
Buongiorno e buon inizio settimana. Oggi alcune pagine di Gabriel Garcia Marquez. Siamo molto in alto, ci sono ancora i ghiacciai.
Chi sa come si farà
È successo probabilmente a molti di tornare in un luogo dell’immaginazione e di sentirsi spaesati nel trovarlo profondamente diverso, trasformato e forse anche violato.
“Chi sa come si farà?” Sono parole che ci mettono a disagio ascoltando la chiusa de Il ragazzo della via Gluck, celebre brano, ispirato e malinconico, di Celentano.
Possiamo immaginare lo smarrimento di Ljuba nell’apprendere che i ciliegi del suo giardino saranno recisi e il giardino sminuzzato in lotti ad uso di turisti e passanti, distratti. E già si sentono i colpi di scure. Sono colpi al cuore. È un’ablazione. E neppure Anton Čechov è pessimista quanto la situazione esigerebbe.
Una qualche forma diversa di spaesamento, certo meno intima e poetica, la devono aver provata anche gli utenti del PC quando si è loro parato di fronte il nuovo Windows a ‘piastrelle di maiolica’, l’ultimo conato da sbronza di Steve Ballmer. Eh, ma lì c’è stato qualcosa di diverso da uno struggimento. C’è stato un urlo! Quello che si sente spesso nelle piazze di Grillo.
Però il sentimento di non ritrovare più “quel” luogo dell’immaginazione, o nel ritrovarlo sfigurato, non rimane lì, fermo come un sasso. Esso corre invece a formare un corpo morale e anche un giudizio storico. E il giudizio storico, questo sì, tende a pietrificarsi.
L’inevitabile giudizio della storia
Come potrebbe mancare un giudizio storico per l’indolenza e l’incuria di aver lasciato soffocare i campi della via Gluck sotto il catrame e il cemento; o per non aver sottratto i ciliegi ai colpi d’ascia; o non essersi presi cura dell’annunciata agonia di un grande fiume come il Mekong dal quale è scomparso il 90% della vita.
Nel nostro destino c’è davvero una infelice modernizzazione senza sviluppo come Giulio Sapelli intitola uno dei suoi libri migliori (il 6 agosto in promozione su Amazon). In esso indugia, da par suo, sullo sguardo lucido e implacabile di Pier Paolo Pasolini sul nostro arido tempo e sulla mannaia della ragione strumentale.
A proposito di grandi scrittori e grandi sensibilità. Se ci fermiamo e pensiamo, un giudizio storico di fondo si rintraccia anche in alcune pagine di Gabriel Garcia Marquez, il grande inventore di storie mondane, oniriche, carnali e lussureggianti, srotolate con una scrittura rigogliosa e ironica come la sua terra. Prendiamo qualche breve passo dal romanzo L’amore ai tempi del colera.
Il paradiso primitivo del fiume della Magdalena
Riguarda il grande fiume della Magdalena che è una presenza palpabile e irremovibile nell’immaginario dei protagonisti.
Siamo naturalmente in Colombia, a Cartagena de Indias, che si affaccia sul Mar dei Caraibi a cavallo tra l’ultimo trentennio del 19° e il primo del 20° secolo.
Molti avranno letto il libro e spero di non disturbare future letture con queste brevi estrapolazioni.
Se avete solo due ore per Marquez, perché in italiano escono 300 libri al giorno, potete ripiegare, per ora, sul lodevole film di Mike Newell (su RaiPlay) con Javier Bardem (Florentino Ariza), Giovanna Mezzogiorno (Fermina Daza) e Benjamin Bratt (Dr. Juvenal Urbino). Naturalmente, tutto il rigoglioso albero narrativo di Marquez sparisce e nella pellicola rimane solo il tronco.
Il viaggio di riposo lungo il fiume
Siamo quasi alla fine del romanzo. Morto “finalmente” a 81 anni Juvenal Urbino, Florentino Ariza dopo un’attesa di cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni con le rispettive notti si presenta a Fermina Daza, amore della sua vita, ormai vedova e sola.
La donna, dopo qualche resistenza, lo accetta e Florentino, ormai proprietario della C.F.C.—Compagnia fluviale dei Caraibi, le rivolge un invito formale per fare un viaggio di riposo lungo il fiume [il grande fiume Magdalena].
Lei sentiva un’attrazione molto forte per il fiume voleva vedere i caimani che prendevano il sole sugli arenili, voleva essere svegliata nel mezzo della notte dal pianto da donna dei manati, ma l’idea di un viaggio così difficile, alla sua età, e inoltre vedova e sola, le sembrava irreale….
