di Mario Matteini
[Terzo episodio di cinque della serie “Le parole nella storia”]
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Buon giorno e buon giovedì. Visto che si appossima la giornata lavorativa di quattro giorni, potremmo dire anche buon weekend. Ma ancora dobbiamo aspettare un po’. Nell’attesa si può leggere questo terzo episodio, dedicato all’Italia, della storia del telegramma del nostro Mario Matteini. Anche questa serie diventerà un libro.
Le decisioni individuali sono molto importanti nella storia, anche se spesso tendiamo a romanzarle ed enfatizzarle per narcisismo.
Certo, la decisione presa da Lenin di tornare in Russia, segna uno dei “passaggi cruciali” della storia del secolo scorso. Non a caso questi passaggi si definiscono cruciali, propriò perché la corsa della storia arriva a un bivio contrassegnato da una croce e lì c’è sempre qualcuno a dire dove andare.
Sono state queste decisioni individuali a imprimere una svolta agli eventi, che forse avrebbero potuto avere sviluppi diversi senza quelle decisioni.
Qui Matteini si limita a menzionarne alcune avvenute nella storia dell’Italia moderna. Certe ci potrebbero imbarazzare non poco. Ma non possiamo farci niente: la storia è metallo duro, la storia non ha nascondigli e non passa mai la mano.
L’ottimo Garibaldi e il pessimo Umberto I
Conservato presso l'Archivio di Stato di Torino è il telegramma inviato nel 1866 da Giuseppe Garibaldi al Generale La Marmora, con la famosa parola «Obbedisco». Atto di enorme responsabilità.
Non di reponsabilità o di ubbidienza ma di ben diverso comportamento ci parla il telegramma inviato il 6 giugno del 1898 dal re d’Italia Umberto I al generale Bava Beccaris, che nel maggio del 1898 aveva fatto sparare con i cannoni sulla folla che protestava per il rincaro del prezzo del pane. Il sovrano si dichiara “lieto e orgoglioso” di onorare “la virtù di disciplina, abnegazione e valore” dimostrata dalle truppe e comunica una sua decisione:
A Lei poi personalmente volli conferire di motu proprio la croce di Grand’Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia, per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della Patria.
A proposito di casa Savoia, possiamo leggere anche un altro telegramma di Vittorio Emanuele III. Quello inviato a Adolf Hitler per felicitarsi per lo scampato pericolo per l’attentato (del 20 luglio 1944).
La prego venga a Roma…
Sulle strade della storia italiana una svolta indubbiamente pesante fu quella impressa dal re Vittorio Emanuele III, davanti al bivio della marcia su Roma nell’ottobre del 1922. Prima rifiutandosi di firmare lo stato d’assedio proposto dal presidente del consiglio Luigi Facta e poi affidando a Mussolini l’incarico di formare il governo.
La fatale decisione del sovrano, sulla quale influirono gli orientamenti delle gerarchie militari e dei leader liberali, è cristallizzata in due telegrammi.
Il primo, del 28 ottobre 1922, è inviato a Mussolini dal generale Cittadini, aiutante di campo del re, e recita:
Sua maestà il Re mi incarica di pregarLa di recarsi a Roma desiderando conferire con Lei. Ossequi, generale Cittadini.
In alto un timbro: Roma-Quirinale ore 21. Sotto, scritto a matita: non ha risposto.
Mussolini non risponde perché è perplesso: potrebbe essere un tranello per farlo muovere da Milano, dove era “prudentemente” rimasto in attesa degli eventi, e arrestarlo. Sarà sicuro solo se il re deciderà di affidargli formalmente l’incarico. Il re cede e, il giorno successivo, ordina al generale di inviare un secondo telegramma:
Sua Maestà il Re La prega di recarsi subito a Roma desiderando offrirLe l’incarico di formare il nuovo Ministero. Ossequi.
La svolta è compiuta: quello che segue è storia nota.
È dello Stato italiano
Certamente poco nota è invece la storia del primo telegramma del 28 ottobre 1922, che però merita di essere conosciuta, perché ci permette di aprire una piccola finestra su un fenomeno particolare, quello del mercato di cimeli e documenti storici, in particolare di quelli fascisti e nazisti.
Fin dalla metà del Novecento un incredibile numero di collezionisti – privati, fondazioni e associazioni varie – hanno raccolto, per interesse storico ma alcuni anche per evidenti simpatie postume verso quei regimi, oggetti di tutti i tipi, alimentando un mercato assai florido, grazie anche allo scarso interesse di molti stati per quel tipo di beni e l’assenza di norme chiare e vincolanti.
Lo Stato italiano, in realtà, è più volte intervenuto per rivendicare la proprietà di certi documenti messi sul mercato, come è avvenuto per il telegramma di cui ci stiamo occupando. La sua ultima presenza accertata in Italia risale al 1942, quando era stato esposto alla mostra celebrativa del ventennale della “Rivoluzione fascista”.
