di Mario Matteini
[Primo episodio di cinque della serie “Le parole nella storia”]
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Buongiorno. Dopo il successo della breve storia della vaccinazione, che ha incontrato molto interesse e diventerà presto un libro, torna al giovedì il nostro Mario Matteini con un una nuova parola, il telegramma.
Una parola che non saprei dire se è pesante, leggera o semplicemente neutra. A me suscita il ricordo del ragazzo che amava i Beatles e i Rolling Stones ed evoca anche il favoloso musical degli anni Sessanta Hair. Forse perché associo la parola telegramma alla naja, dove ero, appunto, marconista.
Telegramma, comunque, è una parola attualissima, che ogni giorno tantissima gente ha sulla bocca. Si stima, infatti, che più di mezzo miliardo di persone siano attive su Telegram, l’applicazione di messaggistica istantanea ideata dai due geniali e nomadi fratelli di San Pietroburgo: Nikolai e Pavel Durov, il primo un matematico come solo i russi sanno essere, il secondo un poliglotta che ha fatto il liceo a Torino. I due giovani hanno sfidato Putin e adesso, con la loro applicazione, stanno sfidando Nazarbaev e i suoi tristi epigoni.
Come tutte le cose che ci circondano, il telegramma ha una storia lunga e onorata. Quando c’è stato qualcosa di decisivo negli eventi dell’ultimo secolo e mezzo, si può essere certi che c’era un telegramma ad annunciarli e, come ogni tecnologia che si rispetti, poteva arrecare pena o sollievo o essere fatale.
In tre parti, Mario Matteini, ve ne racconterà la storia.
Il telegramma è spirato ...
“A partire dal 27 gennaio 2006, Western Union interromperà tutti i servizi di telegramma e di messaggistica commerciale. Ci scusiamo per gli eventuali disagi causati”.
Così la Western Union comunica la cessazione di un’attività che aveva iniziato a svolgere nel 1851. Allora si chiamava New York and Mississippi Valley Printing Telegraph Company, nel 1856 si era fusa con una società concorrente, diventando Western Union Telegraph Company.
Dal 2006 si chiama Western Union Financial Services, a significare che si occuperà esclusivamente di servizi finanziari e in particolare di trasferimento di denaro.
Per molti anni la Western Union era stata la società dominante nel settore della telecomunicazione negli Stati Uniti. Aveva contribuito all’ammodernamento e al potenziamento dei servizi, con la realizzazione di infrastrutture, come la linea telegrafica fra la costa occidentale e quella orientale inaugurata nell’ottobre del 1861, e con l’innovazione tecnologica, come la rete di Telex (Telegraph Exchange) del 1958, per lo scambio di messaggi di testo in tutto il paese.
Qualche anno più tardi sarà la Francia a decretare la fine del telegramma. Ad annunciarlo è la società Orange, gestore del servizio, con un comunicato significativamente diffuso via Twitter, il 30 aprile 2018, dopo che un ultimo cliente aveva inviato un telegramma, guarda caso, di condoglianze.
… senza fanfare, dopo un lungo e onorato servizio
Nel corso dei primi due decenni del Duemila molti paesi hanno decretato la fine del telegramma. La sua scomparsa non è stata accompagnata da nessuna celebrazione particolare. Qualcuno si è commosso solamente in India, dove, a partire dal 1850, il servizio telegrafico aveva permesso le comunicazioni pubbliche e private, con una rete diffusa su tutto l’enorme paese con quarantacinquemila uffici e decine di migliaia di impiegati.
Nei giorni precedenti la cessazione del servizio, decisa nel 2013, molti hanno inviato telegrammi ad amici e parenti da conservare come ricordo. Qualcuno ha scritto anche al ministro delle telecomunicazioni per convincerlo a cambiare idea.
Le ragioni di questa scomparsa silenziosa possono essere diverse. Una è sicuramente il decadimento graduale, determinato dall’avvento progressivo di nuovi mezzi (telefono, fax, e-mail), tale che la sua uscita di scena è passata quasi inosservata.
