❇ 5° episodio della serie “I numeri nella storia”.
Articoli pubblicati
1. Armonie&Numeri
2. Nati nello stivale
3. Le magnifiche 21
4. La carneficina che torna
5. E non rimase nessuno
Buongiorno e buon fine settimana.
And Then There Were None (1939) noto in Italia come 10 piccoli indiani (primo verso di una filastrocca per bambini veramente indicibile in originale) è il più famoso giallo di Agatha Christie. È di questi giorni la notizia che anche i suoi romanzi riceveranno una “ripulitina” à la Daniele da Volterra, il “braghettone”.
“Non è rimasto nessuno”. Potrebbero queste essere anche le parole inviate alla sala operativa di un pianeta extra-latteo, come quello di Don’t Look Up (Netflix), da un Uomo caduto sulla Terra (Deep web) in un qualsiasi punto tra l’arco alpino e il Mar Ionio, verso la fine del 21° secolo.
Potrebbe succedere davvero se la popolazione “anagraficamente” italiana continuasse a diminuire ogni anno agli stessi identici ritmi con i quali aumentava agli inizi del 20° secolo. E questo malgrado che nel 2023 il numero degli italiani sia quasi doppio rispetto a quello del 1900. Il che fa una bella differenza per il nostro discorso demografico.
Come ci fa notare bene Michele Giocondi nel post di oggi, che va a completare quello sull’andamento delle nascite in Italia dall’Unità a oggi, la situazione demografica del nostro paese, per chi non sia malthusiano o felicemente decrementale, desta una certa preoccupazione.
Come osservano alcuni studiosi, i disequilibri generazionali possono essere una minaccia severa per la coesione sociale e possono portare conflitti tra età non dissimili da quelli che si sono avuti tra classi.
Pertanto, al netto di ogni inaccettabile teoria eugenetica, il saldo naturale negativo è uno delle grandi questioni del nostro tempo.
Buona lettura.
La mortalità, un percorso del tutto diverso dalla natalità
di Michele Giocondi
Una differenza notevole
La prima osservazione che viene spontanea, allorché si entra nel mondo della mortalità e si osservano i suoi numeri nel nostro paese dalla sua fondazione a oggi, è che il discorso è molto diverso da quello della natalità.
Se questa ultima, come abbiamo visto nel post precedente, ha registrato nel corso dei decenni dei picchi notevolissimi di differenza fra l’anno di maggiore e quello di minore natalità, per la mortalità le cose sono andate in maniera del tutto opposta, sia in numeri assoluti, che in percentuale.
Ricordiamo infatti a tale proposito, che nella natalità siamo passati da circa 1.200.000 nascite a fine ’800, quando la popolazione era poco più 30 milioni di abitanti, a meno di 400.000 nel 2022, con una popolazione di quasi 60 milioni di abitanti.
Una differenza oggettivamente enorme, che risalta ancora di più se vista in rapporto alla popolazione dei due periodi. Una cosa sono infatti 1.200.000 nati su una popolazione di 30 milioni di abitanti, come avveniva a fine ’800, e quindi grosso modo un nato ogni 25 abitanti, un’altra cosa, e infinitamente peggiore, sono le 400.000 nascite di oggi su 60 milioni di abitanti, cioè un nato 150 abitanti.
Il che, in soldoni, fa una natalità odierna 6 volte inferiore a quella di fine Ottocento.
Sui decessi, invece, si registrano tassi molto più omogenei di quelli delle nascite, e la differenza fra i periodi di più alta e di più bassa mortalità non va oltre un 30%, e nella maggior parte dei casi si attesta su un 10% in più e in meno.
Questo, ovviamente, in cifre assolute, perché se si guardano le proporzioni con la popolazione residente, le differenze appaiono più marcate.
La mortalità nell’Italia monarchica
Il primo cinquantennio del regno
Ma vediamo un po’ di numeri. Nei primi 50 anni di vita del Regno d’Italia, e cioè dal 1861 al 1911, si registrano mediamente dai 720.000 agli 820.000 decessi l’anno.
Il decennio con il maggior numero di morti è quello che va dal 1871 al 1880 con 819.514 morti di media ogni anno.
Quello con minore mortalità è invece il periodo 1901-1910, con 719.565 decessi l’anno. Gli altri periodi si collocano fra questi due livelli. È una differenza inferiore al 15%, sia pur in cifre assolute e non in percentuale sulla popolazione presente, come abbiamo già avuto modo di sottolineare.
Sono cifre di mortalità alte, in rapporto alla popolazione, che, ricordiamo, nello stesso periodo passava grosso modo dai 25 milioni di abitanti del 1861 ai 36 del 1911.
Contribuiva in misura netta e drammatica all’elevata mortalità, quella infantile, quella cioè dei bambini sotto i 12 mesi, che in quel periodo colpiva mediamente 200.000 bambini l’anno.
Si trattava di una vera e propria ecatombe, una strage dalle dimensioni apocalittiche: un bambino ogni 5-6 nati moriva entro il primo anno di vita. E che poi proseguiva negli anni successivi, allorché quattro bambini su dieci non arrivavano al quinto anno di età.
Se si sottrae la mortalità infantile, oggi, grazie a Dio, quasi completamente scomparsa, a quella generale, si vede che nei decenni di fine ’800 ci si attestava su una media di 500.000-600.000 decessi l’anno, più o meno in linea con quella del nostro paese fino ai giorni nostri. Il tutto, non dimentichiamolo, in un paese che contava cieca la metà della popolazione di oggi
Il periodo dal 1911 al 1946
Nel periodo successivo, quello che va dal 1911 al 1946, anno di scomparsa della monarchia in seguito al celebre referendum, la mortalità generale continua ad abbassarsi progressivamente.
