
Buongiorno e buon inizio settimana
Oggi due argomenti da maneggiare con cura per me che non sono esperto di esplosivi: l’appropriazione nell’arte e l’arte come realtà aumentata, vista, cioè, attraverso la “lente” dei comportamenti dell’artista. In questo, ora saremo facilitati dal nuovo e strabiliante visore Apple Vision Pro.
Iniziamo con Pablo Picasso.
Io e Picasso
Da adolescente e da giovane adulto, ma anche oltre, ho tenuto una riproduzione di Guernica di Picasso a occupare quasi un’intera parete della mia camera. Il caos del dipinto, le forme tronche, aspre e dilatate delle figure, il bestiario taurino e la lampadina dalla povera luce costituivano per me una fonte inesauribile di stupore. Proprio nel senso del sublime kantiano.
La monocromia del dipinto e una certa ruvidità, dovuta alla iuta dove l’avevo fatta riprodurre, rendevano l’opera magnetica.
Avevo poi fissato alla parete un leggio, un po’ sgangherato, sul quale poggiavo un grande libro illustrato aperto su alcuni particolari di Guernica, a grandezza quasi naturale (quasi dico perché il dipinto è 3 metri e mezzo). Ogni giorno sfogliavo un doppione e poi, arrivato alla fine del libro, ricominciavo.
Ho potuto vedere il dipinto dal vivo solo nel 1981. Mi pare sia avvenuto a Barcellona, dove è stato per pochissimo tempo prima di andare a Madrid. Con mia sorpresa, in piedi di fronte al quadro, lo stupore non c’era più, evaporato, per far posto a un certo distacco come succede a Marcel nel momento in cui rivede Gilberte Swann. Ormai io stesso ero parte di Guernica.
Quando qualche anno dopo, al Moma, ho visto alcuni dipinti di Georgia O’Keefe con quelle forme rotonde, turgide e palesemente vulvari ho capito che Picasso era il passato.
A quel punto ho regalato la riproduzione di Guernica a una persona amica e nella cameretta ho attaccato i poster di Taxi Driver, Manhattan e Barry Lyndon.
Pablo è vivo?
Oggi, 50 anni ci dividono dalla scomparsa di Pablo Picasso (1881-1973), una delle maggiori, se non la maggiore, personalità artistica del Novecento nonché, con le sue 25mila opere, l’artista più prolifico seguito, a grande distanza, da Warhol con 798.
Picasso è una stella polare per in mondo dell’arte, il collezionismo, le case d’aste e il mercato. Le sue opere sono un bene rifugio – come l’oro. Dal 1953 al 2021 sono andate all’asta ben 1500 opere di mano dell’artista.
Per questo anniversario ci sono mostre ovunque, a Parigi, Nizza, New York, Malaga ecc. Ovunque ci sia “un” Picasso lo si tira fuori per costruire un evento, come detta l’industria culturale.
Sotto sotto, però, si avverte un disagio ancora indistinto nei confronti di questo smisurato artista. È un noioso fastidio trasportato da due brezze molto contemporanee: quella dell’appropriazione culturale e quella della condotta dell’artista in privato e in pubblico.
Oggi l’opera di una personalità artistica geniale, rea di avere fatto qualche porcheria nella sua vita, inizia ad essere guardata in modo diverso dal passato, quando quel fattore contava poco nel determinare il valore del suo lascito artistico. Succede che mentre il sensore storico che è in noi resta immobile, quello morale comincia a oscillare.
George Berkeley
È corretta questa osservazione? E che senso ha ? Vediamo.
George Berkeley è stato un grande pensatore irlandese. Nato in una contea rurale dell’Irlanda, oltre a essere stato vescovo anglicano della Chiesa d’Irlanda, è divenuto anche uno dei più influenti filosofi dell’età moderna.
Ciò nonostante, il Trinity College di Dublino ha deciso di cambiare nome alla propria biblioteca e di chiamarla non più “The Berkeley Library” ma “The Library of Trinity College Dublin”.
Anche la mitica Università di Berkeley, dirimpetto a San Francisco, deriva il suo nome dal filosofo irlandese. E ora si sta seriamente pensando a cambiare il nome anche di quella Università.
Perché? Perché George Berkeley nella sua piantagione di Rhode Island nel 1728, cioè tre secoli fa, ha impiegato degli schiavi.
Andiamo però con ordine.
L’appropriazione è arte?
