[Terzo episodio della serie “Dietro una canzone”]
Già pubblicati:
1. Ohne dich, Rammstein
2. Trans-Europa Express, Kraftwerk
3. Daimond & Rust di Joan Baez
4. Ballad in Plain D di Bob Dylan
Buongiorno e buon inizio settimana. Oggi vorrei aggiungere un nuovo episodio alla serie “storia di una canzone”.
A te ruggine, a me i diamanti
Vi palerò di Diamond and Rust (1975) di Joan Baez, da molti considerato il brano migliore scritto, musicato e interpretato dalla cantante di Staten Island.
Prima di tutto ascoltiamolo.
Un pezzo sensazionale che senz’altro fa il paio con un’altra grande ballata, "Here's to You”, sempre scritta e interpretata dalla Baez su musiche di Ennio Morricone. La canzone apre e chiude, dopo le parole “come vuole la legge, io ti dichiaro morto”, il film Sacco e Vanzetti (1971) di Giuliano Montaldo con Riccardo Cucciola e Gian Maria Volontè (Su Prime Video e YouTube).
Secondo il sito specializzato Setlist.fm, che traccia i brani eseguiti dagli artisti nei concerti, Joan Baez ha cantato 243 volte Diamond and Rust. Altri 52 artisti l’hanno interpretata 1138 volte. Dal vivo l’ha cantata pure Bob Dylan.
La canzone della Baez parla proprio dell’“unwashed phenomenon” [il fenomeno che non si lava] e dei sentimenti smossi in lei da una inattesa telefonata dell’“original vagabond”, sempre Dylan, da un cabina del Midwest, a 10 anni di distanza dallo scioglimento del loro rapporto.
La ragazza della conchiglia
Si sa che in quel torno di tempo (metà anni settanta) il matrimonio di Dylan con Sara Lownds stava andando a rotoli e possiamo anche avere un’idea di che cosa può succedere in una difficile congiuntura come quella. Tra le altre cose, si va indietro con la macchina del tempo e si finisce per telefonare alle ex, sempre che ci siano quelle giuste.
Ma non a tutte come fa a manetta Woody Allen in Io e Annie. Si chiamano quelle meno agre, più materne, perché il materno è un eterno ritorno nelle persone adulte di genere maschile.
Per me, ma non sono qualificato ad asserirlo perché manco, come direbbe Hume, dell’esperienza, i versi e anche la musica di Diamons and Rust stabiliscono un archetipo di reazione femminile al ritorno del materno nel maschile in certe situazioni di forte pressione emotiva e sentimentale.
Canta la Baez:
You [already a legend] strayed into my arms
And there you stayed
Temporarily lost at sea
The Madonna was yours for free
Yes, the girl on the half-shell
Could keep you unharmed
[Ti sei perduto nelle le mie braccia
e lì sei rimasto,
alla deriva
ero la tua Madonna donata
sì, la ragazza della conchiglia
che ti proteggeva]
Come non si può non invocare, quando si è nell’abisso, la persona della conchiglia che ti salva dalla sventura?
Bobby, il fenomeno, il vagabondo
Come racconta la Baez nella sua autobiografia, E una voce per cantare. La mia vita, la mia musica pubblicata in Italia da Bietti con una introduzione di Lidia Ravera, ha conosciuto Bob Dylan nel 1961 al Gerde’s Folk City, nel Greenwich Village a New York City.
[Vai all’estratto dell’autobiografia di Joan Baez relativo al rapporto con Bob Dylan].
Scrive la Beaz:
Era un tipo assurdo, singolare e sudicio oltre ogni dire… Avevo solo sei mesi più di lui, ma mi sentivo sua madre.
Appunto l’“unwashed phenomenon”e la “Madonna for free”. E continua:
Era fragile come una foglia d’inverno… [unharmed]. Pareva un bambino con gli abiti della domenica … con addosso una giacca troppo grande e i gemelli nuovi ai polsini [I bought you some cufflinks], e io sembravo sua madre… Ma ero anche la sua sorella mistica, la compagna ribelle, il punto di riferimento e, come lui, ero una star della scena musicale underground.
