COPERTINA
Dall’alto in senso orario.
Buddy (Jude Hill), che interpreta il regista da bambino, nel film Belfast (Prime Video) scritto e diretto da Kenneth Branagh, candidato a 7 premi Oscar e altrettanti Golden Globe. Esercizio di stile e di eleganza in un bel bianco e nero che mostra una realtà in bianco e nero..
Matt Dillon, Rusty James nel film di Francis Ford Coppola del 1983 Rumble Fish (in italiano, Rusty il Selvaggio, tutte le piattaforme a noleggio). Abbiamo anche Mickey Rourke come il ruvido e carismatico "The Motorcicle Boy". Girato interamente in bianco e nero con l’ultima scena a colori fa da pendant a Belfast, dove anche le prime scene sono a colori.
Picnic ad Hanging Rock, tre delle quattro ragazze scomparse misteriosamente il giorno di San Valentino del 1900 durante una visita al luogo sacro degli aborigeni, la formazione rocciosa di Hanging Rock nello stato di Victoria, in Australia. Siamo nel film del 1975 (Prime Video) scritto da Joan Lindsay e Cliff Green e diretto dal regista australiano Peter Weir. Vanta svariati tentativi di imitazione.
Jesse Eisenberg come Mark Zuckerberg nel film del 2010 The Social Network (Prime video, a noleggio) scritto da Aaron Sorkin e diretto da David Fincher. 9 nomination agli Oscar con tre premi, 6 ai Golden Globe con 4 premi pesanti (miglior film, regia, sceneggiatura, colonna sonora). Forse Aaron Sorkin aveva visto giusto mettendo in bocca alla ragazza di Mark, Erica, queste parole: “Sarai un mago del computer, … ma sei un grande stronzo”.
Dustin Hoffman, come Ben Braddock e Anne Bancroft, come Mrs. Robinson, nel notissimo Il Laureato del 1967 (sulle principali piattaforme, a noleggio). Il regista Mike Nichols è stato premiato con l’Oscar alla regia. Colonna sonora suprema con tre pezzi di Paul Simon cantati con Art Garfunkel, The sound of silence, April come she will, e Mrs. Robinson scritto appositamente per il film.
Meg Ryan (la libraia) e Tom Hanks (il direttore della catena libraria) nel delizioso film del 1998 di Nora Ephron C’è post@ per te (sulle principali piattaforme, a noleggio) remake attualizzato di un film di Lubitsch del 1940.
Buongiorno e buon inizio settimana
Subito una cosa a cui non potete sottrarvi.
Belfast
È la visione di Belfast, il film dello shakespiriano Kenneth Branagh che Prime Video rende disponibile agli abbonati, senza alcun supplemento (sempre più spesso richiesto).
Il film è stato candidato a 7 premi Oscar e altrettanti Golden Globe. In entrambi l’artista irlandese/inglese/europeo (come si deve dire?) ha portato a casa il premio meritatissimo per la migliore sceneggiatura originale.
Belfast oggi è un posto quasi normale, ma alla fine degli anni Sessanta, il tempo nel quale Branagh ambienta la storia della sua famiglia, non era proprio Bachmut, ma poco ci mancava.
Kenneth Branagh, che ora ha preso a dilettarsi con pregevoli adattamenti filmici dei gialli di Agatha Christie, già tre sono, dove lui è un baffuto Poirot, è nato nel 1960 a Belfast in una famiglia protestante di orientamento progressista.
Kenneth (che nel film è il pre adolescente Buddy) ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza nella città dove è stato costruito il Titanic, al quale è dedicato un museo.
Il film è una costruzione di memoria. Si svolge quasi interamente in una strada di Belfast abitata da protestanti e cattolici. Qui abbiamo la casa a schiera di Buddy, la scuola, i due bellissimi genitori (la madre è la supermodella irlandese Caitríona Balfe), il fratello Billy, i nonni (la nonna è Judi Dench, 88 anni e ancora trafigge lo schermo), Catherine la bimba di famiglia cattolica che scambia sguardi intensi con Buddy.
Figure tutte che si distaccano gentilmente, come nello stiacciato di un bassorilievo, da uno sfondo continuamente percorso da tensione sempre certificata dalle onnipresenti recinzioni spinate.
