COPERTINA
Dall’alto in senso orario.
Kirsten Stewart alla prima a Los Angeles del suo nuovo film Love Lies Bleeding, un thriller erotico, leggo.
Kirsten Stewart come Lady Diana in Spencer di Pablo Larraín. Per l’interpretazione della principessa, Kirsten Stewart ha ricevuto una candidatura all’Oscar e una al Golden Globe come migliore attrice protagonista.
J.D. Salinger raffigurato sulla copertina del magazine “Time” del numero del settembre 1961. Non esistono foto ufficiali dello scrittore.
Zendaya anche la giovane attrice è in tour per il suo nuovo film, Challenging. Qui la vediamo durante un evento a Parigi nella campagna per Dune 2. Nota per i suoi vistosi cosplay, l’outfit parigino si avvicina più al “naked dressing” esperito dalla Stewart.
Vincent van Gogh “Il pittore sulla strada per Tarascona”, perduto nel corso della Seconda guerra mondiale.
Matthew Wong “Lo spazio tra gli alberi”, dipinto del 2019, rivisitazione del dipinto di van Gogh mostrato di fianco.
Buongiorno e buona settimana pasquale.
Ecco gli argomenti di oggi.
Quando sei nato non puoi più nasconderti è il bellissimo titolo del romanzo del 2003 di Maria Pace Ottieri pubblicato da Nottetempo. È anche il titolo del film da esso tratto due anni dopo (RaiPlay) di Marco Tullio Giordana.
Oggi vedremo come l’inevitabile atto di venir espulso dal corpo materno e gettato nel mondo non è il solo modo di perdere un sicuro nascondiglio. Succede che se pubblichi una foto non puoi nasconderti una seconda volta.
È successo in Germania a Daniela Klette della Rote Armee Fraktion che dopo 30 anni di latitanza è stata individuata grazie a un software di riconoscimento facciale che la polizia tedesca esita, però, ad usare.
Nel secondo post vedremo un nuovo attivismo di genere di celebrità che va ad impattare il mondo della moda con un vistoso modo di esibire la propria singolarità. È la bravissima Kirsten Stewart a dare l’abbrivio.
Infine parleremo della mostra di un artista sino-canadese in relazione simbiotica con Vincent van Gogh tanto da essere ospitato al Van Gogh Museum di Amsterdam con una personale.
Il grafico della settimana mostrerà il fenomeno scioccante delle auto elettriche in Cina, un luogo dove il futuro c’è già.
Una foto? Meglio di no
Non essendoci foto ufficiali di J.D. Salinger, l’autore del giovane Holden non avrebbe corso il rischio di esser accalappiato da un servizio di riconoscimento facciale e vedere la sua casa assediata dai giornalisti.
Cosa che è invece successa, ma con la polizia, alla terrorista Daniela Klette, del gruppo Baader-Meinhof, latitante da 30 anni e super ricercata in Germania e in altri paesi.
Daniela Klette, oggi 65enne, insieme a due complici ancora a piede libero, aveva messo in atto 13 rapine con un bottino per la Rote Armee Fraktion di due milioni di euro a valori attuali.
Di lei esisteva una sola foto risalente al 1988. Daniela Klette aveva continuato a risiedere a Berlino nel popolare quartiere di Kreuzberg sotto falsa identità. È qui che la polizia l’ha rintracciata e arrestata con tanto di gran cassa.
Invece di 30 anni, a un giornalista canadese di nome Michael Colborne, del sito investigativo Bellingcat, sono bastati 30 minuti per identificare la terrorista e sapere dove si trova.
Ha utilizzato il servizio di riconoscimento facciale (di pubblico dominio) di PimEyes e AWS Rekognition. Daniela Klette aveva commesso la “leggerezza” di comparire in alcuni scatti finiti sui social media.
Perché la polizia tedesca ci ha messo così tanto? La ragione risiede nell’applicazione zelante da parte delle autorità investigative di quel paese delle leggi sulla protezione dei dati e sulla privacy.
Questa politica “supercompliance” trova origine nella storia di sorveglianza dei cittadini durante il nazismo e il comunismo. Una storia di soprusi che ha lasciato un segno profondo in tutti gli strati della società e dello Stato.
Sembra che anche i due complici di Klette siano a Berlino, ma se non pubblicano niente sui social media possono dormire sonni relativamente tranquilli. Adesso sono avvertiti.
Il senso decostruttivista del collant
Qualcuno l’avrà vista come Diana Spencer nel film goticheggiante del 2021 Spencer (NowTV) del bravo regista cileno Pablo Larraín che ha firmato anche lo sconcertante El Conde (Netflix).