C’è poi da considerare che la fine avviene in età assai avanzata, dopo un vita lunghissima — oltre 150 anni, un periodo enormemente lungo, se si pensa alla sopravvivenza dei prodotti tecnologici dei nostri giorni — e piena di soddisfazioni.
Tutto era cominciato il 24 maggio del 1844, quando Samuel Morse aveva inviato il primo messaggio telegrafico da Washington a Baltimora contenente una citazione biblica: “What hath God wrought” (Che cosa ha fatto Dio), che esprimeva meraviglia, stupore e ammirazione.
Uno stupore che fu subito generale, probabilmente superiore a quello che molti anni dopo sarà generato dall’avvento dei computer e di Internet: il nuovo servizio, potenziato nel tempo con ulteriori innovazioni quali la posa di cavi sottomarini e l’invenzione del telegrafo senza fili, rendeva possibile la trasmissione di messaggi in tempo reale anche a lunghissime distanze, quando i servizi postali impiegavano giorni, e spesso settimane, per recapitare la corrispondenza.
Breve e lunga eredità del telegramma
Agli inizi il testo del telegramma era comunicato al telegrafista, che lo traduceva in segnali elettrici (alfabeto Morse) e lo inviava alla stazione telegrafica di destinazione. Qui era tradotto di nuovo in testo e dattiloscritto su un biglietto da recapitare al destinatario. Quanti ricordi, di feste e di lutti, in quelle strisce di carta bianca incollate su un biglietto giallo paglierino!
Per rendere più rapide queste operazioni, il testo doveva essere più stringato possibile, anche perché il costo era calcolato in base al numero delle parole. Per questi motivi si usava spesso eliminare articoli, preposizioni, fondere parole. Non essendo disponibile la punteggiatura, per indicare la fine di una frase, si scriveva STOP, praticamente corrispondente a un punto. Tipico era anche l’uso di termini latini per evitare ambiguità: et, aut, est, al posto di e, o, è.
Il risultato era un linguaggio diverso da quello comune, che venne per l’appunto definito “telegrafico”. Oggi che il telegramma, dove esiste ancora, è in genere impiegato solo per condoglianze o felicitazioni per una nascita o altre occasioni speciali, l’eredità più concreta che ha lasciato è proprio quel linguaggio.
Gli eredi più accreditati sono generalmente considerati gli SMS, perché anch’essi, per rientrare nel limite dei 160 caratteri ma alla fine anche per moda, sono poco rispettosi della grammatica e impiegano sigle e termini appositamente inventati, da “TVB” con le sue numerose varianti, ai simpatici “xché”, “kekosa”, ecc.
In realtà si è trattato di un’eredità di breve durata, praticamente poco più di venti anni, dal 1992, data di nascita dei “messaggini”, al 2014, anno dell’arrivo di WhatsApp, un’applicazione di messaggistica istantanea che offriva molte più funzionalità.
Ma, se “linguaggio telegrafico” è ormai solo un’espressione per indicare un modo di esprimersi particolarmente conciso, l’eredità lasciata da molti telegrammi nella storia privata e pubblica è ancora decisamente viva.
Gli ultimi giorni di Abraham Lincoln in due telegrammi
I telegrammi rappresentano un’importante fonte di documentazione storiografica, perché, per tutta la seconda metà dell’Ottocento e per gran parte del Novecento, sono stati uno dei principali mezzi per le comunicazioni rapide, impiegati non solo da comuni cittadini ma da capi di stato, capi di governo, politici, militari e varie altre autorità e istituzioni pubbliche di tutto il mondo.
Un grande utilizzatore dei servizi telegrafici fu il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln, che era un vero appassionato di tecnologia.
Nel corso della guerra civile inviò numerosissimi telegrammi ai suoi generali, per controllare e dirigere le varie operazioni militari, utilizzando una fitta rete di linee telegrafiche, appositamente potenziata dopo lo scoppio del conflitto, notevolmente superiore a quella degli stati del Sud. Questa superiorità tecnologica contribuì ad aumentare la già notevole sproporzione di forze a vantaggio del Nord, che nell’aprile del 1865 risultò definitivamente vincitore.
