La vaccinazione: una storia millenaria
1. Le prime tappe con vittime illustri, eroi dimenticati e episodi illuminanti
di Mario Matteini
[Primo episodio di quattro]
Secondo episodio
Terzo episodio
Quarto episodio

Buongiorno e buon inizio settimana. Ancora i vaccini? Ma non si potrebbe parlare dell’ultimo film di Wes Anderson, di Lady Gaga come Lady Gucci o di come cucinare in modo appetitoso il tofu?. Certo lo faremo. Oggi, però, voglio parlarvi non di vaccini, ma di storia, la più bella disciplina delle scienze umane. Seconda, forse, solo alla filosofia.
La storia è nell’attualità
Il motto “historia magistra vitae” dovrebbe essere stampato a caratteri cubitali in tutte le stazioni delle metropolitane del mondo, tanto oggi la storia è negletta e vilipesa, non solo dai falsificatori.
Nella storia c’è il presente. Basterebbe la storia greca, lì già c’è tutto. Se Filippo II di Spagna e i suoi generali avessero appena appena studiato la battaglia di Salamina, non avrebbero dovuto assistere all’annientamento della Grande Armada ad opera di quel bucaniere di Francis Drake, in prosieguo baronetto della mercuriale Elisabetta I.
Se Hitler e il suo clan avessero avuto una pur vaga nozione di storia ateniese, ci avrebbero pensato due volte prima di aprire un secondo fronte di guerra, scelta rovinosa come quella decisa da Atene contro Siracusa e Sparta. Napoleone era consapevole di queste situazioni, ma non aveva assimilato l’Anabasi, e in Russia è finita com’è finita e poi c’è stata Lipsia.
A ben vedere, nell’ascesa del Cristianesimo, nel tardo mondo antico e nell’alto Medioevo già si può scorgere l’affermarsi dell’intelligenza artificiale, la nuova divinità, o anche delle criptovalute nel nostro mondo.
Serve davvero la storia?
Il problema, con la storia, è che ogni nuova generazione di decisori si considera diversa, più abile, dotata di tecnologie migliori e di un bagaglio di saperi superiore: per cui, sicuramente essa non incorrerà negli errori, appunto, della storia.
Penserà, anzi, che — per agire — non sia necessario interrogare la storia. E invece no! La storia dà vantaggi competitivi decisivi nella prassi e nell’indirizzo degli eventi.
Non tutti però sono disposti, per opportunismo o per convinzione, a liquidare così la storia. Paul Krugman, ad esempio, parlando dell’inflazione, cui taluni guardano come a una sorta di Apocalypse Now, ha scritto “History says don’t panic about inflation”. Se lo dice la storia si può dormire tranquilli. Io credo che abbia ragione.
Gli antropologi David Graeber e David Wengrow hanno scritto un importantissimo saggio sulla storia dell’umanità, in cui sostengono che la società non sia nata con qualcuno che delimita e si appropria di un territorio e che proclama “Questo è mio”, come postula Rousseau e che sarebbe divenuto un canone della storiografia.
Secondo recenti scoperte archeologiche in varie parti del mondo, e all’analisi antropologica che ne è scaturita, la società sarebbe nata piuttosto da un principio di condivisione, avente un’impronta comunitaria ed ugualitaria.
Consola sapere che potrebbe esistere anche questa via, sia pur figlia di un Dio minore. Ci dicono infatti Graeber e Wengrow:
“La storia ci insegna che il mondo migliore che vogliamo costruire è esistito prima e potrebbe esistere ancora. Si può cambiare il corso della storia umana partendo dal passato”.
Buona lettura! Più lunga del solito ma, tranquilli, scorre via come un film di Woody Allen.
Mario Matteini
Questa lunga, ma non inutile premessa, l’ho fatta per presentarvi Mario Matteini, esperto di didattica della storia, docente della SSIS e autore di manuali di storia per la scuola.
Conosco Mario da molti anni e ho lavorato con lui su vari progetti e sono sempre stato impressionato dalla sua capacità di sintesi e di collegamento tra gli avvenimenti e le forze del passato e quelle del presente.
