Buongiorno e buon inizio settimana. Oggi un argomento che fa discutere, ma non Tirate sul pianista, direbbe Truffaut (su Prime Video).
All’Impact Hub di Firenze
All’Impact Hub di Firenze, il co-working accanto alla stazione di Rifredi dove goWare ha sede, è stato deciso di rendere i bagni unisex. Hanno messo una bella vignetta sulla porta e adesso possono essere utilizzati indifferentemente da tutti.
Trovando una donna nell’ex-bagno degli uomini, ho pensato subito “ma che forte!”. “Assolutamente no!” invece è quello che hanno detto le mie colleghe quando, gioiosamente, ho condiviso la notizia che, peraltro, già conoscevano. Mi è venuto da sorridere. È raro vedere le donne respingere un’iniziativa inclusiva che invece non dispiace agli uomini.
Si può capire il motivo, non è mica perché sono oscurantiste. Ci mancherebbe! C’è di mezzo l’igiene un po’ precaria dei bagni degli uomini.
Eppure ci vorrebbe un niente per far accettare a tutti l’unisex senza troppi mugugni. Questo niente è installare nei bagni almeno un orinatoio, se scarseggia lo spazio. Non c’è bisogno che sia quello di Duschamp.
A Salesforce
Guardate che cosa hanno fatto a Salesforce, un gigante dei servizi cloud che ha sede nel più alto grattacielo di San Francisco all’incrocio tra la Mission e la 1st Street. A Salesforce hanno installato bagni simili a questi. Sono bagni che possano accogliere tutti.

In genere alle convention dell’high tech con bagni separati, durante la pausa caffè la situazione è sostanzialmente questa. Curiosa, no? In genere si vede il contrario.

Più di ogni altro documento, questo scatto mostra come l’industria tecnologica sia una faccenda prettamente maschile. A parte Safra Catz a Oracle (dove incombe però il maschio alfa Larry Ellison) e Susan Wojcicki CEO di YouTube non ci sono altre figure di spicco nella penthouse della Silicon Valley.
Ma lasciamo perdere questo argomento e torniamo al nostro.
Alla Pixar
Come sappiamo Steve Jobs era ossessionato dal design, dall’architettura e dal networking dei migliori cervelli e volle veder trasferito il suo modello concettuale nel nuovo campus della Pixar a Emeryville, proprio allo sbocco del Bay Bridge a 20 minuti di bicicletta dall’Università di Berkeley, dove è nata la versione di Unix che è il nocciolo del sistema operativo dei Mac.
Il punto focale di quell’edificio, poi ribattezzato Steve Jobs Building, erano proprio i bagni che Steve volle fossero costruiti sulla destra della grande sala di accoglienza collocata all’ingresso della costruzione, per la quale voleva uno spazio abbastanza capiente da accogliere tutto il personale.
I bagni centralizzati unisex (non ne voleva altri nell’enorme edificio) costringevano le persone a muoversi dai propri cubicoli e a scarpinare fino all’ingresso dell’edificio tra corridoi ariosi e scale in vetro dai gradini trasparenti e scivolosi come quelli dello scalone del castello di ghiaccio in Frozen (su Disney +). Almeno nella nuova sede Apple ci sono le biciclette per percorrere l’anello.
Bagni e pensiero laterale
In questo modo lo staff di Pixar, costretto forzatamente a muoversi, poteva imbattersi in qualche collega o persona in visita con cui scambiare qualche parola e magari condividere qualche buona idea o, al limite, ricevere qualche input da elaborare durante il cammino di andata e ritorno.
Lo stesso ambiente centralizzato dei bagni, ampio, accogliente e impeccabile doveva stimolare il networking dei cervelli.
Poi Ed Catmull, uno dei co-fondatori della Pixar molto ascoltato da Jobs e autore di un libro importante sulla creatività, riuscì a convincerlo a costruire un set di bagni anche al primo piano dell’edificio. Almeno chi soffriva di qualche disturbo dell’apparato urinario non era costretto alle maratone.
Sta di fatto che lo stesso Catmull ha ravvisato nell’idea dei bagni, come luogo di un incontro forzoso e randomico, un elemento in grado di accendere il pensiero laterale.