Florentino le portò mappe della rotta per entusiasmarla, cartoline di crepuscoli furibondi, poesie sul paradiso primitivo del fiume della Magdalena scritte da viaggiatori illustri, o che avevano finito per diventarlo grazie all’eccellenza della poesia.
A bordo della Nueva Fidelidad
Alla fine la donna si convince e i due aspiranti fidanzati, ormai settantenni (lui 76 e lei 72), salpano il 7 luglio 1924 sul battello a ruota dal nome “Nueva Fidelidad” dove Florentino ha fatto costruire una cabina presidenziale del tutto speciale.
Florentino Ariza l’aveva fatto costruire per l’immagine pubblica non appena era stato nominato presidente della C.F.C., ma con la certezza interiore che prima o poi sarebbe stato il rifugio felice del suo viaggio di nozze con Fermina Daza.
Il primo viaggio terapeutico
Florentino conserva un ricordo molto tenero del suo “viaggio terapeutico” sul fiume, quando aveva accettato un impiego da telegrafista dallo zio León XII Loayza, amministratore della compagnia fluviale, che lo aveva spedito lontano da Cartagena de Indias. Ma era presto tornato indietro perché mai più avrebbe lasciato la città di Fermina Daza.
Florentino Ariza sopportò i rigori del viaggio con la pazienza minerale che sconfortava sua madre ed esasperava i suoi amici. Non legò con nessuno. Passava le giornate seduto davanti alla balaustra, guardando i caimani immobili che prendevano il sole sulle spiagge con le fauci aperte per acchiappare farfalle, vedendo gli stormi di aironi spaventati levarsi d’improvviso sui pantani, i manati che allattavano i piccoli con grandi tette materne e sorprendevano i passeggeri con pianti da donna… tra lo schiamazzo dei pappagalli e il bailamme delle scimmie invisibili.
L’illusione della memoria
Ma quel ricordo del fiume è solo un’illusione della memoria:
Florentino Ariza, in effetti, era stupito dei cambiamenti, e lo sarebbe stato ancora di più il giorno dopo, quando la navigazione divenne più difficile, e si accorse che il fiume della Magdalena, uno dei più grandi del mondo, era solo un’illusione della memoria.
Il capitano Samaritano spiegò come il diboscamento irrazionale vi avesse messo fine in cinquant’anni: le caldaie dei battelli avevano divorato la foresta aggrovigliata di alberi colossali che Florentino Ariza aveva sentito come un’oppressione durante il suo primo viaggio.
Gli animali da sogno non c’erano più
In 50 anni era accaduto l’irreparabile.
Fermina Daza non avrebbe visto gli animali dei suoi sogni: i cacciatori di pelli delle concerie di New Orleans avevano sterminato i caimani che facevano i morti con le fauci aperte per ore e ore sui banchi della riva per sorprendere le farfalle, i pappagalli con i loro schiamazzi e i mandrilli con i loro urli da matti erano morti a mano a mano che finivano le fronde, i manati dalle grandi tette da madri, che allattavano i loro piccoli e piangevano con voce da donna afflitta sui grandi arenili, erano una specie estinta a causa delle pallottole blindate dei cacciatori dilettanti…
Il capitano Samaritano nutriva un affetto quasi materno per i manati, che gli sembravano signore condannate per qualche smarrimento amoroso, e riteneva vera la leggenda che fossero le uniche femmine senza maschi nel regno animale. Non aveva mai lasciato che da bordo sparassero contro di loro, com’era abitudine, sebbene ci fossero leggi che lo proibivano.
E alla fine ne rimase uno … salvato dal capitano coraggioso
Eppure qualcosa bisognava fare: non si poteva restare fermi con le mani nelle mani contro il silenziamento degli innocenti.
Un cacciatore della Carolina del Nord, con i documenti in regola, aveva disobbedito agli ordini e aveva sfracellato la testa di una madre di manato con un colpo preciso del suo Springfield, e il piccolo era impazzito di dolore piangendo e gridando sul corpo esanime.
Il capitano aveva fatto imbarcare l’orfano per farsi carico di lui, e aveva abbandonato il cacciatore sull’arenile deserto vicino al cadavere della madre assassinata.
Era rimasto sei mesi in carcere, per proteste diplomatiche, e sul punto di perdere la licenza di navigazione, ma era uscito deciso a rifare la stessa cosa tutte le volte che ne avesse avuto l’occasione.