Un’abilità che si trova poco nella storia ufficiale o accademica e anche nella storiografia italiana, a parte alcuni recenti importanti esempi. Tradizione che invece è fortissima nella storiografia anglosassone.
Questa sua breve storia della vaccinazione — che è parte di un progetto comune del quale ci saranno echi in questa NL e che si chiama “Le parole della storia” — si articolerà in quattro episodi.
Ve li proporremo, dopo questa puntata, ogni altro giovedì per finire prima di Natale, in un periodo in cui la campagna a favore dei richiami del vaccino anticovid si intensificherà massicciamente.
La storia ci può dire veramente qualcosa a questo proposito, ma non se ne sente mai parlare nel bla-bla quotidiano. Per fortuna che c’è Mario a coprire questa falla.
Buona lettura! Più lunga del solito ma, tranquilli, scorre via come un film di Woody Allen.

Che il vaccino abbia qualcosa a che fare con le vacche è abbastanza intuitivo; che la sua introduzione risalga alla fine del Settecento e si debba al medico britannico Edward Jenner, e ai suoi studi per combattere il vaiolo, lo abbiamo imparato fin dalle scuole elementari.
Nella maggior parte dei casi la nostra conoscenza si ferma a queste poche e superficiali informazioni. Ed è un vero peccato, sia perché questa grandiosa pratica medica, che ha salvato e salva milioni di vite umane in tutto il mondo (si calcola che i vaccini salvino circa due milioni e mezzo di vite umane all’anno, 5 al minuto) merita di per sé conoscenze più estese e approfondite, sia perché, se approfondiamo, possiamo scoprire particolari sorprendenti e illuminanti a proposito della storia della medicina e dei suoi rapporti con le dinamiche socioculturali, antropologiche e politico-economiche.
Arriva il vaiolo e fa prime vittime illustri
Per collocare le origini storiche della pratica medica della vaccinazione, dobbiamo risalire nel tempo di vari millenni: la sua storia è infatti legata a quella del vaiolo, una malattia che, secondo gli storici, ha iniziato ad attentare alla salute degli uomini circa diecimila anni fa.
Nel Medio Oriente, favorevoli condizioni climatiche e geografiche - presenza congiunta di fiumi come il Nilo, il Tigri e l’Eufrate, ad esempio - propiziano la nascita e la diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento e una produzione di cibo che, non più basata su caccia e raccolta, offre maggiore varietà e quantità. Il conseguente miglioramento delle condizioni di vita aiuta la crescita della popolazione; questa si organizza in forme più avanzate e da esse avranno origine le prime grandi civiltà.
Ma, quasi a compensare la crescita demografica che contrassegna questo passaggio cruciale della storia dell’umanità, proprio le innovazioni che hanno consentito tale crescita, e lo stesso aumento della popolazione, favoriscono il diffondersi di malattie che per millenni causeranno un’elevatissima mortalità. Gli animali addomesticati ospitano microorganismi molto pericolosi per l’uomo; oltre a quelli all’origine della tubercolosi e della brucellosi, probabilmente anche quelli del vaiolo.
I testi antichi – dalla Bibbia al Talmud – ci parlano di malattie ed epidemie che potrebbero essere identificate con il vaiolo, ma le prime prove attendibili sono fornite dalle analisi effettuate a partire dagli inizi del Novecento su alcune mummie egizie risalenti al periodo fra il 1580 e il 1100 a. C. Fra queste c’è quella del faraone Ramses V, morto nel 1157 a.C. a poco più di 27 anni, sulla cui salma sono state rinvenute lesioni causate dal vaiolo.
La diffusione del vaiolo nel mondo
Nel corso dei secoli, con gli scambi commerciali, le migrazioni, le invasioni e le guerre, il vaiolo si diffonde in gran parte dell’Asia e vi diventa endemico nei primi secoli dell’era cristiana.
Nel Mediterraneo il vaiolo era con tutta probabilità presente già a partire dal IX sec. a. C., grazie agli gli scambi commerciali e militari con il Medio Oriente. La prima testimonianza attendibile è quella dello storico gallo-romano Marius d’Avenches, morto nel 596 d.C., che diede alla malattia il nome latino di varus, pustola, dalle bolle che si presentavano sulla pelle dei malati. Da lì, il termine “vaiolo”.