Il parere di una insider
Per indagare in motivo per il quale le donne hanno maggiori perplessità nell’accettare i bagni unisex, vorrei rimandarvi ad alcune riflessioni di Lucy Kellaway. Seguo abbastanza la Kellaway, opinionista del “Financial Times”, dallo stile brillante e sardonico ma anche gentile e meditato.
I suoi interventi, purtroppo sempre più sporadici, si leggono con piacere e attivano delle riflessioni. Se il suo punto di vista su questo argomento, però, non è convincente, non tirate sul pianista.
Nel 2017 la giornalista ha lasciato il quotidiano, con il quale continua comunque a collaborare, per dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento della matematica e ad attività benefiche.
Si è anche trasferita da Londra a Newcastle in una vecchia casa ristrutturata. In ogni caso le dinamiche sul posto di lavoro e nelle organizzazioni imprenditoriali continuano ad attrarre la sua attenzione.
I bagni unisex sono già tra noi
A casa, in aereo, in treno, e anche nelle camere di ospedale, i bagni sono già unisex. In casa, per esempio, ci spingiamo anche oltre. Condividiamo il bagno con animali domestici, come i gatti. Spesso lo facciamo anche insieme, atto che ci resta difficile con i familiari. I gatti adorano il bagno. Come si fa a spingerli fuori?
Il filosofo francese Jacques Derrida ha costruito una vera e propria teoria filosofica (in L’animale che dunque sono) studiando il proprio gatto che lo osserva dalla lettiera mentre lui è sotto la doccia o seduto sul water. Chi l’avrebbe detto che il bagno potesse ispirare teorie filosofiche complesse.
Questo a casa. Al lavoro, però, ci sono bagni separati per gli uomini e le donne e si tergiversa nell’accettare la versione unisex o, più appropriatamente, “gender neutral”.
Al lavoro, bagni separati?
Anch’io, scrive la Kellaway, mi domando se i bagni unisex nei posti di lavoro siano una buona idea. Ci alziamo almeno quattro, cinque volte al giorno per recarci in bagno, ma invece di cogliere l’opportunità per una spontanea e fortuita socializzazione, la restringiamo a una sola tribù.
Perché? Dall’indagine imbastita dalla giornalista con i colleghi e le colleghe del suo milieu (in verità piuttosto distintivo) sono emerse alcune problematiche che, però, potrebbero, con un po’ di immaginazione, essere generalizzabili.
La questione dei bagni non tocca minimamente i millennial. Loro non vedono alcun problema nei bagni unisex, punto. Si sono dimostrati così poco interessati alla questione da far apparire sciocca perfino la domanda postagli dalla Kellaway.
Per le persone un po’ più in là negli anni non è così semplice: il bagno è un luogo piuttosto particolare soprattutto per le donne. A renderle perplesse nell’unirsi ai millennial, non è solo il cattivo odore che viene dallo spazio dei maschi, è anche che le donne non vogliono mettersi il trucco di fronte ai colleghi maschi e non desiderano veder sparire un luogo dove piangere e fare qualche pettegolezzo. Insomma il bagno delle donne è una sorta di rifugio inviolabile, un bunker.
Però si può fare
Nessuna di queste ragioni convince fino in fondo la Kellaway. Vediamo perché.
Igiene. Tutti i bagni hanno cattivo odore se non sono puliti spesso e bene. Pertanto la risposta a questo problema è: Mastro Lindo.
Trucco. Una donna può senz’altro giudicare la perizia e la cura con la quale la collega effettua il proprio make-up. E ciò può anche dar fastidio. Un uomo, invece, è totalmente incurante e la sua ultima preoccupazione è giudicare il modo in cui la collega si mette il mascara.
Piangere. È vero che le donne piangono più degli uomini e, siccome singhiozzare al proprio tavolo non è decoroso, tendono a farlo in bagno. Ma questo succede anche agli uomini quando vengono licenziati. E gli uomini, cara Lucy, piangono per tanti altri motivi, come accade quando perdono la persona che amano. E lo fanno in bagno per non farsi consolare.