Steve Jobs soleva ripetere ai suoi “i grandi artisti copiano”. Infatti Picasso, che praticava il furto buono (vedi sotto), figurava con una T-shirt alla marinara sui poster della campagna “Think different” del primo iMac. Quando però a copiare era Bill Gates Jobs gli dava appuntamento in tribunale perché quello di Bill era sempre un cattivo furto (vedi sotto), un furto di uno senza gusto.
Allora, copiare o rubare è una virtù artistica? Ma no! Afferma la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America chiamata a deliberare sul caso Andy Warhol Foundation vs. Lynn Goldsmith.
Sono stati in molti a meravigliarsi che un alto tribunale sia stato chiamato a decidere su una faccenda di attribuzione artistica o, meglio, a determinare se un grande artista, che prende un prestito da un’artista minore, sia tenuto a riconoscere il tributo, anche in termini economici.
Per noi europei non c’è molto da discettare. Nella nostra legislazione sul diritto d’autore non esiste il “fair use”, ma nel panorama americano, dove il “fair use” determina una sospensione delle disposizioni del diritto d’autore, esso ha un rilievo enorme.
L’uso di Warhol dello scatto di Prince rientra nel fair use come dice la Fondazione Warhol, oppure non vi rientra come sostengono i legali della Goldsmith?
Il diritto dell’economia nell’arte
Perché meravigliarsi che in questa disputa, risolvibile con un compromesso amichevole, sia entrata in scena la più alta magistratura? In uno stato di diritto e in un’economia di mercato l’opera d’arte, che è anche un bene, un patrimonio, rientra pienamente nella sfera del diritto dell’economia.
E questo è avvenuto con il caso della serigrafia di Prince, che Warhol ha chiaramente tratto da uno scatto della fotografa Goldsmith. Il diritto di riproduzione della serigrafia è stato venduto per 10mila dollari dalla Fondazione Warhol a “Vanity Fair” per una copertina della rivista senza che la fotografa ne ricevesse alcuna parte.
Oggi mi chiedo perché sia così difficile riconoscere un tributo artistico quando questo è abbastanza evidente, come ha anche constatato la Corte Suprema nelle oltre 100 pagine che accompagnano la sentenza. Caspita! tutte le persone del grande giro dell’arte sono milionarie! Si sa però che Andy Warhol era un grande spilorcio e andava in giro senza portafoglio. Ma la Fondazione che porta il suo nome? Suvvia!
Se l’arte è proprio rubare, allora facciamolo per bene. Atteniamoci alla guida d’uso proposta nel libro bestseller di Austin Kleon, Ruba come un artista, pubblicato in italiano da Vallardi.
L’affievolimento di una luce?
Torniamo al nostro Picasso. Il settimanale “The Economist” riferisce che il mondo dei mercanti d’arte è molto nervoso riguardo a Picasso. Sembra che il vento stia per cambiare riguardo al suo ruolo e al valore dei suoi manufatti. Un segno di questo trend è il declino dell’influenza di Picasso sulle giovani leve artistiche contemporanee.
Da alcune interviste, citate dal magazine di Londra, sembra che il nome di Picasso non compaia più tra le fonti d’ispirazione menzionate da una nuova generazione di persone dedite all’arte.
Un’altra preoccupazione riguarda il peso nella coscienza del pubblico contemporaneo dei comportamenti dell’artista nella vita privata, non privi di risvolti misogini e prevaricatori, da “macho”. Alla luce del movimento MeToo, sta diventando sempre più difficile separare l’arte dalla vita della mente che l’ha creata.
Le opere di altri artisti di spicco, tra cui Balthus, Salvador Dalí e anche Lucien Freud, hanno perso valore agli occhi dei critici e dei collezionisti a causa del comportamento nella vita privata. Esporre un loro lavoro anche in una quadreria privata può arrecare disagio ai visitatori dai quali si ricerca, invece, lo stupore.
Pablo-matic
L’artista queer australiana Hannah Gadsby non fa mistero del suo odio per Picasso. “I hate Picasso”, dice senza mezzi termini. Lo ritiene un “campione di misoginia”.
In occasione del cinquantenario della morte dell’artista, Gadsby – che ha creato e interpretato delle produzioni di Netflix molto apprezzate e premiate – espone al Brooklyn Museum di New York, fino al 23 settembre 2023, una mostra antipicassiana dal titolo It's Pablo-matic: Picasso According to Hannah Gadsby. Picasso non ne esce certo bene.