Alcuni hanno visto nel film una certa vena retorica. Per me non c’è. Non c’è perché non vedo costrutto artificiale di sentimenti e di stati d’animo; vedo solo memoria nutrita di nostalgia per un luogo di formazione.
Il film è in un bianco e nero pulito con il fotogramma finale a colori che linka a un altrettanto piccolo grande film di Francis Ford Coppola del 1983, Rumble Fish.
Calvino agli antipodi
Il 15 ottobre e il 2 novembre sono da segnare. A così ravvicinata distanza è avvenuta la comparsa e la scomparsa dei due maggiori scrittori/intellettuali italiani dello scorso secolo.
100 anni fa il 15 ottobre 1923 nasceva a L’Avana, Cuba (e meno male che non c’era lo ius soli!) Italo Calvino e il 2 novembre 1975 se ne andava prematuramente Pier Paolo Pasolini.
Il carattere di Calvino esce tutto fuori dall’“Ultima lettera a Pier Paolo Pasolini” che lo scrittore consegnò al “Corriere della Sera” e che il giornale pubblicò come editoriale martedì 4 novembre 1975. “Non si deve mai essere cinici, nemmeno per scherzo”, scrive Calvino in questo testo un po’ autocritico.
Per il 100° di Calvino c’è il tutto esaurito. Un pertugio c’è ancora per infilarci due libri, …due libri agli antipodi. Non nel senso del contenuto, ma proprio geografico.
Se dal centro di Milano, dove ha sede l’editore del primo libro, si fa un foro senza fermarsi si sbuca a Wellington in Nuova Zelanda dove vive l’autore del secondo.
Il primo libro è di Domenico Scarpa, critico letterario e molte altre cose, che vive e lavora a Pisa. Il suo Calvino fa la conchiglia. La costruzione di un scrittore, editore Hoepli, fa proprio quello che promette il titolo molto calviniano, tra l’altro.
Il secondo è un tributo brillante e originale all’opera più sofisticata di Calvino. È Intelligible cities di David Groves, editore goWare. È scritto in inglese ma poteva esserlo in italiano tanto l'autore domina la nostra lingua e la nostra letteratura. Per più di un trentennio Groves ha insegnato italiano alla Victoria University della capitale di Aotearoa-Nuova Zelanda.
Da prendere entrambi i libri per onorare anche l’incontro tra l’Italia e gli All Blacks ai campionati del mondo di rugby. Naturalmente lo scorso venerdì, ci hanno fatto più del solito a pezzi: 96-17. Li batteremo a volley.
L’araba fenice di Meta
Ci sarà qualcosa di più flatulente e olezzante di Facebook? Nooo! Forse la chiusa de I racconti di Canterbury (YouTube), il film di Pasolini del 1971.
A un certo punto Facebook era talmente avariato che si sono dovuti inventare Meta, la strada al metaverso, per ora pupazzi privi di gambe in ambienti caricaturali. Poi è arrivata l’onda dell’intelligenza artificiale.
Mi costa dirlo, a Meta ci sono delle teste d’uovo. Per questo pregio è un’araba fenice che risorge sempre dalle sue ceneri.
Per me Meta ha l’idea e il progetto migliori d’intelligenza artificiale generativa. Era partita malissimo, come al solito.
Però lo scorso mercoledì alla Connect developer conference si è visto qualcosa di notevole. Invece di costruire una soluzione generale “fine di mondo”, come è la bomba dei russi nel Dottor Stranamore, Meta farà interagire gli utenti, a seconda dei loro interessi, con una pletora di chatbot specialistici.
Per ora sono 28 ad assumere le sembianza, la voce e lo stile di personaggi famosi i quali hanno accettato di diventare degli avatar del servizio. Un’idea che viene e che tornerà nel metaverso. Ci saranno “avatar esperti” in ogni campo d’interesse.
Il sistema, definito “persona-based chatbots”, è disponibile negli USA in beta mode su Facebook, Instagram e WhatsApp. Gli sviluppatori e anche gli utenti comuni potranno aggiungerne dei propri avatar chatbot con un tool specifico fornito da Meta.
