[Secondo episodio della serie “Dietro una canzone”]
Già pubblicati:
1. Ohne dich, Rammstein
2. Trans-Europa Express, Kraftwerk
3. Daimond & Rust di Joan Baez
4. Ballad in Plain D di Bob Dylan
Buongiorno e buon inizio settimana. In questo tristissimo momento, l’incredulità degli accadimenti ci fa ammutolire. Andrei Rublev (su Prime Video, 3 ore) smise di parlare.
Ogni discorso sembra inane. Cercare di farne è come tentare di ripulire della cristalleria andata in frantumi. Eppure come dice il perdente/vincente Pierre Bezuchov, nelle pagine finali di Guerra e Pace, “bisogna pur vivere, andare avanti”.
È con questo spirito che ci rifugiamo nel bunker della musica, proponendovi un discorso sulla vita e i tempi di una grande canzone, così come propone di fare David Cheal, giornalista di vaglia e autore di un libro in due volumi dal titolo The Life of a Song. The Stories Behind 50 More of the World’s Best-loved Songs.
Spero di potervi proporre, almeno una volta al mese, qualcosa di simile.
Fonti di energia
La canzone è quella del titolo: Trans-Europa Express dei co-inventori della musica elettronica moderna. Già nel nome, il gruppo si annuncia con una profezia: Kraftwerk, “Centrale Elettrica”.
Una scelta appropriata anche per l’argomento del brano che, con l’aiuto di Cheal, ci apprestiamo a proporvi… ora che possiamo tornare a viaggiare.
Piano: non con l’aereo! Guardate che pasticcio insensato ha combinato Boeing (su Netflix)! È molto meglio un bel treno che trasmette sicurezza con la sua andatura cadenzata e le sue comode poltrone. Ce ne sono e ce ne saranno ancora tanti, di treni, per andare ovunque, il paesaggio reale che sfila dal finestrino (scegliere sempre quei posti), i pensieri che volano… e Trans Europa Express che romba negli Airpod.
Il ritmo della strada ferrata
La strada ferrata ha un suo ritmo sonoro, estetico e anche, sì, emotivo. Rammentate gli Stati d’animo di Boccioni?
Una emozione forte devono averla sicuramente vissuta anche i curiosi convenuti il 28 dicembre 1895 alla proiezione del primo documento visivo in movimento quando videro il minaccioso avvicinarsi di una locomotiva, sia pure su un lenzuolo. Ai parigini allora presenti deve aver evocato la motrice penzolante dal mezzo rosone della Gare d’Orsay.
Gli inglesi le hanno inventate, gli americani le hanno capitalizzate, i russi ne hanno costruita una transcontinentale e i francesi le hanno messe nell’immaginario; ma sono stati i tedeschi a fare delle loro ferrovie una delle reti più dense al mondo con nodi immensi e complicati dove i binari si intrecciano e si smistano in infinite vie di fuga che portano per ogni dove (probabilmente neanche i macchinisti lo sanno, ma sicuramente fino a… Baghdad).
Germania ferrata
Con i suoi 40 mila chilometri di strade ferrate (oggi), la Germania ha una tra le più alte densità al mondo di binari, quasi 100 km ogni 1000 kmq. La prima cosa che i tedeschi costruivano, non solo nelle poche e tardive colonie africane ma anche nei Paesi partner, erano proprio: ferrovie.
Cosa meglio della musica elettronica poteva esprimere il ritmo meccanico, cadenzato e trionfale del simbolo della ragione strumentale? Per la proprietà transitiva: chi meglio poteva riuscirci di un ensemble di Düsseldorf, città degli scambi infiniti?
Questa immensità delle trame delle vie ferrate tedesche ha, probabilmente, ispirato al grande gruppo musicale, nato nel cuore della Ruhr, un pezzo musicale memorabile.
Sebbene i Kraftwerk non siano stati i primi a trarre ispirazione dal dodes’ka-den del treno (prestito onomatopeico di A. Kurosawa, su Vimeo), il loro Trans-Europa Express si colloca ai vertici delle hit ferroviarie. Scrive David Cheal “La musica popolare e le ferrovie sono inseparabili”. Nel 1977, con questa canzone, i Kraftwerk portarono il binomio treni-musica nell’era della musica elettronica.
I TEE
Prima della CEE e dell’Unione europea, furono i TEE (i “Trans-Europe Express”) in servizio dal 1957 al 1995, a definire la nazione europea e a inverare il Manifesto di Ventotene: e già contenevano in sé qualcosa di Schengen, i TEE: con essi si viaggiava senza frontiere. Il biglietto però non era proprio economico.
Per chi fosse interessato a questa magnifica esperienza consiglio la lettura di questo post del Touring Club.