Un numero maggiore l’avrà vista nel commercial di Chanel dove si libera dalle bende che la serrano e spicca un salto felino che infrange un muro di cristallo con una grazia degna dello scalpello di Canova.
È l’attrice Kristen Stewart, 33 anni di Los Angeles, padre produttore televisivo e madre sceneggiatrice. Si definisce bisessuale. E stata legata per quattro anni a Robert Pattinson suo partner in Twilight (NowTV).
In questi giorni la Stewart è in tour per promuovere il suo nuovo film Love Lies Bleeding che è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival con un’ottima accoglienza.
Il look della Stewart durante il tour, come pure in altre occasioni pubbliche non è passato per niente inosservato . Difficilmente si era vista una star con così poca roba addosso.
Aveva cominciato a Berlino lo scorso febbraio, quando si era tolta la camicia per la prima europea del film, indossando una gonna a patchwork molto corta, giacca abbinata e reggiseno in maglia.
Poi è venuta la copertina di “Rolling Stone” e l’apparizione a Late Night with Seth Meyers. Infine a Los Angeles per la prima del film: body triangolare molto alto e succinto, collant e tacchi a spillo (vedi copertina).
A quel punto si è capito che dietro questi outfit c’è una precisa strategia decostruttivista. L’intento dell’attrice e della sua stilista, Tara Swennen, è sfidare apertamente i preconcetti sul corpo delle donne e la loro sessualità.
Una alternativa radicale alle aspettative di genere à la Trump secondo il quale “le donne devono vestirsi da donne”. Secondo il movimento transfemminista, però, il ribellismo delle celebrità è un arretramento.
Il tormento dell’esistenza e l’estasi della pittura
Il giovane artista Matthew Wong avrebbe visto coronare il suo sogno se non avesse deciso di lasciarci. Il Museo Van Gogh di Amsterdam gli dedica un tributo importante e significativo.
È la mostra “Matthew Wong | Vincent van Gogh: Painting as a Last Resort”, fino al 1 settembre 2024: sei opere di van Gogh insieme a 41 dipinti e 21 lavori su carta di Wong. Catalogo disponibile su Amazon.
Wong in vita sentiva una forte affinità con il maestro olandese, vissuto 130 anni prima. Nel 2018 inviò un messaggio al suo gallerista “Mi riconosco in lui. Sento l’impossibilità di appartenere a questo mondo”.
Poco meno di un anno dopo si tolse la vita. Aveva appena 35 anni. E van Gogh ne compiva 37 quando compì la stessa scelta. Come van Gogh, Wong ha iniziato a dipingere a 27 anni.
Entrambi hanno dipinto paesaggi con una tavolozza che sembra condivisa. Una tavolozza di pennellate furiose e colori vibranti. Entrambi erano ispirati dall’arte orientale: van Gogh dal Giappone e Wong dalla Cina.
Le ultime di Wong, realizzate nel 2019, l’anno della sua morte, “Notte stellata” e “Lo spazio tra gli alberi”, sono un aperto tributo a van Gogh. Il secondo a un suo quadro perduto, “Il pittore sulla strada per Tarascona”.
La figura solitaria al centro nel dipinto di van Gogh è stata sostituita in quella di Wong da una panchina di un parco di Edmonton, la città canadese dove l’artista ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.
Su quella panchina ha trascorso molti momenti di angoscia e di tormento. Lo stesso tormento che lo ha connesso alla pittura di van Gogh vissuta come estasi. Tormento ed estasi appunto.
Il grafico della settimana: l’auto elettrica in Cina
Nel 2023 un auto su tre prodotta in Cina è stata elettrica o ibrida. La produzione di auto con motore a scoppio nel 2023 è diminuita del 37% rispetto al dato del 2017. Un trend che ha messo in crisi le fabbriche dei costruttori stranieri in Cina.
Leggo, però, che il numero di auto in Cina è ancora molto basso: 185 veicoli per 1.000 abitanti. Negli Stati Uniti ci sono quasi 800 veicoli per 1.000 abitanti e in Germania 580.
La Cina è comunque diventata la maggiore esportatrice di auto come si vede dal grafico sotto, distanziando un bel po’ i due paesi fino al 2021 leader. il Giappone e la Germania
Accogliamo volentieri questa nota del nostro sidolizzatore che è tornato.
“Auto elettrica” è religione cinese, fatta propria dai tedeschi che, manipolati gli scarichi del diesel, scioccati dalla pandemia, dalla dipendenza dai carburanti fossili e dallo spauracchio della perdita di egemonia nell’automotive, ne sono diventati i profetici quanto dogmatici apostoli. Crocifisso ben bene il motore a scoppio, verrà una pasqua di resurrezione anche per esso. Tranquilli.