E all’8 aprile del 1865 risale un ultimo importante telegramma inviato da Lincoln per annunciare la conquista di Richmond, capitale degli Stati Confederati, da parte del generale Grant, comandante in capo delle forze dell’Unione.
Una settimana dopo, il 15 aprile 1865, un drammatico e scarno telegramma annuncia: “Abraham Lincoln è morto questa mattina a 22 minuti dopo le sette”. Un fanatico sudista aveva assassinato il presidente con un colpo di rivoltella.
La morte di Lincoln va all’asta
Come spesso è accaduto nella storia, quando scompare un grande personaggio, scatta subito la raccolta dei cimeli. Era inevitabile che ciò accadesse anche per Lincoln, uno dei presidenti più amati degli Stati Uniti.
Gli oggetti di varia natura che ne ricordano la vita e le opere, raccolti da pubblici e privati, sono centinaia, e tra questi non potevano mancare i telegrammi. Si tratta spesso di veri e propri “pezzi” di storia, che talvolta diventano oggetti di mercato.
Tale è diventato proprio il telegramma con il quale venne annunciata la sua morte: a 164 anni esatti da quel tragico evento, il 15 aprile 2019, Nathan Raab, fondatore e presidente della Raab Collection, di Ardmore, Pennsylvania, lo ha messo in vendita all’asta con una base di partenza di 500.000 dollari.
Un particolare, un po’ macabro, “pezzo” di storia — in pratica una reliquia — è stato anch’esso messo all’asta, nel luglio del 2020, insieme a un altro telegramma. Si tratta di una delle ciocche di capelli destinate molto probabilmente alla vedova del presidente Lincoln.
A tagliarle era stato il dottor Lyman Beecher Todd, amico del presidente e cugino della moglie, che era presente all’esame post mortem del corpo di Lincoln. Una ciocca l’aveva tenuta per sé e l’aveva a lungo gelosamente conservata. A spiegarci l’evento è il figlio del dottor Todd con una didascalia allegata al telegramma:
Il telegramma qui sopra … è arrivato a Washington pochi minuti dopo che Abraham Lincoln era stato colpito. Il giorno dopo, all'autopsia, quando una ciocca di capelli, tagliata vicino alla tempia sinistra del presidente, fu data al dottor Todd — non trovando altra carta in tasca — avvolse la ciocca, macchiata di sangue o liquido cerebrale, in questo telegramma e ci ha scritto frettolosamente a matita: “Capelli di A. Lincoln”.
Lo storico cimelio era stato messo in vendita dalla casa d’aste RR di Boston, a partire da una base di 10.000 dollari. Se l’è aggiudicato un ignoto compratore per 81.250 dollari.
Probabilmente il telegramma più costoso della storia.
Prima di andare
Rocco Unchained. In una lunghissima intervista al “Financial Times” di oggi, il patron della Fiorentina, Rocco Commisso, senza giri di parole esprime tutta la sua amarezza verso la città di Firenze, la sua squadra e il calcio italiano che probabilmente lo considera uno “stupid American”. La irriconoscenza è, però, il meno, anche se ha un suo costo emotivo. Il problema sembra proprio il sistema. Commenta con queste testuali parole: “è tutta la merdosa burocrazia che mi sta mandando pazzo”. Ma non c’è solo la burocrazia a mandarlo al manicomio ci sono anche, aggiunge, “gli agenti dei giocatori che chiedono compensi multimilionari per il loro lavoro: Che cavolo fanno?".
Grazie per questo interessante e puntuale racconto. Nel 2017 con mio marito mi sono trovata a Alice Springs in Australia durante la settimana di commemorazione della nascita del primo telegrafo della città, ormai dismesso. Per l'occasione il telegrafo era stato momentaneamente rimesso in funzione, con due operatori ormai in pensione (poi rivisti in una trasmissione di Alberto Angela). Mi misero davanti l'alfabeto Morse e mi fecero provare a compitare il nome di mio marito. Io provai. Uno dei due disse:"ho sentito una k". Infatti, nel messaggio stampato che mi diedero, c'era scritto "franko" !