
Uno di questi giorni un redattore scrupoloso e diligente mi ha chiesto se doveva chiedere a un autore di tagliare una citazione troppo lunga per via del diritto d’autore.
«Non saprei dirti — le ho detto — ma puoi rivolgere il quesito alla Corte d’Appello per il Secondo circuito degli Stati Uniti d’America a New York che in questi giorni ha deliberato su un caso assimilabile al tuo a proposito di un’opera di Andy Warhol».
Ecco la storia.
I grandi artisti rubano
La Corte d’Appello per il Secondo circuito degli Stati Uniti d’America a New York ha stabilito che Andy Warhol, nel 1984, ha violato il copyright della fotografa Lynn Goldsmith appropriandosi di un suo scatto per realizzare la serie serigrafica della rockstar Prince.
Ad aggravare il fatto ci si è messa la Fondazione Warhol che ha concesso il diritto di riproduzione della serigrafia al magazine “Vanity Fair” per commemorare la scomparsa del musicista. È stato questo uso specifico che ha spinto la Goldsmith a rivolgersi a un tribunale come parte lesa del diritto d’autore.
Nel primo grado, i giudici hanno dato ragione alla Fondazione Wahrol. Ma in appello ha vinto la Goldsmith.
Infatti, secondo la Corte d’Appello, il lavoro di Warhol non aveva trasformato la fonte in misura sufficiente da poter invocare la protezione offerta dal fair use. Pertanto le istanze della Goldsmith sono legittime. Ricordiamo che il principio del fair use non esiste nella legislazione europea.
Parafrasando Picasso, Steve Jobs, che di atti trasformativi se ne intendeva parecchio, diceva con auto-compiacimento “I grandi artisti non copiano, rubano”. Però quando era Bill Gates a rubare, Jobs lo portava in tribunale. Ma Bill non era un artista, ma un mediocre copista (secondo Jobs). “L’unico problema con Microsoft — diceva Jobs — è che, semplicemente, non hanno gusto” né nel copiare, né nel rubare.
Adesso anche Warhol è stato ridotto a una Microsoft qualunque da tre giudici di New York.
Una fotocopia ri-colorata
Secondo questi giudici il riutilizzo Warhol della fotografia di Lynn Goldmisth non solo riproduce pedissequamente la fonte ma non presenta alcun elemento che trasmetta uno scopo artistico differente, un nuovo significato o particolare messaggio. Sostanzialmente è una fotocopia ricolorata.
Pertanto l’opera non può assolutamente rientrare nella protezione assicurata dal fair use all’interno dell’ordinamento giuridico degli Stati Uniti che regolamenta il diritto d’autore.
Una sentenza shock che rischia di rimettere in discussione i fondamenti stessi dell’arte contemporanea.
A chi interessa, qui c’è il testo integrale della sentenza (60 pagine) sul caso.
Su questa vicenda è intervenuto il critico d’arte del “New York Times”, Blake Gopnik, con un articolo al quale il quotidiano di New York ha dedicato un’intera pagina.
È interessante seguire l’argomentazione di Gopnik sul tema dell’appropriazione artistica che, si può scommettere, tornerà spesso a martellare in mondo dell’arte del nostro tempo.
Ho ricevuto a questo post un commento di Paolo Manca, già professore di Matematica finanziaria a Pisa, spirito eclettico e polifono. Lo pubblico qui di seguito.
La diatriba su Warhol mi ha molto interessato. Mi occupo di pittura e scultura da sempre e non posso non esprimermi. Saltando a malincuore alcune necessarie premesse e alcune indispensabili conclusioni su un argomento inesauribile, vengo alla "madre delle osservazioni": Warhol è un artista ma dello spettacolo; come lui, egualmente ammirevoli artisti dello spettacolo Christo, Marina Abramovic e altri che si ispirano quasi certamente a quello scultore originale, ricordato da Papini in "Gog" del 1931, che per rendere unica e irripetibile la sua opera (oggi diremmo performance) scolpisce il fumo.
Resto al binomio di Marangoni "materia e forma" e con soddisfazione prendo atto che esistono ancora geni recenti della pittura e della scultura: ad esempio e volutamente non esaustivo: Moore, Bacon, Basquiat e nel suo piccolo Botero.
D'altra parte oggi tutti devono essere necessariamente originali e anche i critici devono campare e dunque basta considerare arte ogni "attività" che suscita una qualche riflessione estetica nel "fruitore" oppure che suggerisce al fruitore una diversa visione di avvenimenti e oggetti di per sè banali.
Si tratta in fondo di sostenere che arte è tutto ciò che la gente chiama arte e ritornare alla novella del re nudo di Andersen.
(lo so: sono irritante)
Certo Paolo sei irritane, ma se non sei irritante a che cosa servi. Che fai canto nel coro? Tu che sei un baritono!