di Mario Matteini
[Secondo episodio di quattro]
Primo episodio
Terzo episodio
Quarto episodio

Buongiorno. Rieccoci al giovedì con la seconda puntata della serie sulla storia della vaccinazione. La prima è stata molta apprezzata. Chi l’avesse perduta può trovarla qui. In quella vi ho già presentato Mario Matteini e spiegato la ragione di un racconto storico su quello che sembra essere il nuovo Zeitgeist, il vaccino.
Buona lettura!
Due parole sul dottor Wakefield
Nel 1998 Wakefield, il dottore nella nostra copertina, aveva pubblicato un saggio sulla rivista medica The Lancet, nel quale cercava di dimostrare una correlazione tra vaccino trivalente (contro morbillo, parotite e rosolia) e autismo. La risonanza fu enorme, alimentata da una forte campagna mediatica.
Nel 2004 fu appurata la infondatezza dello studio, tanto che il dottore fu radiato dall’ordine dei medici. In ogni caso la preoccupazione sulle conseguenze del vaccino, diffusa a livello planetario, aveva avuto esiti importanti: un sensibile calo delle vaccinazioni, un aumento dei casi di morbillo e dei decessi da questo provocati, una pericolosa crescita della diffidenza verso i vaccini in generale.
Questo sentimento ostile ai vaccini persiste ancora oggi, nonostante Wakefield sia stato radiato dall’ordine dei medici e malgrado le ripetute rassicurazioni degli scienziati.
D’altra parte le prime tesi sul nesso tra vaccini e insorgere di malattie e disturbi gravi sono parte della storia della vaccinazione fin dalle origini, quando improbabili notizie sui terrorizzanti effetti della variolizzazione, prima rudimentale forma di immunizzazione praticata nel Settecento, erano diffuse dagli stessi medici.
La variolizzazione in Italia
In Italia l’inoculazione venne eseguita per la prima volta in Toscana, nel 1756, su sei bambini dell’Ospedale di Santa Maria degli Innocenti. Anche a Venezia, nel 1768, i primi esperimenti vennero praticati su bambini orfani dell’Ospedale della Pietà e di quello dei Mendicanti.
Alcuni dei medici italiani che sostennero e praticarono l’inoculazione divennero famosi a livello europeo. Uno di questi è Angelo Gatti, nato a Ronta, nel Mugello, nel 1724, e laureato in medicina e filosofia all’Università di Pisa nel 1748.
Diventato esperto nella pratica della inoculazione del vaiolo, appresa probabilmente dopo alcuni viaggi in Oriente e sperimentata in Toscana, acquisì notevole fama anche fuori d’Italia. A Parigi, dove si recò nel 1760, riscosse grande successo e praticò numerose inoculazioni.
Tornato in Toscana, nel 1769 praticò l’inoculazione sul granduca Pietro Leopoldo e, fra il 1772 e il 1774, sugli arciduchi suoi figli.
Chiamato alla corte di Napoli nel 1777, dopo la morte di Filippo di Borbone, fratello del re Ferdinando III, inoculò i membri della famiglia reale e vari esponenti dell’aristocrazia. A Napoli, dove trascorse il resto della sua vita, morì nel gennaio del 1798 per un colpo apoplettico.
Altro importante medico “inoculista” fu Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni, nato nel 1708 a Treviglio provincia di Bergamo. Nel 1765, in occasione di una violenta epidemia scoppiata nei territori lombardi, cercò di arrestare il contagio praticando l’inoculazione.
Per dimostrare la validità dell’operazione, nel 1766 pubblicò un opuscolo intitolato Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo, la cui stampa fu curata da Giuseppe Parini.
Il “sangue blu” fa male alla salute
Ma perché in tutti i paesi europei i primi a sottoporsi volontariamente alla inoculazione del vaiolo furono gli aristocratici?
Nel corso del Settecento le frequenti epidemie di vaiolo seminavano il terrore in tutta l’Europa. Oltre all’elevata mortalità, facevano paura le terrificanti conseguenze che dovevano patire molti dei sopravvissuti. Particolarmente terrorizzate erano le famiglie aristocratiche, anche perché il contagio si diffondeva ampiamente fra le classi sociali più elevate.
Gli studiosi ritengono che questo fosse dovuto a vari fattori. Uno di questi è l’endogamia, ossia l’abitudine a sposarsi fra appartenenti allo stesso gruppo sociale e spesso fra parenti anche stretti. Questa pratica aveva come effetto un’elevata consanguineità all’interno delle famiglie aristocratiche, e in particolare di quelle reali, che, oltre a favorire la trasmissione per via genetica di malattie spesso gravi, consentiva al virus del vaiolo di adattarsi con facilità alle caratteristiche genetiche, e conseguentemente di diffondersi più agevolmente e con maggiore aggressività.
