Buongiorno e buon inizio settimana. Per giorni la Germania è stata in cima a tutti i notiziari. Non solo per la sua importanza economica, politica e perché è la nazione egemone in Europa. Ma anche perché la Germania mette ansia: è lo stato più freudiano dell’Occidente. C’è il super-io, l’io e l’es come nei tre piani della casa di Psycho (su YouTube, 3,99€).
Sarà anche così, ma oggi, come scrive Gideon Rachman sul “Financial Times”, “la Germania è il paese più sano dell’Occidente”. È vero! Basterebbe guardare in che modo esemplare si sono svolte le elezioni – e il dopo elezioni – e come stanno affrontando la dura faccenda dei migranti.
Sempre tra noi
In questa NL non vogliamo tanto parlare della Germania, quanto di un suo luminoso momento: il Bauhaus, la scuola che è stata corrente di pensiero, centro di esperienze, veicolo di arte e di design, e di tanto altro, di cui il mondo ha festeggiato lo scorso anno il primo centenario dalla nascita.
Contenuto aumentato #1: Il secolo del Bauhaus
Un’esperienza artistica totale, quella del Bauhaus, incredibilmente feconda. Grazie anche alla mediazione della Apple di Steve Jobs – lo scorso 5 ottobre è caduto il decennale della sua prematura scomparsa – ne troviamo testimonianza, diretta e indiretta, in numerosi oggetti di uso giornaliero. E anche all’interno di moltissime immagini urbane abbiamo sempre, in un modo o nell’altro, lo spirito del Bauhaus dentro il nostro campo visivo.
Contenuto aumentato #2: Steve Jobs e il Buahaus
Il fascino discreto della Germania
Permettetemi di tornare un momento sulla Germania, per una parentesi.
Alla fine degli anni settanta mi sono recato più volte nella Germania Federale, ho potuto girarla in lungo e in largo, pur tenendomi lontano da Berlino dove avevo l’impressione che l’alito pesante della storia mi schiacciasse. Mi lasciavo dare indicazioni dalla guida verde del “Touring” e da quella “blue” di Hachette.
Seguivo le stelle che le due guide, in modo molto diseguale, attribuivano alle differenti città e attrazioni della Germania ovest. Mi sono accorto che gli italiani erano molto più generosi dei francesi: succede spesso.
Sono partito da Friburgo la città di Heidegger e del set di Suspiria, il film di Dario Argento (su Netflix) che ha bucato perfino Hitchcock. Da lì sono andato a Bonn pensando, ingenuamente, che nella città natale del “grande Ludovico Van” (come lo chiama Alex in Arancia Meccanica, su Chili, 3,99€) tutti i giorni rappresentassero la Nona sinfonia. Ma non la davano mai.
Poi in effetti l’ho ascoltata dal vivo, dieci anni dopo, mi viene da ridere, a Wellington in Nuova Zelanda nell’allora nuovissima Opera House. Poi, ahimè!, non mi è più ricapitato. Pensavo di riaverne l’occasione per il 150° della nascita di Beethoven, ma tutto è sprofondato nella pandemia.
L’immensità dello spazio tedesco
L’aspetto che più mi ha colpito della Germania sono stati i grandi fiumi e le pianure a perdita d’occhio. Sono convinto che questa immensità abbia nutrito il senso dei tedeschi per la grandezza.
Qui in Toscana abbiamo l’Arno (un fiumiciattolo capriccioso) che crea delle pianure grandi come una piadina e poi ci sono le colline “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo” escludono. Così, siamo tutti confinati intorno a un campanile.
Pure un grande storico dell’antichità, Tacito, era stato ipnotizzato dai fiumi, dalle radure, dalle foreste e dalle genti germaniche tanto da scrivere qualcosa di definitivo sulla diversità di questa cultura.
