri de guerre. È il nome di uno scienziato inventore completamente fuori dagli schemi e a suo modo “maledetto”, che ha ispirato il personaggio di Doc Brown in Ritorno al futuro. A proposito di film, arriva in streaming, su tutte le piattaforme, con Ethan Hawke, la storia di Nikola Tesla, già interpretato da David Bowie in The Prestige di Cristopher Nolan, su Prime Video.
Un buon viatico per iniziare a conoscere questo straordinario inventore del nostro tempo con un nome che sentiremo pronunciare spesso, ma non in relazione a lui.
Che ha fatto Musk? A luglio 2020, insieme ai nuovi modelli delle sue seducenti auto, Musk ha fatto mettere in vendita sul sito a 69,420 dollari (numero meme della cultura cannabis, e anche prezzo in K del modello Tesla S) un paio di short di raso rosso con il logo Tesla dorato sul davanti e la scritta S3XY sul didietro: i Tesla short shorts.
Gli shorts burloni
Era chiaramente una burla senz’altro indirizzata alla SEC che lo aveva multato per un suo tweet e costretto a lasciare la Presidenza di Tesla.
Era indirizzata anche agli assatanati di meme stock che affliggevano il titolo Tesla con lo short selling (da qui il gioco sul nome del capo).
Sta di fatto che alla fine del 2020 i Tesla short shorts avevano ricevuto un tale quantità di ordini che a distanza di cinque mesi quasi tutti i clienti stavano ancora aspettando di ricevere il capo e iniziavano a parlarne male su Reddit.
Con grande imbarazzo, le persone serie della Tesla si stavano affannando a cercare qualcuno che in Bangladesh potesse produrre “per il giorno prima” le inusitate quantità di capi necessarie a onorare gli ordini.
Intanto la vicenda era arrivata sulla grande stampa, come il “Financial Times”, che sorniona l’aveva riferita senza troppi commenti, perché si commentava da sola.
Oggi gli short non sono più in vendita sull’e-commerce Tesla, ma c’è un Tequila deconter a 150$ e un ombrello a 60$. Chi sa cos’altro si inventerà Elon Musk? Qualsiasi cosa funzionerà.
Cavallini rossi
Un’altra casa automobilistica che rivaleggia con Tesla per le top position nella hit del marchi, sta facendo qualcosa di simile, ma più compostamente. La proprietà dopotutto è torinese!
È la Ferrari. La Exor ha deciso di fare una montagna di soldi con il marchio Ferrari lanciato oltre l’automotive. Anche perché con l’editoria, che sembrava la passione di Exor, si fanno più debiti che altro.
Joni Ive, l’ex-designer in chief della Apple ora nel collettivo creativo LoveFarm, è stato chiamato a dare una mano a estendere il business del lusso della Ferrari.
Dopo aver acquistato il 25% di Laboutin (suole rosse!) ed essere diventati il maggiore azionista del marchio cinese di alta gamma Shang Xia — Hermes è l’altro azionista di riferimento—, gli Agnelli stanno puntando su Armani che, nel frattempo, ha preso una quota in Ferrari. Ci saranno senz’altro dei cavallini rossi nelle prossime sfilate di alta moda.
Niente da dire qui, Ferrari è un brand che ha gli attributi.
L’Apple Cloth
Un altro brand con gli attributi è Apple.
Sapete qual è il prodotto Apple più venduto in questo momento? È l’Apple Polishing Cloth, un panno morbido e non abrasivo di 15 x 15cm atto a pulire lo schermo. Costo 19 dollari. Il logo Apple è impresso nel panno in uno dei bordi inferiori. Negli Stati Uniti adesso la prima consegna del Polishing Cloth non può essere effettuata prima dell’11 gennaio 2022. Tanti e tali sono gli ordini pervenuti alla rete commerciale Apple.
C’è da considerare che una confezione di sei identici pannolini non abrasivi in microfibra, ma non brandizzati, prodotti da MagicFiber, un ditta di tessuti in microfibra molto conosciuta, costa 9 dollari. Il panno Apple costa 12 volte e mezzo di più.
Daisuke Wakabayashi, corrispondente da San Francisco del “New York Times”, commenta con queste parole:
“Far pagare 19 dollari per un pezzo di stoffa delle dimensioni di due banconote è audace anche per gli standard di Apple, un’azienda le cui legioni di fedeli clienti sono pronte a digerire qualsiasi prezzo”.
Vero, ne so qualcosa, ci vendono tutto quello che vogliono. Il solo packaging di un prodotto Apple di alta fascia costa quanto un PC Dell.
FoMO
Albert Lee di New York, un utente Apple fidelizzato, ha comprato quattro Clothing Path spiegando così la ratio di questo acquisto apparentemente dissennato (secondo i teorici della scelta razionale).
“Ho spesso 4 mila dollari per un laptop Apple, che cosa mi rappresentano 19 dollari?”.
Giusto! Razionalissimo.
Ma la considerazione più filosofica e profonda è venuta da un giovane di Toronto, Patrick Tommaso, che ha dichiarato in un video dove mostra la “cerimonia sacra” dell’apertura di una confezione Apple, in questo caso del minuto Clothing Path impachettato come una letterina a Babbo Natale:
“Probabilmente non lo comprerei di nuovo, ma amo il fatto di possederne uno”.
Dopo una pausa ha aggiunto:
“Ma odio che ami il fatto di possederne uno”.
Bravo! In ciò sta il cuore del problema, sta il FoMO — Fear of Missing Out. È il mana del nostro tempo, una sorta di forza sovrannaturale che pervade tutte le cose uscite dai brand.
Che dire a questo punto? Andiamocene che siamo ancora in tempo. Sì, ma dove? Nel metaverso. E dove, sennò?
Prima di andare nel metaverso
Auto elettrica. Romba il motore di Rivian, il produttore di veicoli elettrici sostenuto da Amazon che non ha ancora alcun veicolo in strada e zero ricavi. Al suo debutto al Nasdaq, ha aperto con un incremento del 37% rispetto al prezzo dell’offerta pubblica iniziale, il che porta il suo valore di mercato a più di 100 miliardi di dollari, ben sopra di quello di Ford e di General Motors.
Capitalismo. Jill Lepore, storica di vaglio di Harvard, ha un nome per l’ultima forma di capitalismo. Il nome è muskismo, la fase extraterrestre del capitalismo. Abbiamo tradotto in italiano per voi il breve saggio (10 min.) dove lo spiega. La Lepore, il cui ultimo libro è If Then: How the Simulmatics Corporation Invented the Future, ha spesso incrociato il fioretto con il collega di Harvard, il compianto Clayton M. Christensen, teorico dell’innovazione distruttiva. Il suo Dilemma dell’innovatore è ancora una sorta di manuale delle marmotte per i disrupter della Silicon Valley e delle altre valli tecnologiche del pianeta.
L’ultimo libro di Sapelli. È Draghi o il caos, scritto con l’amico Lodovico Festa e pubblicato da Guerini e goWare. Già su Amazon la versione digitale. Sapelli ne parlerà questa sera (lunedì 15, ore 20:30) al talk show della Palombelli su Rete 4. Non perdetelo. Giulio ha anche raccontato a “Il Giornale” come i grillini hanno affossato la sua candidatura a premier e spianato la strada a Conte. Ci tornerò sopra presto.
Per il sidolizzatore Tiziano Tanzini: no problem con i brand né con il FoMO. Non porta shorts e netta il video del Mac e dell’iPhone con un biblico alito e con la manica della camicia (il cotone non riga gli schermi, la lana, invece sì).