Forse, in quel momento, lo era più di lui.
Nel 1965 Dylan, dopo la tourné inglese, un vero calvario per Joan ignorata dal partner di vita e artistico, avrebbe sposato Sara Lownds e la Baez sarebbe caduta in un abisso.
In Diamond and Rust la Baez introduce indirettamente la promiscuità di Dylan in quegli anni.
I bought you some cufflinks
you brought me something
[Ti ho comprato dei gemelli
Anche tu mi ha portato qualcosa]
Quel qualcosa era un cappotto verde e una “bella camicia da notte azzurra” che Joan aveva trovato nella comune casa di Woodstock. Quando la Baez l’ha riferito a Sara, dopo che le due donne sono diventate amiche, questa ha esclamato “Ah, ecco dov’era finita!”. Dylan era pure spilorcio, turnava i regali tra le partner.
A proposito di geni
Uno dei meriti di Bob Dylan, gli altri li lascio elencare a voi, è che il suo spirito di instancabile e sfrontato innovatore seriale ha nutrito il pensiero e l’azione delle persone che hanno iniziato la rivoluzione del computer.
Questo senza che mai Bob Dylan ne abbia avuto uno o dato a intendere di aver capito qualcosa di quello che aveva ispirato. Quando gli inviarono un Mac, come tributo al suo semplice esistere, neppure lo ritirò dal fattorino. Lo riportarono al mittente, Steve Jobs.
Dico, ma si può rifiutare un Mac solo perché ci si è alzati male?
Certo neppure è andato a ritirare il premio Nobel per la letteratura che era capitato a una manciata di grandissimi scrittori americani. Sembra che avesse un concerto quella sera.
Nella biografia ufficiale di Jobs scritta da Walter Isaacson, Dylan è citato 76 volte, i Beatles 42 e Joan Baez 30. Jobs frequentò la Baez anche per un breve periodo. La forza della musica muove il mondo.
Jobs aveva un bootleg del suo concerto predilettio: l’esibizione dal vivo di Dylan con Joan Baez, il giorno di Halloween del 1964 al Lincoln Center di New York. C’era molto Dylan in Apple. Jobs nel gennaio 1984 aprì l’evento di lancio del Mac proprio leggendo la seconda strofa di The Times They Are A-Changing.
Anche il ventenne Jobs era un “unwashed phenomenon” a tal punto che Nolan Bushnell, il suo primo mentore, stava per buttarlo fuori dalla Atari perché puzzava, ma poi lo mise nel turno di notte.
Il giovanotto che non sa un c….
La poesia di Joan Baez sarà pur stata “lousy” (scadente) come le diceva Dylan, ma graffiava come la sua, se non di più. Bastava starla a sentire. Ma i geni ascoltano? Come si fa a essere geni senza ascoltare?
Leggete questa conversazione avvenuta nel 1978 e riferita dalla Baez nella sua citata autobiografia:
Dylan (affabile): «Hai intenzione di cantare quella tua canzone sulle uova di pettirosso e i diamanti?»
Baez (sorpresa): «Quale?».
Dylan (accogliente): «Lo sai, quella sugli occhi azzurri e i diamanti...».
Baez (sorniona): «Ah vuoi dire Diamonds and Rust, la canzone che ho scritto per mio marito David, quando stava in prigione».
Dylan (perplesso): «Per tuo marito?».
Baez (a muso duro): «Già. Perché, di chi pensavi che parlasse la canzone?»
Dylan (seccato): «E che cazzo vuoi che ne sappia io?».
Baez (materna): «Non importa. Beh, sì, la canto, se ti va».
Come “che cazzo ne so?”.
Quel “giovanotto geniale” dalla “vomitevole giacchetta” neanche aveva il minimo sentore che Joan Baez aveva scritto una canzone su di lui. Non sapeva che il signore dagli “occhi più blu delle uova del pettirosso” [I remember your eyes / Bluer than robin’s eggs] che era in Diamond and Rust non era affatto David Harris l’ex-marito di Joan (in carcere a Los Angeles per renitenza alla leva), ma proprio lui, Bobby.