A proposito di piangere. Non è male il consiglio del dr. Phill Rodhes, uno psicoterapeuta affetto da Parkinson interpretato da Harrison Ford, nella serie Shrinking (su AppleTV+). Allora, mettete su un brano musicale romantico e struggente, che può anche (ma non è necessario) ricordarvi un momento felice, quindi impostate il timer dell’iPhone a 15 minuti e piangete per tutto il tempo. A me funziona con il brano "Overcome" dalla colonna sonora del musical "Cyrano" (su Prime Video) con Peter Dinklage ("Trono di Spade").
Durante le poche volte che ho pianto al lavoro – scrive la Kellaway – la mia preoccupazione principale è stata quella di non essere vista. Gli uomini ci fanno meno caso e tendono a non fare troppi commenti o domande. Non è poi così imbarazzante asciugarsi le lacrime mentre loro si lavano le mani.
Fuori dal bunker
Pettegolezzi. Nascono più spesso nei bagni delle donne che in quelli degli uomini, dove in genere prevale il silenzio e si sente un solo rumore. In ogni caso, il chiacchiericcio può essere imbarazzante per entrambi i sessi perché non si sa mai chi è nello stallo appresso.
Rifugio. Come rifugio il bagno è un luogo favoloso. Ci sono dei momenti in cui la privacy data dal cubicolo è proprio quello di cui c’è bisogno. Ma anche in questo caso non si capisce quale importanza possa avere se le persone che stazionano fuori siano uomini, donne o altro.
Indubbiamente per le donne che lavorano nell’industria tecnologica avere un bagno solo per loro è un privilegio che vale la pena di non mettere in discussione. Per le altre la Kellaway non vede il motivo di farlo.
Per chi si considera un essere quantico piuttosto che binario può essere una pena scegliere tra due opzioni. E noi non vogliamo far soffrire nessuno per com’è o come si sente.
Prima di andare
Avviene in un bagno. La scena più memorabile del cinema, che si svolge in un bagno, è in “Psycho”: 15 sconvolgenti minuti che Hitchcock ha girato 78 volte e tagliato 52 prima di avere quello che cercava. Seguono, a pari merito, le sei scene di bagno che si trovano in “Pulp Fiction” (su Netflix); le due de “Il grande Lebowski” (su NowTV) e le tre di “Shining” (Su Prime Tv e Apple TV), una delle quali tra le più famose del film (“Cappuccetto rosso… sono il lupo cattivo!”). Come si fa però a non menzionare altri grandi film come i seguenti elencati in ordine d’impatto della scena: “Full Metal Jacket” (su Prime TV, Chili, Apple TV); “La conversazione” (su Paramount+); “Trainspotting” (su Prime TV, Chili, Apple TV); “Attrazione fatale” (su Paramount+); “Jurassic Park” (su Prime Video); “Witness-Il testimone” (su Paramount+). Ma anche “Ultimo tango a Parigi” (su deep web) e il bellissimo “La forma dell’acqua” (su Disney+) e perché no? “Pretty woman” (su Disney +) e “Tutti pazzi per Mary (su Disney+). E ce ne sono molti, molti altri.
L’ultima parola al sidolizzatore. Nei cessi si fanno cose sporche e puzzolenti. Da evitare e rimuovere. Per definizione. E del tutto esclusive. Per definizione. Niente “iniziative inclusive”. Cancelliamo invece le tracce delle nostre “cessioni” come facevano Apaches e Sioux e come fa ogni animale che si rispetti, cani e gatti in testa! Le cose migliorerebbero, un po’, forse…
Orinatoi? Occasioni di networking? Scambio di “buone idee”? Accensione di “pensieri laterali”? Il luogo dell’output per eccellenza non sarà mai quello dell’input checché ne pensi la fantasia un po’ sciocca dei maschietti. Trucco? Pianto? Pettegolezzi? Le donne, pensano a ben altro, ogni quattro settimane. Lascia stare e accetta le loro decisioni, anche “esclusive”.
Ah,… scusa. Volevi parlare di “toilettes” (in posti perbene, naturalmente…)?
Ascoltare l’ampia dissertazione di Zerocalcare sui “cessi” dei maschi su Netflix. Un punto di vista critico molto stimolante