Grazie Germania
La Germania ci ha dato molti dolori, ma ci ha dato anche molte gioie come il Bauhaus che da solo la redime da molti suoi peccati. E nel Bauhaus c’erano donne magnifiche. Nonostante questi tempi di rivoluzione di genere anche in campo artistico, se ne sente parlare poco. Forse avrebbero meritato una mostra apposita e, comunque, si è persa l’occasione di farlo nel centenario del Bauhaus, caduto lo scorso anno.
La potrebbe organizzare la Fondation Beyeler di Basilea, che dal 19 settembre (e fino al 2 gennaio 2022) propone, nei suoi locali, la mostra, “Close-up” (‘Primo piano’): ritratti e autoritratti di donne dipinti da 9 pittrici (Berthe Morisot, Mary Cassatt, Paula Modersohn-Becker, Lotte Laserstein, Frida Kahlo, Alice Neel, Marlene Dumas, Cindy Sherman, Elizabeth Peyton).
In attesa della mostra riparatrice sulle mirabili artiste del Bauhaus, per il momento provvedo io a presentarvene sei (ma ce ne sono molte altre, vedi sotto).
Le “Steve Jobs” del Bauhaus
Gunta Stölzl. Insegnante del laboratorio di tessitura, sul badge cambiò la parola “Meister” in “Meisterin”. I lavori della Stölzl – arazzi astratti dai colori vibranti, filati industriali resistenti, tappeti lussureggianti – esprimono, in modo insuperato, le infinite possibilità di espressione e sperimentazione dell’arte della tessitura.
Alma Siedhoff-Buscher. Si dedicò al design di giochi per bambini con differenti materiali, creando laboratori di oggettistica all’interno della scuola. Progettò mobilio e complementi d’arredo per il prototipo abitativo Haus am Horn, ideato da Georg Muche. Questi arredi furono esposti alla mostra del Bauhaus di Weimar del 1923.
Marianne Brandt. Si distinse per la progettazione di oggetti casalinghi di uso comune come una ingegnosa teiera a pianta circolare e il Kubus di oggetti impilabili. Passò quindi alla progettazione di lampade. Anche queste, di forma circolare, erano in metallo lucente, con cavi e interruttori incorporati nel modo più naturale possibile.
Anni Albers. Già negli anni ’20 lavorava con la plastica e il nylon, che nel dopoguerra divennero materiali eletti del modernismo. Trasferitasi con il marito Joseph negli Stati Uniti vi fondò una scuola d’arte multidisciplinare. Nel 1949 fu una delle prime artiste ad avere una personale delle sue tappezzerie al MOMA di New York.
Marguerite Wildenhain. Ceramista di grande talento, nel 1940 emigrò negli Stati Uniti, in California, dove fondò il Pond Farm Workshop. L’attività americana della Wildenhain ebbe una vena naturalistica ben distinta e più innovativa da quella svolta nel Bauhaus. Secondo il suo motto, “I vasi non ti deluderanno mai”.
Lucia Moholy. Sposata a László Moholy-Nagy, fu la fotografa del Bauhaus e documentò minutamente le sue attività. L'immaginario della scuola rimane legato ai soggetti e alla visualità degli scatti della Moholy. La possiamo considerare come la fondatrice della fotografia di architettura come arte interpretativa a sé stante.
Contenuto espanso #3: Le innovatrici del Bauhaus
Prima di andare
2011-2021. Rendiamo omaggio a Steve Jobs con questo fotoromanzo di NeXT, il suo più riuscito fallimento. In italiano tutte le sue maggiori interviste filosofiche.
Lo sguardo femminile. I ritratti delle magnifiche nove pittrici in mostra alla Fondazione Bayeler di Basilea dal 19 settembre 2021 al 2 gennaio 2002. Nelle riproduzioni sottostanti sono offerti dei particolari di alcune opere esposte.
