❇ 9° episodio della serie “In 5 minuti le idee che hanno cambiato il mondo”.
Articoli pubblicati:
1. Adam Smith: la nascita dell’economia politica
2. Gustave Le Bon: psicologia sociale e psicologia individuale
3. Kurt Gödel: il cervello non funziona come un computer
4. Hilary Putman: il cervello nella tinozza
5. Karl Popper: le società aperte
6. Jean-Paul Sartre: la malafede
7. Peter Singer: l’alimentazione umana
8. Stefan Zweig: il crollo della “prima globalizzazione”
9. Jean-Baptiste Colbert: il ritorno del colbertismo

Buongiorno e buon fine settimana
Oggi mi avventuro in un territorio per me forestiero soprattutto per il gusto di segnalarvi un film immenso del quale, ahimè, oggi si parla pochissimo. Lo stesso succede per il suo autore.
Rossellini dimenticato
Parlo de La presa del potere da parte di Luigi XIV un film del 1966 di Roberto Rossellini. Al tempo fu pensato per la televisione ma è cinema al 110%, anzi cinema ai suoi massimi livelli espressivi.
Rossellini si prefigge, e lo fa in modo perfetto, di portare lo spettatore dentro uno dei passaggi fondamentali della storia europea. Quello, appunto, del didascalico titolo. Così com’è candidamente didascalico l’intero film: un vero e proprio manuale visuale di storia dove tutto è detto con semplicità e rigore.
Scene asciuttissime, dialoghi scultorei, verismo totale. Forse il pezzo di storia migliore visto al cinema.
Il film, purtroppo, è di difficile reperimento. Non è stato restaurato. Inspiegabilmente non è neppure sui servizi di streaming. Bisogna guardarlo in DVD se si vuol restare nel “lecito”. Si può prendere su Amazon, ma si potrebbe trovare in biblioteca. In quella del mio paese c’è.
Non riesco a capacitarmi come non possa essere su RaiPlay. Ci sarebbe davvero da ribellarsi a così tanta incuria da parte della televisione pubblica che l’ha pure co-prodotto.
Governo Meloni, veramente vogliamo lasciare Rossellini ai francesi e agli americani?
Entra in scena Colbert
Ed è proprio di Jean-Baptiste Colbert (1619-1683) e del suo mercantilismo che ci occupiamo oggi con il 9° episodio della serie “Le idee che hanno cambiato il mondo”.
Colbert non ha scritto alcun trattato di economia (non era ancora il tempo) ma ha lasciato un’eredità considerevole, se non pari ad Adam Smith, consegnata a un cospicuo numero di documenti amministrativi che danno conto del suo agire e sono raccolti nei quattro tomi, consultabili su Gallica: la Correspondance administrative sous Louis XIV a cura di Georges Bernard Depping.
Colbert, infatti, dal 1661 fino alla scomparsa nel 1683 è stato il ministro delle finanze di Luigi XIV, il re Sole. A Versailles, come sarebbe piaciuto a Platone, era un economista-statista a decidere delle politiche economiche. Grosso modo, nello stesso torno di tempo Colbert fu anche ministro della Marina e della Real Casa.
L’ambiziosa politica economica di Colbert ebbe un particolare successo nello sviluppare l’industria del lusso che tutt’oggi rimane uno dei punti di forza dell’economia francese.
La persona più ricca del mondo nel 2023, non a caso, è il francese Bernard Arnauld, il maggiore azionista del gruppo industriale del lusso LVMH. Il patrimonio personale di Arnauld ammonta a 215 miliardi di dollari, poco meno del doppio di quello di Bill Gates.
Minore successo arrise, invece, ad altri due capisaldi della politica del ministro di Luigi XIV. Non andò a buon fine il tentativo di unificare il mercato francese con la soppressione di tutte le dogane interne (solo la Rivoluzione vi riuscirà) e andò vano lo sforzo per aumentare le esportazioni riducendo al tempo stesso le importazioni.
Un ritorno?
Oggi il colbertismo si potrebbe rendere con l’espressione “nazionalismo economico” che sta iniziando a fare capolino un po’ dovunque dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, le successive crisi dei debiti sovrani, la guerra in Ucraina e infine il deteriorarsi dei rapporti dell’Occidente con la Cina.
Questi avvenimenti mondiali hanno dato un colpo da KO alla globalizzazione e ai suoi derivati che per trent’anni hanno dominato la scena mondiale.
Allora, che cosa verrà dopo la globalizzazione? Forse un neocolbertismo? E poi sarà subito sera.
Lasciamo spiegare meglio questo colbertismo di ritorno da Christakis Ceorgiou, docente di economia politica all’Università di Montpellier.
Buona lettura!