Ricompare nel 1982, quando la casa d’aste Sotheby's lo vende per dieci milioni di lire. Nel 1990 torna nuovamente sul mercato; questa volta è la casa d’aste Phillips, che lo vorrebbe vendere ad oltre 20 milioni di lire. Ed è in questo momento che interviene lo Stato italiano, che ne rivendica la proprietà e riesce a bloccare la vendita.
Un confronto impari da chiudere subito
Se uno dei telegrammi che custodiscono la memoria dell’incarico di Vittorio Emanuele III a Mussolini ha rischiato di finire nella collezione di un qualche nostalgico miliardario, diversa è stata la sorte di altri telegrammi, che ci illuminano in maniera definitiva su una delle pagine più imbarazzanti della storia seguita a quell’incarico.
Siamo nell’ottobre del 1935, Mussolini ha mosso guerra all’Etiopia, l’ultimo paese africano rimasto indipendente, per soddisfare le sue ambizioni imperialistiche e allo stesso tempo per attenuare la tensione sociale originata dalla crisi economica e rinforzare il consenso verso il regime.
L’esercito etiopico, male armato e privo di adeguata organizzazione, non può resistere a lungo agli attacchi delle truppe italiane, numericamente assai superiori e dotate di arei e mezzi corazzati. Ma Mussolini ha fretta di concludere e decide di stroncare ogni resistenza etiope, facendo ricorso a tutti i mezzi, compresi gli aggressivi chimici, proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925, che anche l’Italia ha sottoscritto.
Grazie ad Angelo Del Boca
All’impiego di gas si aggiungeranno altre atrocità: deportazioni di massa, fucilazioni, impiccagioni, stragi di civili.
Si tratta di veri e propri crimini di guerra, che sono rimasti a lungo coperti dal silenzio delle autorità che pure ne erano a conoscenza. Un silenzio che ha contribuito al mito dell’italiano bravo colonizzatore.
Solo a partire dagli ultimi decenni del Novecento, grazie alle scrupolose indagini di studiosi attenti e rigorosi, primo fra tutti Angelo Del Boca, si sono scoperte le verità nascoste.
E, fra i documenti rinvenuti, determinanti sono alcuni telegrammi inviati da Mussolini ai generali Badoglio e Del Bono, con i quali il capo del fascismo autorizza l’impiego dei gas e ordina impiccagioni, fucilazioni di massa e deportazioni.
Sono ventisette e, oltre a confermare quanto emerso da altre fonti sulle atrocità commesse dalle truppe italiane, testimoniano con inoppugnabile chiarezza la diretta responsabilità di Mussolini.
Impiegare tutti i mezzi di guerra
L’autorizzazione all’impiego di gas è ripetuta in più occasioni in modo assolutamente perentorio. Il primo telegramma è del 27 ottobre 1935 ed è inviato al generale Graziani:
Sta bene per azione giorno 29 stop. Autorizzo impiego gas come ultima ratio per sopraffare resistenza nemico et in caso di contrattacco. Mussolini.
Ne seguono altri. In alcuni Mussolini si mostra più prudente, perché evidentemente è condizionato dalle reazioni internazionali:
Sospenda l'impiego dei gas sino alle riunioni ginevrine a meno che non sia reso necessario da supreme necessità offesa aut difesa.
Oppure cerca di motivare gli ordini come reazione all’uso da parte degli etiopi di pallottole esplosive “dum dum”, anch’esse vietate dalla Convenzione di Ginevra o come ritorsione in risposta alle violenze degli etiopi:
Dati sistemi nemico... autorizzo V. E. all’impiego anche su vasta scala di qualunque gas et dei lanciafiamme.
Ma la determinazione a stroncare ogni resistenza in tempi rapidi e con qualunque mezzo resta immutata:
Manovra est ben ideata et riuscirà sicuramente stop Autorizzo V. E. a impiegare tutti i mezzi di guerra – dico tutti – sia dall’alto come da terra stop. Massima decisione.
Per finirla con i ribelli come nel caso Ancober, impieghi i gas.
Autorizzo ancora una volta V. E. a iniziare et condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio contro i ribelli et le popolazioni complici stop Senza la legge del taglione ad decuplo non si sana la piaga del tempo utile. Attendo conferma.
Non è possibile sapere con esattezza la quantità di gas impiegati. Sappiamo però che nel deposito di Sodoricò in Eritrea lo stoccaggio di vari aggressivi chimici (iprite, fosgene, arsine, …) era iniziato fin dal luglio 1935 – a evidente riprova che il loro impiego era stato preventivato – e che la quantità totale immagazzinata era di 6170 quintali. Alla fine del conflitto ne rimaneva un terzo.
Prima di andare
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