
Formidabile quel 1922
Buon giorno e buon inizio settimana. Che anno orribile il 2022! La pandemia, l’inflazione, la guerra, la siccità, l’Italia fuori dai mondiali di calcio.
Che anno formidabile il 1922! A Bologna nasce Pasolini (la sua città natale gli ha dedicato una bellissima mostra), a Berlino viene proiettato Nosferatu il vampiro di Murnau, capostipite del cinema horror, a Parigi esce l’Ulisse di Joyce, il canone della modernità, e a Londra il pendant in versi dell’opera del dublinese, La terra desolata di Thomas Spencer Eliot, un poeta americano naturalizzato britannico.
Oddio, nel 1922 ci fu anche la marcia su Roma e la nomina di Stalin a segretario generale del partito comunista russo. Non sempre tutto è perfetto. Ma vuoi mettere!
Terra devastata
La terra desolata non è un poemetto sociologico o ecologico ma un testo molto più complesso. Già il suo titolo è, almeno per me, molto evocativo. Succede che alcuni versi di Eliot, stampati nella memoria, si proiettano nella mia mente quando mi avvicino a Piombino e mi accingo ad attraversare questa città.
Volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignano
Da porte di case di fango screpolato
Per me queste facce livide sono le ciminiere incerottate, gli spuntoni 9/11 e gli edifici ferruginosi che catturano lo sguardo, lo imprigionano, l’accecano. Ringhiano veramente, gli edifici di quello sfortunato borgo.
La cittadina tirrenica, con l’Elba dirimpetto, poteva essere una delle perle del Tirreno e invece è la sua “decaduta buca”. Qui, ben oltre la desolazione, siamo alla devastazione.
Appena si avvicina una nuova devastazione, dov’è che andrà a finire? A Piombino! Adesso ci andrà il gassificatore. Dio sa se ce n’è bisogno. Ma avete visto il finale di Syriana? (a noleggio su Apple TV+).
Più note che versi
Tornando a Eliot. La cosa che mi ha più confuso de La terra desolata sono le massicce note a pie’ di pagina. All’inizio pensavo che questi vasti inserti (come quelli delle antologie scolastiche dei lirici classici) fossero del curatore o del traduttore. Solo dopo un po’ ho appreso che erano dell’autore stesso. Perché un poeta annota la propria poesia, un fondamento della quale è quello di non dover spiegare nulla?
Come scrive il critico I.A. Richards, una delle più influenti voci del XX secolo nel campo della critica letteraria, succede che le facoltà intellettuali del lettore sono sfidate a tal punto da Eliot “da arrivare alla conclusione che anche il fondamento della poesia stia nell’intelletto”. Ma non è così. Anche il fondamento de La terra desolata è altro dallo stuzzicare l’intelletto, è, piuttosto, l’allusione a scopo emotivo come sottolinea lo stesso Richards.
Stetson! Tu che stavi con me sulle navi a Milazzo!
È successo, però, che queste note imponenti siano diventate quasi più importanti del testo poetico, senz’altro più studiate e commentate, e abbiano offerto l’occasione a “parecchi critici di screditarsi”, sempre secondo quanto scrive Richards.
Il classicista F. L. Lucas, ufficiale dei servizi segreti britannici a Bletchley Park e critico sopraffino, noto per alcuni giudizi sferzanti su La terra desolata, scrive:
Una poesia che ha bisogno di essere spiegata in nota non è diversa da un quadro con scritto sotto ‘Questo è un cane’. Le note di Eliot non riescono a spiegare qualcosa, essendo altrettanto confuse e incomplete… gli imprestati gioielli che Eliot ha messo sulla testa del suo rospo non lo rendono più attraente.
Un rospo che nasconde un principe?
Il senso “tecnologico” delle note
Ezra Pound, a tutti gli effetti co-autore de La terra desolata, non ha mai degnato queste note di alcuna considerazione e addirittura potrebbe non averle lette. Possibile?!?
