
Buongiorno e buon inizio settimana. Dopo Joyce restiamo sulle menti taglienti come la spada della Sposa di Tarantino.
Oggi vogliamo parlare del fendente di Eric Auerbach a un passo della 6° delle 25 “Lettere inglesi” di Voltaire. Tale noto passo dà l’abbrivio allo studioso tedesco per svelare una delle principali e particolarmente odiose tecniche della polemicità e della propaganda moderne.
In questo svelamento c’è, come osserva e motiva molto bene Carlo Ginzburg, “un riferimento implicito al nazismo”. Diciamo subito che Voltaire non c’entra proprio niente con quella roba.
Prima però un po’ di divagazione leggera, come suggerisce di fare il Tasso.
Come Joyce … e forse di più
Come Joyce, Voltaire era girovago, spirito libero e mondano. Il che non entusiasmava per niente i rispettivi connazionali. L’uno scriveva nella lingua del nemico, seppur sbranandola, l’altro lavorava per il re di Prussia, ma in un irreprensibile francese.
Come il dublinese Joyce, il parigino Voltaire viveva al di sopra delle proprie possibilità tanto da doversi cimentare, con successo, in azioni di finanza creativa: non avrebbe certo disdegnato i bitcoin se ci fossero stati.
Questo sembra l’unico aspetto del pensiero e dell’azione di Voltaire a interessare una certa feroce cultura woke. Una sua statua è stata imbrattata di vernice rossa per via di presunte speculazioni coloniali.
Il quale imbrattamento lo avrebbe certo divertito come lo avrebbe anche lusingato il trovare due delle sue opere principali, per volontà dall’allora capo dei comunisti italiani Palmiro Togliatti, nella collana di punta della casa editrice del partito, “Le Idee” (con le copertine di Bruno Munari): libri “esemplari” destinati ad educare le masse operaie e contadine anche alla democrazia. Per Togliatti la cultura era più importante della politica: l’aveva imparato da Gramsci.
Addirittura, “il Migliore” tradusse e curò direttamente l’edizione del “Trattato sulla tolleranza” per poi limitarsi a prefare l’edizione italiana delle “Lettere inglesi”, affidate a uno studioso come Paolo Alatri, del Partito d’Azione.
La cultura woke di oggi imbratta, la cultura di sinistra di ieri pubblicava anche l’imbrattato. Giudicate voi cosa sia meglio! Se naturalmente appartenete a quell’area. Se appartenete all’altra, beh!, la faccenda non vi tocca.
Tempi disruptivi
Oggi più del dialogo è in auge la polemica; la misura è sopraffatta dall’insolenza e, più del giudizio, vige la propaganda. Le prime funzionano bene in tempi incrementali, le seconde, prendono il sopravvento in tempi disruptivi. Proprio quelli in cui viviamo noi.
Anche Voltaire viveva in tempi disruptivi e la sua intelligenza e sensibilità fuori dal comune hanno saputo forgiare armi affilate che incrociassero le idee dei propri contendenti politici, ecclesiastici, filosofi o sentimentali allo scopo di demolirli, anche se poi diceva che “avrebbe dato la sua vita per le loro idee”.
Ha così portato l’arte della polemica al suo zen, laddove cambia stato in propaganda.
E lo ha fatto così bene da costruire un modello di ragionamento. Un modello che il grande filologo tedesco Eric Auerbach ha definito Scheinwerfertechnik (“tecnica del faro abbagliante”).
La ritroviamo copiosa in molto dibattito pubblico attuale specialmente quello che riguarda la ubiqua calante pandemia che oltre ai polmoni infetta anche le menti.
Leggiamo subito il passo tirato in ballo da Auerbach tratto dalla sesta lettera, quella sui presbiteriani, delle “Lettere inglesi”. Voltaire la scrive intorno al 1730.
Ci vogliono 30 religioni per vivere in pace
Entrate nella Borsa di Londra, questo luogo più rispettabile di tante Corti, vi vedrete riuniti i deputati di tutte le nazioni per l’utilità degli uomini. Là il giudeo, il maomettano e il cristiano trattano l’uno con l’altro come se fossero della medesima religione, e non danno l’appellativo d’infedeli se non a coloro che fanno bancarotta; là il presbiteriano si fida dell’anabattista e l’anglicano accetta la cambiale del quacchero. Uscendo da queste pacifiche e libere assemblee, gli uni si recano in sinagoga, gli altri vanno a bere; l’uno va a farsi battezzare in una grande tinozza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, l’altro va a far tagliare il prepuzio al figlio, borbottando sul bambino parole ebraiche che non capisce; altri vanno nella loro chiesa, col cappello in testa, ad aspettare l’ispirazione divina; e tutti sono contenti. Se in Inghilterra vi fosse una sola religione, ci sarebbe da temere il dispotismo; se ve ne fossero due, si scannerebbero a vicenda; ma ve ne sono trenta, e vivono felici e in pace.
La tecnica del faro abbagliante
Questo passo famoso nasconde surrettiziamente un artificio retorico. Voltaire mette in relazione due attività umane, commercio e religione, come se giacessero sullo stesso piano, per esaltare la superiorità morale, e pratica dell’uno sull’altra.