1. Berthe Morisot, Jeune Femme au Divan, 1885, Tate Gallery, London.
2. Mary Cassatt, Lydia at a Tapestry Frame, 1881, Flint Institute of Arts, Flint.
3. Paula Modersohn-Becker, Mädchenbildnis mit gespreizter Hand vor der Brust, 1905, Heydt-Museum, Wuppertal.
4. Lotte Laserstein, Selbstporträt mit weissem Kragen, 1923, Collezione privata.
5. Frida Kahlo, Autorretrato con traje de terciopelo, 1926, Collezione privata.
6. Alice Neel, Hartley on the Rocking Horse, 1943, Collezione privata.
7. Marlene Dumas, Teeth, 2018, Collezione privata.
8. Cindy Sherman, Untitled, 1982 , Louisiana Museum of Modern Art.
9. Elizabeth Peyton, Greta, 2019, Peter Morton, Los Angeles.
In treno da Milano a Basilea: 4 ore e un quarto, 8 treni diurni al giorno A/R, 50 euro a tratta in 2° classe (prenotare con anticipo).
Chiosa del sidolaizzante Tiziano Tanzini che si trova sul posto
Il centenario della fondazione del Bauhaus è “affogato” nella Pandemia. Vero! Ma non tutti i numerosi contributi che avrebbero voluto celebrarlo sono con esso scomparsi. Soprattutto sulle donne, esiste una vasta attività di informazione, di chiarificazione, di critica.
Non tradotta ma ugualmente imponente. Un esempio per tutti? Elizabeth Otto e Patrick Rössler Frauen am Bauhaus; 45 ritratti sulla biografia personale e professionale di 45 artiste del Bauhaus.
Una fatto per tutti? Al primo anno di attività della scuola si iscrissero più donne che uomini (84 contro 79)… ma dovettero pagare 180 Reichsmark al posto dei 150 RM dei loro colleghi maschi… e numerose furono estromesse due o tre anni più tardi…
Ricevo da Lisa Badocco questo lungo e bel commento che pubblico volentieri.
Germania: curioso che ti metta ansia. Penso che faccia questo effetto a chi ne ha una conoscenza un po’ da lontano, che non riesce totalmente a scalzare l’idea che i tedeschi siano “ nemici”. Io la Germania la conosco bene, anche da dentro, e devo dire che, mentre l’Inghilterra, nonostante il mio lavoro di interprete, mi è sempre sembrata un po’ sconosciuta (non sono mai riuscita a scoprirne il velo e l’unica amica che mi ero fatta a suo tempo era un’irlandese), in Germania ho molti amici.
Certo, aiuta molto parlare la lingua, ma loro sono eccezionali nell’aiutarti a impararla. Ho imparato un sacco di risvolti della loro “vita interiore”, non so come spiegare, tra la lingua e il modo di vivere c’è un connubio interessantissimo e, se ci stai dietro, entri in tantissimi mondi, che poi ti danno ricchezza.
Fin dagli anni ’70 ho conservato un sacco di amici, bisogna dire della Germania del Sud (piuttosto diversa dal Nord, almeno in base alle mie esperienze di lavoro come interprete). Ci sentiamo e ci vediamo abbastanza spesso e mi hanno aiutato a capire che “diverso è bello”.
Mi piacerebbe molto sviscerare il legame tra lingua e carattere di un popolo, ne verrebbe forse un bel libro, ad essere capaci di scriverlo.
Sai com’è: un giorno vai a cena da amici portando una pianta, per strada la carta si rovina, la elimini e poi ti scusi “che la pianta è senza carta” e loro ti spiegano che “in Germania è buona regola eliminare la carta”. Il nostro galateo direbbe di lasciare sempre un piccolissimo pezzo di cibo sul piatto, per far vedere che non hai più fame, mentre lì è di regola mangiare proprio tutto, altrimenti sembra che non ti sia piaciuto. Se ti chiedono, “Cosa vi posso offrire?”, mentre noi diciamo qualcosa tipo “va bene tutto, grazie”, loro devono dire esattamente cosa vogliono (“un succo d’arancia, grazie), perché altrimenti metterebbero in imbarazzo i padroni di casa, che non sarebbero sicuri di offrire qualcosa di veramente gradito. Insomma tutti questi piccoli dettagli che mostrano il carattere di un popolo. Come la sincerità. Sono sinceri fino a sembrare quasi antipatici e trovano strane le nostre cerimoniosità.