Si passa infatti dai 735.543 morti del decennio 1911-1920, ai 571.719 del periodo 1941-1950. È un notevole salto indietro della mortalità, che risulta più evidente se si considera che in entrambi i decenni presi in esame si svolsero due guerre mondiali, che accrebbero in misura consistente il numero dei decessi.
Nella prima guerra mondiale i caduti nel conflitto furono circa 650.000, ai quali si potrebbero aggiungere quelli dovuta alla terribile epidemia della “spagnola”, che falcidiò altre 600.000 persone.
Se si sottraggono i decessi per questi due eventi, cioè altri 1.250.000 unità, alla mortalità generale, si avrebbe una media di decessi nel periodo 1911-1920 di 610.543 l’anno.
Anche per il decennio 1941-1950 si può fare un discorso analogo, togliendo dal numero dei morti i circa 450.000 defunti dovuti al secondo conflitto mondiale. Ciò ci porterebbe a una media di 526.719 morti l’anno.
Siamo sempre, come si può notare, in una fase di lenta e costante diminuzione della mortalità, in una percentuale di circa il 15% in meno del decennio 1941-1950, rispetto a quello 1911-1920, pur con una popolazione complessiva, nello stesso periodo, in sicura crescita.
La mortalità nell’Italia repubblicana
Il periodo 1950-2010
Con il passare del tempo entriamo nell’Italia repubblicana. In questo periodo, la mortalità complessiva si attesta intorno ai 500.000 decessi l’anno. Nel decennio 1951-1960 siamo su una media di 469.283 morti l’anno, mentre nel decennio successivo, 1961-1970, essa sale mediamente a 510.126 unità l’anno.
Andando avanti nel tempo, la mortalità complessiva risale leggermente, attestandosi, nel decennio 1971-1980, su 541.115 decessi di media l’anno. Questi scendono di poche migliaia nel periodo successivo, 1981-1990, allorché diventano 537.484.
È, come si può notare, una differenza minima fra i due periodi, di neanche l’uno per cento, anche in rapporto alla popolazione, che nei due decenni non muta granché.
Il periodo 1990-2021
Il numero di decessi risale un po’ nel decennio 1991-2000, quando questi ammontano mediamente a 559.757 e salgono ulteriormente un altro po’ nel decennio 2001-2010, attestandosi a 569.904.
La differenza di mortalità fra i decenni rimane comunque sempre minima, di poche migliaia di unità in più o in meno ogni anno. E lo stesso avviene in percentuale, in quanto la sia pur lieve maggiore mortalità degli ultimi periodi è dovuta alla crescita della popolazione.
Valga come esempio il fatto che i 510.126 morti del decennio 1961-1970, su una popolazione di circa 51 milioni di abitanti, fanno un morto ogni 100 abitanti, la stessa, più o meno, di 569.904 su 57 milioni di abitanti, del decennio 2001-2010: sempre uno su 100.
Un discreto balzo in avanti della mortalità viene registrato nel decennio successivo 2011-2020, allorché la cifra dei decessi raggiunge i 633.098 di media l’anno. Ma considerando che la popolazione totale in quel periodo raggiunge i 60 milioni di abitanti, ne viene fuori un decesso ogni 94 abitanti, invece di uno su 100.
La mortalità sale ancora di più nel 2021 allorché si registrano 709.035 decessi. È un aumento dovuto in buona parte, come l’anno precedente, alla pandemia di Covid, che in questi anni si calcola abbia falcidiato la popolazione di circa 60 - 70.000 unità l’anno. Senza gli effetti della pandemia si sarebbe rimasti, sostanzialmente, su cifre analoghe a quelle dei periodi precedenti.
Ritorno al passato
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, se dovessero permanere anche in futuro questi dati di natalità e di mortalità, che si possono riassumere in due cifre, 700.000 morti l’anno a fronte di 400.000 nascite, ne verrebbe un calo di circa 300.000 unità l’anno.
Con questi numeri, in qualche decennio l’Italia tornerebbe ai livelli di popolazione di oltre mezzo secolo fa, quando era di circa 50.000.000 di abitanti. Ma avrebbe una popolazione assai più vecchia, con tutte le conseguenze del caso.
Non ultima, gli effetti che ricadrebbero sul welfare del paese, basti pensare solo a sanità e pensioni, e con pesanti ricadute anche sul debito pubblico complessivo, già oggi in situazione molto problematica. Il tutto al netto di eventuali politiche sull’immigrazione e sull’emigrazione, in massima parte ancora da definire. Sarà proprio questo uno dei temi più importanti dell’azione dei governi, di qualunque tipo essi siano.
Prima di andare
Vacanze di Pasqua e oltre. Come ci suggerisce il quotidiano inglese “The Financial Times” prima di programmare una vacanza, ora che si sta avvicinando la Pasqua che segna l’inizio del periodo di viaggi, consideriamo anche l’impatto ambientale che la nostra destinazione potrebbe implicare. Questo grafico, ripreso sempre dal “Financial Times”, dovrebbe aiutarci a farlo. Naturalmente per chi ha voglia di farlo.
Manca un'alfabetizzazione sul significato e valore della demografia. In mancanza le decisioni politiche sono tutte improntate a principi ideologici o a approcci preconcetti. La buona razionalità si sta affievolendo