Si dà il caso che i TEE passassero vicino allo studio di registrazione del Kling Klang, l’etichetta discografica dei Kraftwerk, a Düsseldorf. Qui, infatti, incidevano i quattro componenti del gruppo, fondato nel 1969 da Ralf Hütter e Florian Schneider. Personaggi senz’altro singolari, a più riprese hanno tenuto a mettere i puntini sulle i circa le loro identità: “non siamo artisti o musicisti, siamo lavoratori”, ripetevano. Altrimenti, che senso avrebbe il nome della band?
Canone europeo
È vero: prima che in ferrovia avevano lavorato sulle strade. Nel 1975 il brano Autobahn aveva documentato binariamente (Auto/Bahn) l’esperienza di correre sulle grandi e veloci autostrade tedesche.
Due anni dopo suonarono la loro sincope ferroviaria (tu-tùm/tu-tùm) con un approccio più cosmopolita: “Ci vediamo sui Champs-Elysées al mattino”, “a Vienna a tarda sera” e “di stazione in stazione di ritorno a Düsseldorf per incontrare Iggy Pop e David Bowie ”. Così recitano le poche parole con un senso scandite in Trans-Europa Express.
Il brano stabiliva un legame diretto con il ferroviario Station to Station dello stesso David Bowie uscito un anno prima rispetto a Trans-Europa Express. Sembrava davvero che il “canone europeo”, annunciato in modo distorto nel brano di Bowie (European cannon, cantava, ma oggi andrebbe bene così), fosse diventato patrimonio comune delle avanguardie musicali del vecchio continente.
Il primo brano dell’album Trans-Europa Express (l’omonimo pezzo fu poi publicato come singolo) si chiama Europa Endlos e l’ultimo ancora oltre: Endlos Endlos. Parafrasando un famoso spettacolo televisivo si potrebbe rendere con “Europa senza frontiere”.
Metallo su metallo fino a Detroit
Sul secondo lato dell’album c’è una martellante Metal on Metal, una traccia di oltre 5 minuti da bum bum metallico che ricorda, scrive Cheal, il suono della Germania industriale della regione Reno-Ruhr.
Una musica squisitamente europea che ha, comunque, attraversato l’Atlantico fino a New York e Detroit, dove i giovani, prevalentemente di colore, della nascente scena electro/techno ballavano con fervore sotto il colpi e i clangori ideati dai Kraftwerk.
Negli Stati Uniti, da brani come Trans-Europa Express e Numbers, nacque il “Planet Rock” che è uno dei cilindri dell’hip-hop. Numerosi anche le cover di gruppi heavy metal e industriali come quello notevole della band slovena The One You Love.
I Trans Europe Express propriamente detti hanno cessato di correre e hanno lasciato il passo ai più prosaici Treni ad Alta Velocità. Ma i Kraftwerk continuano a farli viaggiare in Europa e in America e pur essendo rimasto solo Hütter, della band originaria, continuano ad essere una fonte d’energia rinnovabile.
Un momento…
Abbiamo anche noi un bellissimo pezzo ferroviario. Effettivamente non strepita né sferraglia come il TEE, ma è un “mostro che divorava la pianura”. Sapete sicuramente di che cosa sto parlando. Se non lo avete intuito andate qui.
Prima di andare
Zero plastica. In questi giorni ci è stato consegnato nel nostro spazio all’Impact Hub di Firenze un nuovo iMac. Nell’imballo altamente ingegnerizzato non c’è un millimetro quadrato di plastica. Tutti i contenitori e i rivestimenti sono in cartone o cartoncino con chiusure a incastro. I cavi sono in tessuto intrecciato. L’hardware è in titanio. Stupefacente!
Co-working. Le aziende stanno verificando quando sia problematico riportare le persone in ufficio. Molti non vogliono più lavorare né in ufficio, né in cucina Vogliono lavorare in un terzo spazio a 10 minuti di cammino da casa. Cos’è mai questo terzo spazio? È un co-working. Leggete quello che sta succedendo a Londra.
Greenwashing. Ci voleva il vecchio incallito rider e ipercapitalista Carl Icahn a togliere la maschera a McDonald’s sul trattamento concetrazionario degli animali fornitori degli hamburger. Il greenwashing è la nuova insopportabile ipocrisia del capitalismo progressista.
L’ultima parola al sidolizzatore. Il sidolizzatore lucida testi e corregge pure stonature e dissonanze, come tutti sentono. Sì, perché interviene là dove il segno scritto diventa suono e ritmo, dentro il lettore. Se poi, nel “mostro che divorava la pianura”, brilla la poesia, ecco luccica perfino una pepita filosofica. Tuttavia alla infallibile, ossessiva ripetitività della musica elettronica preferisce l’incessante invenzione di echi in una fuga di Bach… désolé…