Inoltre, come esplicita anche Auerbach, l’argomentazione di Voltaire si concentra sui particolari più infimi ed esteriori dell’elemento soccombente (tinozza, prepuzio, il bere, cappello in testa) estrapolandoli dai rispettivi contesti e mostrandone il lato più grottesco, comico, superato e ridicolo.
È una tecnica che si fonda su una forte azione di semplificazione e anche sulla soppressione del contesto storico del quale si estrapola sola la porzione di realtà atta ai propri fini polemici. Scrive Auberbach di questa metodologia del faro annagliante:
Essa consiste in ciò, che di tutto un ampio discorso s’illumina una piccola parte, ma tutto il resto, che servirebbe a spiegarlo e a dare a ciascuna cosa il suo posto, e verrebbe, per così dire, a formare un contrappeso a ciò che è stato messo in risalto, viene lasciato nel buio… tutto è falsato, essendo che la verità è composta di tutta la verità e del giusto rapporto fra le singole parti. (“Mimesis”, 2° vol., p. 165)”.
La sottile arte della Scheinwerfertechnik
Molti hanno vista nella Scheinwerfertechnik una tecnica mistificatoria, ma non è proprio così perché non c’è falsificazione nella descrizione. Quanto viene detto è incontestabile; c’è piuttosto estrapolazione, decontestualizzazione, c’è prelievo di singole parti di verità. Lo scopo è insinuare pensieri.
Come un faro, illumina una fetta di realtà avulsa dall’insieme che la produce e che gli dà senso. Si tratta di una tecnica estremamente efficace perché può rivendicare un qualche aggancio alla verità, o meglio, all’accadimento effettivo che si sta abbagliando.
Non è stato Voltaire ad inventare questa tecnica che attraverso un artificio retorico fa in modo che nello svolgimento del ragionamento sia contenuta già la naturale conclusione. Voltaire però, osserva ancora Auerbach ha un modo “unico e incomparabile” d’impiegare questo artificio retorico:
Il ritmo; il riassunto veloce e acuto degli sviluppi, il rapido mutare delle immagini, l’improvviso e sorprendente accostamento di cose che non siamo soliti pensare accostate … producono già una buona parte dell’effetto mordace e spiritoso. (Sempre in “Mimesis”) .
La doppia faccia delle tecniche
Come si può constatare, ogni tecnica tende a separarsi dal contenuto che l’ha generata e, per quanto questo contenuto sia nobile come quello di Voltaire che nutre l’illuminismo più progressivo, diventa qualcosa in sé, una “tinozza” per qualsivoglia contenuto. Per questo Auerbach intravedeva nell’argomento di Voltaire i prodromi della peggiore propaganda.
Questa capacità di una tecnica di staccarsi dal contenuto che l’ha generata si esprime in molti campi. Per esempio in politica.
De Gaulle si costruì una legge elettorale su misura che alla fine portò al potere Mitterrand e i socialisti contro i quali era nata.
I democratici americani, quando potevano, hanno tolto i 2/3 dei voti per nominare un giudice di loro gradimento alla Corte suprema. E poi se ne sono avvantaggiati i repubblicani per portare da 6 a 3 il rapporto tra conservatori e progressisti nel più alto tribunale. Adesso la Pelosi si mangia il cappello.
Un tecnica non appartiene a nessuno: “è”, e basta. Bisogna fare molta attenzione.
Concludiamo con un film
La parola faro ha anche ispirato un film superpremiato dagli Oscar con un cast di eccezione. È “Il caso Spotlight” (su Netflix e RaiPlay). La parola appare già nel titolo: faro, fanale, riflettore, luce di profondità, spotlight appunto. Lascio però a voi la scoperta della relazione tra questo film, le considerazioni di Voltaire e la tecnica del faro abbagliante di Auerbach.
Mi chiedo solo: il film è illuminazione di un fatto raccapricciante o mera propaganda woke come ritiene Giuliano Ferrara, un’altra mente tagliente? Forse è l’eterno ritorno e fors’anche come dice Nietzsche che “i fatti non esistono, ma esistono solo le interpretazioni”.
… Però, non è grave, si può sempre buttarla in burla come il mattatore parigino.
Prima di andare
Caterina Caselli. A proposito di menti taglienti. Se avete un’oretta e mezzo guardate su RaiPlay il docufilm “Caterina Caselli. Una vita, cento vite”. Vi si racconta la brillante e intelligente artista modenese che ha attraversato da protagonista in vari ruoli la musica italiana di mezzo secolo. Ci sono tutti: Celentano, Paolo Conte, Guccini, Battiato, Morandi, Bertoli, Bocelli. Clip d’epoca mai vite (così mi dicono).
L’ultima parola al sidolizzatore. Lucidando, il “riflettore” [com’è generalmente resa in italiano l’espressione di Auerbach “Scheinwerfer”] m’è cascato di mano. Lo specchio è andato irreparabilmente in frantumi. L’ho sostituito con un comune “faro abbagliante”, “luce di profondità”, faretto, insomma qualcosa di intensamente illuminante… destinato a lasciare nell’ombra il resto.
Mea culpa.
[…e faro abbagliante è decisamente più pregnante di riflettore, MM].