Un incipit che contiene uno spoiler
Un perfetto incipit per questo post è il film, disponibile su Prime Video, Disobedience (2017), di Sebastián Lelio con due splendide Rachel (la Weisz e la McAdams), tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice londinese Naomi Alderman pubblicato in Italia da Nottetempo nel 2007.
Anche se le mie colleghe Elisa e Alice si arrabbieranno, vi devo dire qualcosa di questo film (vi lascio, però, la libertà di saltare al paragrafo successivo). È la storia dell’amore tra due donne in una comunità ebraica ortodossa di Londra. L’una (Ronit, Rachel Weiz) torna dopo molto tempo alla casa natale per la morte del padre, lo stimato rabbino della comunità deceduto durante un sermone sul libero arbitrio. L’altra donna (Esti) è sposata al rabbi designato (Dovid, Alessandro Nivola) dal quale aspetta un figlio. Tra le due donne si riaccende forte l’amore sopito, un sentimento al quale questa volta non possono sfuggire, sfidando l'anatema della comunità. Esti chiede al marito di restituirle la libertà di decidere sul proprio futuro, a dispetto di ogni regola della confraternita nella quale è nata, vive e lavora come apprezzata insegnante. In un finale toccante, al momento del suo insediamento come rabbino capo di fronte a tutta la comunità riunita nella Sinagoga, Dovid concede alla moglie Esti il diritto alla libertà di scelta e rinuncia all’incarico per vivere anche lui di quella libertà.
Paragrafo successivo: un gesto dirompente
In questi giorni è stata la Apple a restituire la libertà di scelta al suo miliardo e mezzo di utenti. Rattrista ma non meraviglia che a farlo non sia stato il Congresso americano, l’Unione europea, il Comitato centrale del Partito comunista cinese, il Cremlino o Mario Draghi, ma la più grande società privata del mondo che capitalizza più del valore dell’intero PIL italiano. Quindi, di default, dovrebbe essere cattivissima e avida.
Delusione sì (per il ruolo dei governi), ma anche gioia (per noi) perché d’ora innanzi gli utilizzatori degli iPhone e degli altri device della Apple potranno decidere esplicitamente e con un semplice gesto se essere tracciati o meno dalle applicazioni che utilizzano.
La Apple con un gesto unilaterale e dirompente per tutta la miliardaria industria pubblicitaria (valore totale: 650 miliardi di dollari) e dei media (valore totale: 720 miliardi di dollari) ha restituito alle persone il diritto di decidere della propria privacy.
Sappiamo tutti che la privacy non esiste più e che forse è un imbarazzante fossile, ma i nostri dati, cavolo, se esistono!
Siccome un business miliardario si basa su questi dati, catturati surrettiziamente, possiamo, noi utenti dell’iPhone, adesso dire qualcosa ai padroni del business dei dati, come il giovane Mark. Per esempio, come suggerisce Mariana Mazuccato, possiamo dire “se volete i nostri dati, dateci un dividendo dei vostri profitti!”. Oppure, meno prosaicamente: “Condividete i nostri dati con le istituzioni democratiche o utilizzateli per ridurre l’inquinamento o per l’Africa”… e via dicendo.
Ci è stato restituito un grande potere. Adesso sta a noi farne buon uso.
Concretamente che cosa è successo
Ma che cosa ha fatto la Apple in concreto? Lo dico in poche parole. I dettagli li potete trovare qui.
La nuova versione del sistema operativo Apple per dispositivi mobili (iOS 14.5) non consente alle applicazioni di accedere all’identifier for advertisers (IDFA) senza il previo consenso esplicito (un “sì” o un “no”, tertium non datur) dell’utente.
L’IDFA è il cuore del meccanismo di profilazione dell’utente che avviene sistematicamente, attraverso il tracciamento, durante l’utilizzo delle applicazioni di terze parti. La profilazione è lo strumento fondamentale degli inserzionisti pubblicitari per indirizzare gli annunci al pubblico di riferimento e per questo è il sistema nervoso di tutta l’industria pubblicitaria.
Un macigno sull’industria pubblicitaria
E per loro ci sono solo cattive notizie. Un sondaggio condotto da una società specializzata ha mostrato che solo il 45% degli utenti dell’iPhone è disposto a dare il suo consenso per le app di finanza ed e-commerce, percentuale che crolla al 12% nel caso dei casual gaming (videogiochi per persone tranquille).
Nella realtà è andata molto, molto peggio. Un disastro! L’11 maggio il “Financial Times” ha pubblicato una rilevazione di Flurry Analytics, una società che osserva il mondo mobile, che acclara la gravità delle conseguenze della mossa di Apple sull’intera industria pubblicitaria.
Nel mondo solo il 13% degli utenti iPhone ha autorizzato il tracciamento delle app, percentuale che crolla al 5% nel mercato più grande per la pubblicità, quello americano. Guardate questo schema pubblicato dal quotidiano di Londra. Un brivido è corso nel campus di Facebook a Memlo Park.