La malattia non guarda il blasone
Così, una pratica seguita per preservare “il sangue blu”, i patrimoni e il potere, al fine di rafforzare la monarchia, diventava paradossalmente una causa di indebolimento di intere dinastie reali.
Altro effetto paradossale era quello legato alla maggiore disponibilità economica: gli aristocratici potevano fruire di un’assistenza medica, che normalmente i sudditi non potevano permettersi, ma le cure cui erano sottoposti spesso favorivano la diffusione della malattia o, in caso di sopravvivenza, li rendevano più esposti a gravi complicazioni.
E si trattava di complicazioni che erano più temute della stessa morte: cecità, deturpazione del volto, cicatrici e deformità, che minavano la salute fisica e psichica e spesso impedivano lo svolgimento di qualsiasi attività. Senza contare che la morte di nobili e sovrani poteva originare sanguinosi conflitti dinastici e spesso vere e proprie guerre, come quelle di successione.
L’Illuminismo e le vaccinazioni
La diffusione della variolizzazione non fu frutto solamente della paura ma venne favorita anche dal contesto culturale. Non dimentichiamo infatti che il Settecento è il secolo nel corso del quale, a partire dall’Inghilterra e dalla Francia, si diffuse in Europa l’Illuminismo. In questa vasta corrente di pensiero, il sapere deve liberarsi da ogni pregiudizi per fondarsi sull’uso critico, “illuminante”, della ragione umana, deve porre l’uomo al centro di ogni sua attività e operare concretamente per il raggiungimento della sua felicità e del progresso sociale.
Il controllo delle epidemie è sicuramente un modo concreto di operare per il bene dell’uomo. Esso sarà considerato sempre più necessario, man mano che, in seguito ai mutamenti economici e sociali, all’interno della società e degli stati viene affermandosi la borghesia mercantile.
Nasce il concetto di igiene pubblica
Le epidemie infatti fanno notevolmente aumentare la morbilità e la mortalità dei lavoratori, con conseguenze negative sulla produzione. Quarantene, chiusure e restrizioni alla circolazione di uomini e di merci, oltre a non essere particolarmente efficaci, provocano una contrazione dei mercati.
La nuova consapevolezza dell’impatto sociale delle malattie indusse i governi di vari paesi ad adottare misure preventive sempre più efficaci e controlli più rigorosi, sensibilizzati da studiosi che avanzarono anche precise proposte in materia di igiene pubblica; tra questi si distinse il medico austriaco Johann Peter Frank (1745-1821), che in un monumentale trattato di “polizia sanitaria” espose un dettagliato piano di provvedimenti da attuare in modo permanente e non solo durante le epidemie.
La diffusione di più adeguate misure di igiene pubblica contribuì alla scomparsa della peste.
L’opposizione al vaccino
Il nuovo atteggiamento culturale prodotto dalla cultura illuministica era senz’altro favorevole all’adozione di misure preventive contro il vaiolo. Ma la mentalità collettiva non si lasciava cambiare molto rapidamente. Accanto alle novità sopravvivono, spesso molto a lungo, idee credenze, tradizioni, che possono generare una vera e propria opposizione verso il “nuovo”, che, proprio in quanto tale, è visto con diffidenza se non addirittura con aperta ostilità.
E la pratica della variolizzazione era qualcosa di più di una novità: era una svolta cruciale nella storia della medicina, legata a un’idea decisamente rivoluzionaria, ossia che, provocando deliberatamente una malattia in forma lieve in un corpo sano, questo venisse preservato dalla forma grave della malattia.
Si gettavano in tal modo le basi di quella che più tardi si sarebbe chiamata “immunizzazione”, che avrebbe salvato milioni di vite umane. Ma si trattava di un concetto che era nettamente in contrasto con l’idea, radicata nella mentalità collettiva e in gran parte degli stessi medici, che la medicina doveva combattere le malattie curando gli ammalati e non facendo ammalare, anche se in forma lieve, i sani.
Paure
Le numerose condanne trovavano facile sostegno nei fallimenti cui inevitabilmente andava incontro una pratica ancora rudimentale; accadeva talora infatti che chi avesse contratto la malattia in forma lieve contagiasse altre persone, che persone già inoculate si ammalassero una seconda volta o che le cicatrici praticate per l’innesto causassero infezioni anche gravi.
Spesso l’inoculazione era accompagnata da terapie – legate alla persistenza della teoria umorale, come diete, purghe e salassi – che avrebbero dovuto evitare reazioni indesiderate quali febbre e pustole e che invece peggioravano le condizioni di salute.