Il mercantilsimo
di Christakis Ceorgiou
In 30 secondi: Impedire agli stranieri di entrare e ai soldi di uscire, quinndi assicurarsi di vendere più di quanto si acquisti. Questo è il nazionalismo economico.
I punti cardine del colbertismo classico
La pressione diplomatica e militare sulle potenze minori per ottenerne concessioni sul piano economico.
Lo sforzo di ottenere una produzione uniforme delle manifatture in tutto il paese e la costante sorveglianza, esercitata da funzionari statali, per ottenere l’esatta osservanza delle disposizioni e dei regolamenti diretti a tal fine.
La gelosa sorveglianza diretta a impedire o ostacolare al massimo la fuga all’estero di tecnologia e di maestranze esperte nei procedimenti di fabbricazione nazionali.
Lo sforzo costante di attirare nel paese imprenditori o maestranze capaci di introdurvi le tecniche in uso nei paesi stranieri.
Il protezionismo che in taluni casi si spinge sino al divieto di importazione delle manifatture estere, al quale spesso si accompagnavano dazi o addirittura divieti per ciò che riguarda la esportazione dal paese di materie prime utilizzabili dall’industria nazionale.
L’appoggio alla protezione industriale, attuato talora nella forma di anticipi di capitale da parte del tesoro, talora con la concessione di monopoli a carattere locale e regionale.
L’espansione coloniale, la istituzione di compagnie per il commercio oltremare.
Gli oppositori
Per i sostenitori del liberalismo, il mercantilismo è un'aberrazione totale. I suoi oppositori più ferventi sono gli economisti classici e quelli della scuola austriaca. Accusano i paesi che praticano il nazionalismo economico di non comprendere i benefici del liberalismo e evidenziano l'impossibilità di vendere continuamente all'estero senza acquistare abbastanza in cambio. Gli “austriaci” vedono in questa dottrina una forma di imperialismo, il cui obiettivo è costruire un potere statale dominante. Ma oggi sono i neomercantilisti a criticare i paesi ricchi e potenti, piuttosto che il contrario.
In 3 minuti
Il senso del mercantilismo
Perché un'economia nazionale possa svilupparsi rapidamente e recuperare terreno rispetto ai paesi più avanzati, il governo deve intervenire pesantemente per proteggere l'industria e le imprese locali attraverso misure protezionistiche come tariffe doganali e incentivi all'esportazione.
Deve inoltre limitare quanto più possibile l'importazione di beni e servizi e la fuoriuscita dei capitali. In altre parole, deve vendere ai paesi stranieri più merci di quante questi ne possano vendergli. I capitali devono essere mantenuti per gli investimenti interni.
I secoli d’oro del mercantilismo
Il mercantilismo è stata la dottrina più diffusa dal XVII al XVIII secolo. Il suo più fervente sostenitore in quel periodo è stato lo statista francese Jean-Baptiste Colbert.
Il sistema è stato adottato nel XIX secolo dalle politiche economiche degli Stati Uniti e della Germania, e successivamente ha giocato un ruolo nello sviluppo del Giappone e di altri paesi asiatici come la Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong e in particolare la Cina dalla fine del XX secolo.
La sua variante moderna
Nel mondo di oggi, il mercantilismo è generalmente chiamato “nazionalismo economico” o “teoria della crescita orientata all'esportazione”. Molti critici e specialisti, come Ha-Joon Chang, economista sudcoreano, specializzato in economia dello sviluppo, lo utilizzano per criticare la globalizzazione.
Chang spiega che la globalizzazione, associata al liberalismo, ha “mozzato le ali” delle nazioni povere e in via di sviluppo eliminando l'intervento statale protezionistico del quale i paesi ricchi hanno invece beneficiato per creare le loro economie forti.
CITAZIONE RILEVANTE
Oggi, quasi tutti i paesi ricchi utilizzano la protezione doganale e le sovvenzioni per sviluppare le loro industrie. Curiosamente, gli Stati Uniti e il Regno Unito, due paesi ai vertici dell'economia mondiale grazie alla loro politica liberale, sono in realtà i più aggressivi in termini di protezionismo.
Ha-Joon Chang
Prima di andare
Il kamikaze Chris. Ci sarà da divertirsi molto con le prossime primarie del Partito Repubblicano per selezionare il candidato alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Si ritiene che ci saranno almeno 9 candidati a sfidare Trump. Quello che darà più “spettacolo” sarà certamente l’ex-governatore del New Jersey Chris Christie, un lottatore puro non solo nel fisico. Ha messo su un congegno con l’unico obiettivo di andare a schiantarlo a mo’ di kamikaze nel centro della corazzata dell’ex-amico Trump. E c’è da essere sicuri che lo farà, perché Christie, come annuncia il suo nome e pure il cognome, ha lo spirito di un belluino crociato.