Dopo il Mille, con la crescita demografica e la sempre maggiore densità della popolazione urbana, il vaiolo si diffuse in tutta Europa, fino a diventare endemico. Dal XIV secolo in poi si susseguirono centinaia di epidemie. Nel XVIII sec. il vaiolo diviene la principale causa di decesso e uccideva circa 400.000 europei all’anno, soprattutto bambini.
Portatavi dai coloni europei, la terribile malattia giunge anche nel continente americano insieme ad altre malattie , di fronte alle quali le popolazioni locali erano prive di difese immunitarie.
Ne seguì una vera e propria strage: Incas e Atzechi (ma non solo loro) vennero letteralmente decimati. Il vaiolo agì come arma “batterologica” molto più distruttiva delle armi da fuoco. E come tale venne intenzionalmente usata nel 1763, nel corso della guerra franco-indiana, dagli inglesi, che, tramite coperte usate da soggetti infetti, provocarono la diffusione della malattia fra gli indiani, alleati del francesi.
Alla fine del XVIII secolo il vaiolo, avendo ormai raggiunto anche l’Australia, era diventato endemico in tutto il mondo. E tale rimarrà fino alla sua eradicazione, avvenuta nel 1980 grazie alla vaccinazione di massa, dopo che, negli ultimi 100 anni, aveva provocato la morte di un numero di persone stimato tra 300 e 500 milioni.
Le antiche pratiche cinesi per la immunizzazione dal vaiolo
Se per indagare sulla nascita del vaiolo, dobbiamo tornare indietro di millenni, per considerare invece le pratiche atte a prevenirlo, basta risalire a mille anni fa, forse poco più, e andare all’altro capo del mondo: le prime rudimentali forme di immunizzazione vennero infatti adottate in Cina e intorno al Mille.
Perché proprio in Cina? I fattori determinanti sono principalmente due: una medicina già tradizionalmente orientata verso la prevenzione e l’osservazione secondo cui gran parte della popolazione prima o poi contraeva il vaiolo ma chi vi sopravviveva raramente si ammalava una seconda volta.
Si pensò allora di provocare la malattia in soggetti sani, facendoli entrare in contatto con materiale infetto, prelevato da individui contagiati in forma lieve o in fase di guarigione; in tal modo avrebbero contratto la malattia in forma leggera e poi non si sarebbero più ammalati.
Il metodo prevalentemente adottato consisteva nel far inspirare per via nasale la polvere di croste secche di pustole vaiolose. Esistevano anche altre modalità, come ingerire materiale infetto, applicarlo su un’incisione superficiale o direttamente sulla pelle scarificata, mettere in contatto persone e indumenti infetti.
Dall’Oriente all’Occidente
Questa pratica, detta “variolizzazione” (o “vaiolazione”), diffusasi in tutta l’Asia e l’Africa subsahariana, agli inizi del XVIII secolo, arrivò anche in Europa.
L’area di contatto fra Oriente e Occidente fu l’Impero Ottomano, in particolare la sua capitale, Costantinopoli. Qui operavano due medici di origine italiana, Emanuel Timoni e Giacomo Pilarino. Nei primi anni del ’700 essi iniziarono a praticare la variolizzazione secondo il metodo applicato con successo dalle donne turche, ossia l’innesto di materiale infetto in una abrasione o in una incisione fatta sul braccio o sulla gamba del soggetto da immunizzare, e scrissero le prime dettagliate relazioni destinate alla comunità scientifica.
L’“eroica” Mary Wortley Montagu
Da donna a donna. L’esperienza delle anziane turche suscita l’attenzione di Mary Wortley Montagu, una delle donne più straordinarie dell’età moderna, alla quale va il merito di una più ampia e decisiva diffusione della variolizzazione.
Nata a Londra nel 1689, aveva fin da giovanissima coltivato molteplici interessi: letteratura, teatro, scienza, politica, medicina. Introdotta dal padre Evelyn Pierrepont, membro del parlamento inglese, nella società mondana dell’epoca, conobbe Edward Wortley Montagu, che sposò nel 1712, nonostante l’opposizione del padre.