Tuttavia, quello era stato un episodio storico: il manato orfano, che era cresciuto e aveva vissuto per molti anni nel parco di animali rari di San Nicolás de las Barrancas, era stato l’ultimo a essere visto nel fiume.
Il silenzio della terra depredata
Un paesaggio desolato e desertificato colpisce come una lingua di fuoco lo sguardo dei passeggeri della Nueva Fidelidad che deve gettare l’ancora per rifornirsi di legna della quale non si vede più traccia nella foresta che una volta avvolgeva il fiume.
I giorni successivi furono caldi e interminabili. Il fiume divenne torbido e si fece sempre più stretto, e al posto del groviglio di alberi colossali che aveva sbalordito Florentino Ariza durante il primo viaggio, c’erano pianure calcinate, residui di foreste intere divorate dalle caldaie dei battelli, rovine di villaggi abbandonati da Dio, le cui strade rimanevano allagate anche nei periodi più crudeli della siccità.
La notte non li svegliavano i canti da sirene dei manati sugli arenili…
Invece del baccano dei pappagalli e dello schiamazzo delle scimmie invisibili, che in altri tempi accrescevano l’afa del mezzogiorno, rimaneva solo il vasto silenzio della terra depredata.
C’erano così pochi luoghi dove far legna, ed erano così lontani fra di loro, che il Nueva Fidelidad si ritrovò senza combustibile al quarto giorno di viaggio. Rimase ormeggiato quasi una settimana, mentre le sue squadre si addentravano in pantani di cenere alla ricerca degli ultimi alberi dispersi.
Non c’è più niente da fare
Ma gli alberi non ci sono più come nel giardino dei ciliegi.
Non ce n’erano altri: i taglialegna avevano abbandonato i sentieri fuggendo dalla ferocia dei signori della terra, fuggendo dal colera invisibile, fuggendo dalle guerre larvate che i governi si ostinavano a tenere nascoste con decreti fuorvianti…
Già molto prima di essere presidente della C.F.C., Florentino Ariza riceveva rapporti allarmanti sulle condizioni del fiume, ma li sfogliava appena. Tranquillizzava i suoi soci: “Non preoccupatevi, quando la legna sarà finita ci saranno battelli a petrolio”. Non si era mai preso la briga di pensarci, obnubilato dalla passione per Fermina Daza, e quando si rese conto della verità non c’era più nulla da fare, se non costruire un fiume nuovo…
«Non c’è problema» rideva il capitano, «fra pochi anni verremo su per il letto secco in automobili di lusso.»
Il tribunale della storia
Queste pagine sono state scritte nel 1965. Saranno messe agli atti quando il Tribunale di Norimberga per l’ambiente sarà chiamato a dare non solo giudizio storico, ma anche a emettere una sentenza inappellabile. Uno dei principali imputati sarà lo strafottente O’Leary di Ryanair.
Un buon film sul Processo di Norimberga con Alec Baldwin, Brian Cox (Hermann Göring), Christopher Plummer è a noleggio su tutte le piattaforme. Giusto per un ripasso.
I passi de L’amore ai tempi del colera sono tratti dall’edizione Kindle degli Oscar Mondadori, Traduzione di Angelo Morino.
Prima di andare
Diritti morali della natura. Per restare su questo argomento vorrei invitarvi a sfogliare l’intervento del filosofo tedesco Bernd Ladwig ospitato su MicroMega nell’ottima traduzione di Cinzia Sciuto. Ladwig discute il tema del riconoscimento di diritti morali a entità come gli ecosistemi, gli ambienti naturali o la Terra in sé.
L’ultima parola al sidolizzatore. Dopo l’attenta lettura dell’articolo di B. Ladwig il sidolizzatore attira l’attenzione dei lettori sulla traduttrice dell’articolo, Cinzia Sciuto, filosofa, caporedattrice di MicroMega, scrittrice e invita a meditare sul suo libro Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo, Feltrinelli, Milano, 2018, un saggio che smaschera le pretese velleitarie del multiculturalismo: nel reclamare riconoscimento e rispetto delle identità delle diverse componenti etniche, religiose e culturali di una società, il rischio è perdere di vista che il soggetto titolare di diritti è solo ed esclusivamente il singolo individuo e non i gruppi. Sciuto capovolge l’ordine di priorità: è l’individuo a essere portatore di identità e appartenenze, non è l’appartenenza a definire l’individuo.
Un testo lucido che non abbisogna di sidol…