Però farebbero fatica senza “le estati da noi”. Secondo me siamo diversissimi ma commensurabili.
Loro hanno questa loro rigorosità, dicono “Buon mattino” e Buon pomeriggio”, che per carità non ci si confonda, ma secondo me adorano la nostra fantasia e la nostra capacità di essere un po’ approssimativi, perché loro non riescono ad averle.
Noi diciamo “tra cinque, dieci minuti”, nossignori, loro devono dire “tra cinque e sette minuti” (mai di più). Curiosa è la storia dei “5 minuti”. Qundo lavoravo nelle fabbriche e il tecnico italiano doveva andare magari a prendere qualcosa in ufficio, diceva: “torno tra cinque minuti”. Non facevo in tempo a tradurre, che i tecnici tedeschi scoppiavano a ridere “5 italienischen Minuten” (5 minuti italiani)! Non sopportavano l’idea che potessero diventare 10. Ho dovuto spiegare mille volte che per noi il concetto di 5 minuti è di per sé approssimativo, vuol dire, “tra un po’”.
Sempre nel Sud, sono bravi a divertirsi. Si godono la vita. La mia amica di Costanza dice che “è dove c’è vino”. Secondo la sua teoria, nelle zone della Germania dove si produce vino, la gente si sa divertire (anche perché, secondo lei, circolano soldi e si vive bene. Tesi tutta da verificare, ma simpatica). Ma naturalmente per capacità di divertirci noi non siamo secondi a nessuno.
A fine agosto sono stata all’Aquila, beccando in pieno “la Perdonanza”, una festa che dura una settimana, e ho avuto la gioia di vedere L’Aquila in piena vita e molto ristrutturata.
Al ritorno ho cercato di spiegare all’amica di Heidelberg tutta la faccenda di Celestino V e del fatto che avesse concesso un’indulgenza GRATUITA (sollevando le ire di Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, dell’imperatore e compagnia), un’indulgenza che nessuno è mai riuscito ad eliminare (neanche Bonifacio quando diventò papa). Dopo il faticosissimo racconto, ho concluso : “e così da più di 700 anni si fa una festa”. Commento della mia amica : “Voi italiani trovate sempre un motivo per fare una festa!” E io: “ A cui non vedete l’ora di partecipare!”. Infatti è così.
Secondo me hai “sbagliato” andando a Bonn. Berlino è assolutamente fantastica e per la musica ci sono tantissimi posti dove puoi avere un godimento completo:
Heidelberg, con il suo Sommerfestival, che si svolge, se possibile nel cortile del castello ( se brutto tempo, nelle cantine del medesimo)
è un incanto;
poi ti potrei segnalare Lipsia dove, nel duomo, ho ascoltato (le prove purtroppo) un concerto di Bach (e chi altri poteva essere?).
Ti segnalo qui un viaggio- sorpresa che potresti fare: L’ex DDR. Lipsia è davvero una sorpresa, con tutte quelle librerie e la musica. Poi ovviamente Dresda, da riempirsi gli occhi con l’arte.
Poi Weimar e Erfurt (a Erfurt una domenica volevamo prenotare una camera in un “albergo”, ma ci hanno detto che la domenica non c’era nessuno per prenotare (si poteva entrare se si era già prenotato). Dopo abbiamo scoperto perché: “l’albergo” era un convento, l’antico convento dov’era vissuto lo stesso Lutero e giustamente di domenica non prenotavano...
Poi la “Svizzera Sassone” una zona mozzafiato della Sassonia... provare per credere.
E a Weimar, vicino a Erfurt, cosa c’è? ovviamente il Bauhaus!
Interessante questa vostra storia delle donne del Bauhaus e della loro posizione, in fin dei conti, di secondo piano. Mi ha colpito il fatto che tutte, all’inizio, fossero state indirizzate al laboratorio di tessitura. Grazie davvero, un “angolo di cultura” su cui non mi ero mai soffermata. C’è sempre qualcosa