Le paure per gli effetti della inoculazione erano spesso alimentate dalla diffusione di notizie terrificanti inventate di sana pianta, talvolta anche dagli stessi medici, alcuni dei quali arrivarono a sostenere che il vaiolo dopo tutto non fosse poi così letale come si credeva.
… e pregiudizi
Diffidenza e paura erano legate anche a pregiudizi d’altro tipo. Non si poteva accettare una pratica nuova, proveniente da popoli considerati barbari e incivili. Nei paesi cattolici, a pregiudizi di tipo culturale se ne sommavano altri di tipo religioso che si opponevano a una pratica nata in paesi islamici, praticata da medici greco-ortodossi e diffusa in Europa a partire dall’Inghilterra, paese protestante…
Era comunque considerata una ribellione alla volontà di Dio, in un contesto, poi, caratterizzato ancora dalla convinzione che la malattia fosse una punizione divina, e da una mortalità infantile assai elevata, causata in gran parte proprio dal vaiolo, e considerata fatalisticamente come ineluttabile, quasi fosse una legge della natura.
Voltaire e Verri
Pregiudizi e paure erano al centro dell’attenzione anche dei numerosi intellettuali che si schierarono invece a favore della inoculazione. Uno dei primi e dei più famosi fu Voltaire, che nell’undicesima delle sue Lettere filosofiche, pubblicate nel 1734, descrive con lucidità i vantaggi, non solo per la salute ma anche per l’economia della collettività, che possono derivare dalla diffusione della variolizzazione.
In Italia il dibattito fu particolarmente vivace e vide la partecipazione di numerosi medici e di illustri letterati.
Uno dei più importanti contributi da parte degli intellettuali fu quello di Pietro Verri, con l’articolo Sull’innesto del vaiuolo, pubblicato sulla rivista “Il Caffè” nel 1766.
Il Verri presenta una ricca e accurata documentazione su sperimentazioni fatte in vari paesi europei e sostiene, con affermazioni di notevole modernità, che, per affrontare correttamente un così importante problema, è necessario prima di tutto liberarsi da pregiudizi e da spirito di partito:
…e molti altri
Nello stesso anno Giuseppe Parini scrisse un’ode intitolata proprio L’innesto del vaiolo, dedicata al medico inoculatore Bicetti de’ Buttinoni. In essa il poeta afferma che coloro che si oppongono sono mossi da “falsa ragione” e da “falsa pietade”, e spera che la ragione riesca infine a prevalere sui pregiudizi e sulle superstizioni.
Sulla linea del Parini si mossero altri intellettuali; ad uno di questi, Francesco Zacchiroli, dobbiamo un poemetto intitolato La inoculazione, pubblicato nel 1775, che, nella prefazione in prosa, contiene illuminanti osservazioni su coloro che erano contrari alla “pratica benefica”:
A sostegno della inoculazione intervennero anche gli studi compiuti intorno al 1760 da alcuni matematici, come il francese Charles Marie del La Condamine e lo svizzero Daniel Bernoulli, che dimostrarono con calcoli statistici quanto fosse molto più probabile morire in seguito al contagio che a causa della inoculazione.
Prima di andare
Adele. L’artista londinese ha imposto a Spotify di togliere dal suo ultimo album, “30”, l’opzione di default “shuffle” (riproduzione casuale). Un’opera, ha detto Adele, è pensata in un certo modo e deve essere ascoltata in quel modo. In effetti “30” è un’opera autobiografica in versi e musica di forte intensità la quale domanda un ascolto maturo. Il “Financial Times” dedica un editoriale a questa presa di posizione di Adele affermando che segna il primato dell’arte sulla tecnologia.
Criptovalute. Il noto calciatore spagnolo Andrés Iniesta Luján, 25 milioni di follower su Twitter, ha fatto un twitt che invita a investire in BitFinance (il più grande broker di Criptomonete). Peccato che ha dimenticato di dire di essere stato ben retribuito per questo post. Cialtrocalciatore.
Viaggi. Google Flights mostrerà, al momento della emissione di un biglietto aereo, il suo impatto ambientale in termini di emissione di CO2. L’intento è quello di scoraggiare voli non strettamente necessarie. Ecco il Google che ci piace! Ryanar dal canto suo continua a molestarci con le sue sconcertanti offerte. O’Leary avrà il suo processo di Norimberga.
Jack Dorsey. Dorsey lascerà la guida di Twitter dopo 15 anni. “Twitter is ready to move on from its founders”, ha detto. Verissimo, a un certo punto bisogna proprio andarsene soprattutto per se stessi. Dorsey si dedicherà allo yoga, al veganismo e al buddismo. E bravo Jack! Così dai un esempio migliore che a Twitter.