Il giovanotto era fatto così. Dylan era sempre in qualcosa, nel Mac, in Diamond and Rust, nei pensieri dei movimenti radicali degli anni Sessanta, nel Nobel, ma a lui non fregava un fico secco di esserci.
Tonalità ruggine
Torniamo a Diamond and Rust. Il colore della ballata è steso ad ampie campiture sin dalla prima strofa che si apre con “Maledizione” (Well I’ll be damned) e nei versetti seguenti all’imprecazione spuntano alcune parole-chiave del genere horror-psicologico: fantasma (ghost), luna piena (moon is full), insolito (unusual) e caduta (fall). Un attacco così avrebbe potuto scriverlo il vetriolico Bob Dylan.
Well I’ll be damned
here comes your ghost again
but that’s not unusual
it’s just that the moon is full
and you happened to call
Ecco, dall’altro capo del telefono, una voce che Joan non ode da secoli (Hearing a voice I'd known / A couple of light years ago) e che la ributta dritta in un abisso (Heading straight for a fall) come nel finale di Attrazione fatale (a noleggio sulle piattaforme).
Ma perché il vagabondo ha chiamato?
Lui dice che non è per nostalgia (Now you're telling me / You're not nostalgic). Beh, se non è nostalgia che roba è? La deve articolare in qualche modo, il grande sacerdote delle parole vaghe ed evasive che neppure lui sa dove portano. La Baez ricorda di aver sentito questa frase da Dylan:
Sai, quando creperò, la gente interpreterà tutte le mie cazzo di canzoni. Interpreteranno ogni fottuta virgola. Loro non sanno che cosa vogliono dire. Merda, non lo so neanch’io.
Questo è veramente cattivo:
Now you're telling me
You're not nostalgic
Then give me another word for it
You who are so good with words
And at keeping things vague
Because I need some of that vagueness now
Ricordi
In realtà l’unica cosa che, ancora, può avere un senso tra di loro sono i ricordi. E i ricordi sono diamanti e ruggine. Sono i ricordi a fare l’unicità di una persona, come ci insegna Inside Out (su Disney +).
I loved you dearly.
And if you're offering me diamonds and rust
I've already paid.
[Ti ho amato teneramente
E se mi offri diamanti e ruggine
Ho già dato.]
La chiusa esplicita di Diamond and Rust si trova proprio nella autobiografia di Joan:
Addio, Bob. Pensavo che forse non avrei dovuto scrivere tutte queste cose su di te, ma in fondo si parla comunque di me, no? Non ti farà male.
Materna, nonostante tutto. Nobile Joan!
Prima di andare
Compleanni. Compie 60 anni Lawrence d’Arabia, il film di 3 ore e mezzo diretto da David Lean e vincitore di 7 premi Oscar, con Peter O'Toole, Alec Guinness, Anthony Quinn, Omar Sharif. Su YouTube e a noleggio su tutte le piattaforme.
60 anni anche per 007 licenza di uccidere di Terence Young con Sean Connery e Ursula Andress. Su YouTube e Prime Video. Dal romanzo di Ian Fleming. Rivederlo non foss’altro per due cose: la sequenza Gunbarrell dei titoli di testa e “Bond, James Bond” (l’accendino è Zippo e la sigaretta senza filtro). L’American Film Institute ha inserito la battuta al 22° posto delle 100 migliori del cinema di tutti i tempi. Prima indiscussa: “Francamente me ne infischio”.
Türkiye. L’instancabile Recep Tayyip Erdoğan, con la benedizione di Orhan Pamuk, ha ottenuto dalle Nazioni Unite l’okay a cambiare il nome del suo paese da Turkey (tacchino) in Türkiye (pronuncia tyrchije). Ricordatevene quando siete a Istanbul, altrimenti se dite “tacchino” può essere che non visitate la città.
Il sidolizzatore è in un resort svedese a Castiglione della Pescaia e non ne vuol sapere di lavorare. Il prodotto non sarà dunque lucido come dovrebbe.