Quest’ultima ha dichiarato:
“A differenza dei nostri concorrenti, non crediamo che ci sarà un’unica superintelligenza per tutti i bisogni. Pensiamo, invece, che ci saranno tante intelligenze diverse e specializzate per trovare informazioni, comunicare, intrattenersi, giocare, studiare, aiutare a svolgere il lavoro e altro ancora”.
Super ben detto! Vediamo se sarà anche fatto decentemente. La sfida è qui.

La MORTE della email
[Morte è barrato]
Per andare a Londra adesso ci vuole il passaporto e tra un po’ il visto. Non credo che ciò c’impedirà di visitare questa città che accende l’immaginazione.
Chi ci capitasse prima del 22 ottobre potrebbe recarsi al Design Museum per vedere una singolare mostra a ingresso gratuito. Buono il gratis, visto i prezzi pazzi che ci sono a Londra!
La mostra è “Email si Dead” con la parola “Dead” barrata in un modo qui irriproducibile. È stata ideata dal norvegese Christian Widlic, il direttore creativo di Intuit MailChimp, la piattaforma di email marketing. MailChimp è anche lo sponsor della mostra.
Il Design Museum si trova nel quartiere di Kensington a 8 minuti di cammino dalla fermata della metropolitana di High Street Kensington sulla linea verde (District) e gialla (Circle).
Vale la pena di recarvisi solo per odorare la fragranza delle email. Sembra che odori di pulito e di fresco. Lo snorting di una email, parte del percorso interattivo, è un’esperienza che avviene all’interno di una grande busta gialla da lettere.
C’è naturalmente la storia della email, Si discute animatamente su chi l’abbia inventata. Sta di fatto che la regina Elisabetta II è stata la prima persona alla testa di un paese a inviarne una, utilizzando Arpanet (la madre di tutte le reti geografiche) durante un evento nel 1976.
La email è davvero morta? Si calcola che nel mondo ci siano oltre 4,3 miliardi di persone che la utilizzano. Nel 2026 si salirà 4,7 miliardi. I ricavi generati dall'e-mail marketing toccano i 10 miliardi di dollari.
Questi dati dovrebbero confortare chi inizia a sentirsi “sclero” per usare la email invece di sistemi più à la page, specialmente tra i giovani. Già gli egizi e i persiani usavano le lettere postali. Chi sa se i terriani tra duemila anni useranno ancora Slack?
Per questo ci vuole il barrato su DEAD.
Grafico della settimana: The sound of silence
La straordinaria composizione di Paul Simon, eseguita con Art Garfunkel e scelta come pezzo d’apertura dello straordinario film di Mike Nichols Il Laureato (Prime Video), potrebbe essere il suono della Voce (The Voice) delle popolazioni native dell’Australia dopo il referendum del 14 ottobre.
Il referendum possono essere davvero un boomerang, un’arma che i nativi dell’isola sanno agguantare meglio dei politici quando torna indietro. Solo otto dei 44 referendum tenuti in Australia hanno avuto successo.
Quest’ultimo, solo qualche mese fa, sembrava farcela. Nel mese di Marzo 2023 il governo laburista ha chiamato gli australiani a dare il proprio sì o no il prossimo 14 ottobre alla istituzione di un organismo consultivo del Parlamento di Camberra, “The Voice”.
The Voice avrebbe il compito di consigliare i legislatori sulle misure per migliorare le condizioni di vita ed elevare il ruolo delle popolazioni indigene del paese. Questo cambiamento dovrebbe entrare anche nella Costituzione dell’Australia.
Perché c’è stato del marcio in Australia. Gli aborigeni, vessati e prevaricati, sono stati riconosciuti come cittadini australiani a pieno titolo solo nel 1967. I canadesi e i kiwi sono stati meno duri con le rispettive popolazioni indigene.
In Australia c’è, invece, una ferita aperta che il primo ministro di origini italiane Anthony Albanese pensava di mendare con “The Voice” e la legittimazione del referendum.
Guardate in questo grafico che cosa sta succedendo. Albanese si troverà nelle condizioni post referendarie simili a quelle di Cameron, degli scozzesi e anche del nostro Renzi?
Speriamo sinceramente di no. Anche l’Australia del rugby sta andando malissimo.
Chiudiamo con la clip di The sound of silence dal concerto al Central Park di New York del 1981. Che sia di auspicio per il sì. Buon ascolto.