Dispiace per l’industria pubblicitaria, importantissimo comparto dell’economia globale in cui si esprime un talento creativo collettivo equiparabile a quello del cinema. Dispiace anche per le start up del mondo che hanno come modello di business contenuti e servizi contro pubblicità.
Ma i nostri dati, che sono alla stregua di una merce per le piattaforme online che li raccolgono, possono finire in mani molto peggiori di quelle di uomini e di donne d’affari che vogliono vendere pannolini o saponette. Sapete bene quello che intendo.
Ma i governi dove sono? Adesso ci sono cose più importanti dei nostri dati, ma prima o poi le istituzioni dovranno fare i conti con questo nuovo dilemma: tutelare le persone o gli affari?
L’abdicazione dei governi
Se ci fosse una legge che regola l’utilizzo di questi dati e ne identificasse i destinatari (nessuno ha una particolare avversione nei confronti della pubblicità, se non la sua petulanza), la questione della profilazione perderebbe molto della sua dirompenza, ma simili profili normativi non esistono e sicuramente non ne esisteranno in tempi brevi anche perché le lobby (che possono essere anche utili) si stanno mettendo al lavoro…
I problemi sono in realtà due: lo scostamento dei sistemi di rappresentanza politica dai loro rappresentati e il potere enorme che viene lasciato alle società tecnologiche. Pure alla Apple, anche se di solito fa la cosa giusta.
Dobbiamo ricordare che uno degli eventi fondativi del mondo moderno fu proprio il moto ribellione contro un potere percepito come troppo arbitrario come era in effetti la tentata teocrazia di Giovanni Senzaterra. Oggi sembra essersi ripresentata una moderna forma di teocrazia tecnologica.
Excipit, ancora con spoiler
Che bello, però, liberarsi dei ficcanaso e dei guardoni! Ma so che questa cosa alla fin fine ci deprimerà. Sarà triste vedere che nessuno si occuperà più di noi, nemmeno un cavolo d’algoritmo. E allora saremo veramente soli.
Chi odia farsi raccontare il finale di un film può fermarsi qui.
Nel finale di Oci Ciornie, il delicatissimo film di Nikita Mikhalkov del 1987 (disponibile su Chili), l’architetto Romano Patroni, interpretato da un immenso Marcello Mastroianni, (candidato all’Oscar), ridottosi a fare il cameriere su un piroscafo di linea, incontra un signore russo che poi scoprirà aver sposato l’indimenticato amore della sua vita, Anna, oci ciornie/occhi neri, appunto.
A questo signore, Romano, in un impulso di sincerità — dote che gli ha fatto sempre difetto — narra la sua storia: quella di un inetto come marito, come padre, come architetto, come amante e come uomo. Aveva avuto tante opportunità, ma adesso nessuno si occupava più di lui.
Quindi singhiozzando confessa: “Chi si ricorda più di qualcuno, eh? … Ma amico mio, apra gli occhi. Apra gli occhi, si guardi attorno! Qui siamo nel secolo ventesimo! Ma chi pensa più a qualcun altro, ma chi aspetta più qualcuno, al giorno d’oggi, eh?”.
Al che, il signore russo si unisce alla commozione di Romano perché lui ha invece trovato davvero l’amore della sua vita, proprio quella Anna che Romano aveva gettato al vento.
Saremo soli?
Almeno un tempo, c’era Google a occuparsi di noi.
Grazie Google! Anche di averci spiato, pedinato e alla fine illuso del nostro valore.
Ci mancherai davvero, anche se eri soltanto un simpatico e forse innocuo ficcanaso. Ti piaceva guardare nel cortile come Jeff nel famoso film di Alfred Hitchcock.
Sono d'accordo con tutto quello che dice Mario tranne l'ultima parte. Sono veramente stufa che mi si dica che se non mi piace il modello delle multinazionali posso sempre scegliere il modello cinese. Io credo che ci siamo altre possibilità: cominciamo con il far pagare le tasse alle multinazionali, visto che si arricchiscono con la società devono restituiscano anche qualcosa a coloro che li rendono ricchissimi!
Anche la Apple ha fatto una operazione di marketing né più ne meno, il fatto che questa operazione sia "più etica" di altre non cambia la sostanza dell'operazione. Hanno controllato i gusti degli utenti ed hanno deciso che la loro clientela avrebbe apprezzato questa operazione, quindi questa scelta non li rende migliori di altri. La politica è finita non esiste più, contano solo le grandi aziende e il grande capitale quindi perché ci stupiamo che questa necessaria operazione di privacy sia stata fatta da un'azienda e non un governo? I governi degli stati sono completamente appiattiti sui bisogni delle grandi aziende, le ricchezze e il capitale governano il mondo e la politica è completamente al traino. Ultima cosa la Apple che vuole dare questa impressine di essere più etica di altre, in realtà crea dipendenza nel consumatore: solo se hai in i-phone potrai collegarti con il tuo portatile e con il tuo I-pad e quindi tutti i tuoi apparecchi devono essere Apple e poi quando Apple vorrà che tu li comperi nuovi lancerà un aggiornamento talmente pesante che dovrai subito correre a comperare il nuovo device altrimenti non lavorerai. Non mi sembra che tutto questo sia ETICO.