Nel 1716 seguì il marito, inviato in Turchia come ambasciatore. Incuriosita dai costumi e dalle usanze delle popolazioni locali, apprese che, per combattere il vaiolo, ricorrevano al cosiddetto “innesto”, ossia pungevano la pelle di un individuo sano con un ago intinto nel pus di pustole vaiolose, in modo da provocare una forma attenuata della malattia, che avrebbe assicurato l’immunità permanente.
Le epidemie di vaiolo erano assai frequenti a quell’epoca e provocavano migliaia di morti ogni anno; per il vaiolo era morto nel 1713 il fratello di Mary e lei stessa portava i segni della terribile malattia, dalla quale era stata colpita nel 1715.
Convinta della validità dell’innesto, Mary cercò subito di promuoverne la diffusione. Tornata in Inghilterra, praticò l’inoculazione sul figlio e sulla figlia, e convinse molti amici a fare altrettanto con i propri figli. Riuscì a coinvolgere vari medici e a suscitare l’interesse anche del governo e della corte reale. In breve la pratica dell’inoculazione, nonostante le polemiche e le feroci opposizioni, si diffuse in vari paesi europei e in America.
Mary Montagu morì nel 1762, dopo anni di felice e intensa attività letteraria, ma anche tormentati da malattie e infelici vicende sentimentali.
La variolizzazione in Europa
L’opera di sensibilizzazione svolta da Mary Montagu portò alla diffusione della variolizzazione in Inghilterra. Dopo alcuni esperimenti praticati con successo, a partire dal 1721, su sei prigionieri e su alcuni orfani, anche vari membri della corte e gli stessi sovrani decisero di far variolizzare i propri figli; dopodiché la pratica si diffuse in tutto il Paese.
Nel 1768 fu l’imperatrice d’Austria Maria Teresa a far variolizzare i suoi figli, dopo che quattro, dei sedici che aveva partorito fra il 1737 e il 1756, erano morti di vaiolo.
Nello stesso anno anche Caterina di Russia si sottopose alla inoculazione, ad opera di un medico fatto venire apposta dall’Inghilterra, che, visto il successo conseguito sulla zarina e successivamente anche sul figlio, venne lautamente compensato: 10.000 sterline di premio più una pensione annuale di 500 sterline (nell’Inghilterra del Settecento con il reddito annuo di 2000 sterline si poteva condurre una vita agiata), il rimborso delle spese di viaggio e il titolo di barone.
A un medico inglese fece ricorso, sempre nel 1768, anche Federico di Prussia per immunizzare il proprio figlio e i figli dei nobili di corte.
In Francia la pratica della variolizzazione fu osteggiata dalla Sorbona e dallo stesso sovrano Luigi XV. Gli orientamenti cominciarono a cambiare dopo le prese di posizione favorevoli di alcuni importanti intellettuali, tra cui Voltaire, e, soprattutto, dopo la morte per vaiolo di Luigi XV stesso (10 maggio 1774), cui seguì, poche settimane dopo, la decisione del suo successore Luigi XVI di farsi inoculare (ma nulla potrà fare diciannove anni più tardi contro la ghigliottina).
La variolizzazione a sostegno dell’indipendenza americana
Se in Europa la variolizzazione incise sulla sorte di numerose casate reali, oltre Oceano, dove era in corso la guerra per l’indipendenza delle colonie britanniche dalla madrepatria, ebbe effetti ancora più rilevanti, tanto da influire sull’esito del conflitto.
Fra il 1775 e il 1776 un’epidemia di vaiolo aveva iniziato a mietere vittime soprattutto fra i soldati americani, provenienti in gran parte da zone dove la malattia non era presente e quindi completamente esposti al contagio.
A poco servirono le misure precauzionali attuate da George Washington, comandante dell’esercito continentale americano, il quale prese allora una misura drastica e decisiva. Fra il 1777 e il 1778 vennero immunizzate, tramite variolizzazione, diverse decine di migliaia di soldati. L’esercito americano fu così salvato dalla decimazione, causata non dalle armi nemiche ma dal vaiolo, e poté efficacemente fronteggiare le truppe britanniche.