Comunque, non impossibile. Nella prima edizione dell’opera uscita, nell’ottobre 1922 sul magazine “The Criterion”, le note non c’erano. Per quale motivo, allora, Eliot le aggiunse successivamente nell’edizione in libro del dicembre 1922 uscita per l’editore di New York Boni & Liveright?
A spiegarcelo con sufficiente chiarezza è il critico letterario canadese Hugh Kenner, allievo di McLuhan. E la ragione è semplicemente tecnologica, come sono oggi tutte le spiegazioni. Nel suo libro del 1959, The invisible poet: T.S. Eliot, Kenner annota quanto segue.
I libri sono multipli di 32
Faremo bene a scartare le note il più possibile perché hanno guastato la discussione per decenni. La scrittura delle note fu un’ultima complicazione nella turbolenta storia compositiva del poemetto. C’è da dubitare che qualsiasi altro capolavoro conosciuto sia stato così segnato pesantemente, con consenso dell’autore, da forze estranee al suo controllo.
Le note a The Waste Land furono aggiunte come conseguenza del semplice fatto tecnico che i libri si stampano in multipli di 32 pagine e che nella forma di libro il poemetto era troppo lungo per stare nelle 32 pagine e troppo corto per stare in 64.
Così Eliot, non volendo reinserire Gerontion [un suo poemetto dei 1920] come prefazione e neppure le liriche cancellate [anche da Pound], si mise a espandere le note, inizialmente pensate per le sole citazioni.
La tecnologia ha sempre condizionato il contenuto. Oggi, per esempio, il poemetto si potrebbe facilmente pubblicare senza note con la tecnologia del libro elettronico e del print-on-demand. Nel 1922 per una ragione “banale” è avvenuto, secondo il già citato F. L. Lucas che “fra i vermi che nascono dalla corruzione della poesia ha agito uno dei più comuni, il tarlo del libro”. Un tarlo che consuma tutti gli scrittori.
Twit
Lasciamo perdere le note e torniamo al testo. A me piacciono moltissimo le ripetizioni (mi viene in mente il geniale Non ci resta che piangere, su Disney+) e mi piacciono ancor di più le onomatopee da fumetto (che non hanno bisogno di nessuna traduzione).
Twit, twit, twit
Jug jug jug jug jug jug
Sempre per me, e soprattutto per l’insegnante di lettere che se l’è fatto tatuare su un braccio, il verso più drammatico è:
su questi frammenti ho puntellato le mie rovine
[these fragments I have shored against my ruins]
Dal testo risulta molto criptico [senza andare alle note] individuare di quali frammenti si stia parlando (la parola “franti” appare anche in un altro contesto). Ce lo ha detto bene, però, il critico Gilbert Seldes che scrisse una recensione su “The Nation” proprio all’indomani della pubblicazione del poemetto. Ecco che cosa scrisse.
I frammenti di ciò che non c’è più
Il tema [de La terra desolata] non è un disgusto per la vita, né è una disillusione, un pessimismo romantico di qualsiasi genere. È specificamente basato sull’idea della Terra Desolata – sul fatto che la terra era fertile e ora non lo è più, che la vita è stata ricca, bella, sicura, organizzata, sublime, e ora si trascina in un tedio brutto e disgregato e impoverito, che in essa non c’è salute né consolazione nella morale; al poeta può restare il lavoro della poesia, ma nel poemetto rimangono solo «these fragments I have shored against my ruins» – le tracce infrante di ciò che fu […] c’era un’intensità di vita, una germinazione e una fertilità che ora sono sparite, e che perfino la fantasia creatrice, perfino l’allucinazione e la visione si sono atrofizzate, di modo che mai più l’acqua sarà fatta scaturire da una roccia nel deserto. Bertrand Russell ha detto che a partire dal Rinascimento l’orologio dell’Europa si è andato scaricando […]
Sbrigatevi, per favore, si chiude
Shanit, shanit, shanit.
Un’opera immensamente profetica.
L’ultima parola al sidolizzatore. Il sidolizzatore, affascinato, ha lucidato a lungo, lento e pensoso, tornando senza accorgersene sempre sullo stesso punto…
…shdrusch…shdrusch…shdrusch…