La fonte principale penso sia La mia vita con Picasso (Donzelli) di Françoise Gilot scomparsa proprio in questi giorni a 101 anni. Tra la Gilot e Picasso correvano 40 anni di differenza e, dopo la pubblicazione del libro nel 1953, Picasso troncò ogni rapporto con la donna e i due figli avuti da lei, Claude e Paloma.
Probabilmente la riteneva colpevole di lesa maestà. Sembra che abbia detto “Nessuna donna può lasciare Picasso!” quando la Gilot le ha comunicato la sua intenzione di andarsene.
C’è anche un film del 1996 dedicato a questa relazione, Surviving Picasso (Apple TV), interpretato da Anthony Hopkins (Pablo Picasso), Natascha McElhone (Françoise Gilot), Julianne Moore (Dora Maar), Joss Ackland (Henri Matisse).
Di questi tempi
In questi tempi di sentimenti forti e di ragione debole la disdicevole condotta di Picasso può contribuire a obnubilare la sua immensa e rivoluzionaria arte, uno status quest’ultimo impossibile da negare anche per chi abbia in orrore il Picasso-uomo.
Infatti Hannah Gasby non mette in discussione questo status anche se si sofferma sul fatto che l’essere “mysoginist” di Pablo emerga anche nel suo modo di raffigurare le donne.
Non è una situazione di sottovalutare questo sviluppo che sta venendo fuori, come sottolinea bene l’articolista dell’“Economist”.
Che dire?
Sono piuttosto convinto che in questo secolo succederà una profondissima revisione storica a tutti livelli del Novecento e anche dell’età moderna. E a metà secolo non vedremo più le cose come le vediamo adesso.
Anche grazie al visore della Apple che ha due chip, 12 fotocamere, 5 sensori tra i quali un radar e uno a infrarossi, 6 microfoni. Può proiettare su uno schermo virtuale OLED a 4k di 30 metri. Everything, Everywhere, All at Once (Apple TV+). E non è che l’inizio.
Prima di andare
Plastica secolare. I nostri mari sono disseminati di oggetti di plastica di uso quotidiano abbandonati da pescherecci, piattaforme petrolifere, navi da carico, imbarcazioni turistiche, persone incuranti. Alcuni oggetti, come i sacchetti di plastica, impiegano 20 anni per decomporsi, mentre altri, come le reti da pesca e le lenze, possono impiegare sei secoli. Guardate questo grafico riportato dal “Financial Times”.
L’ultima parola al sidolizzatore:
Il sidolizzatore inizia la campagna “Pro domo sua - Avanti Sulla Strada Delle Revisioni A Tutta Manetta”: lavoro sicuro, sicuri introiti nonché promozione da lisciatore di frasi e commenti a censore!!! Missione: riscrivere le opere di Tom Sawyer, per abuso del termine “negro” (e altro); distruggere Roman Polański, Nabòkov (e altri), per le note “avventure”; far dimenticare B. Cellini, M. Merisi (e una sfilza d’altri) per truffa, omicidio, sodomia; cancellare Georg Solti (e altri, tanti altri, tantissimi altri) per “manomissione” di altrui sottane;…Ed essendo difficile trovare bravi censori, occorrerà ricorrere a ordinari leccaculo.
Ricevo per mail da Alberto Casini questo commento che riporto integralmente:
caro Mario sei troppo forte, mi fai divertire un mondo.
Nella mia cameretta c'erano la marylin di wharol, per un periodo un manifesto del living theatre di quando vennero a Firenze, un autoritratto che ho ritrovato dopo 45 anni (quando l'ho fatto ne avevo 23) e che ti allego, un teschio di mucca dipinto a mano con vernice da carrozziere come fosse un totem sioux, che poi siccome sono un cretino ho buttato via e poi la donna contrabbasso o viola di Duchamp e poi non mi ricordo cosa ci è girato... Siamo figli dello stesso mondo, la comunanza qualche volta aiuta. Per quanto riguarda il merito dell'articolo, è vero Picasso è il passato... l'arte contemporanea è andata da tutta un'altra parte, e col tempo cambieranno i giudizi sui grandi del 900, ma visto che Caravaggio era un assassino, Pontormo un pazzo vero, anche Picasso resterà nonostante tutto Picasso. Con affetto Alberto