❇ 6° episodio della serie “I numeri nella storia”.
Articoli pubblicati
1. Armonie&Numeri
2. Nati nello stivale
3. Le magnifiche 21
4. La carneficina che torna
5. E non rimase nessuno
6. La dolce discesa alla pensione
Buongiorno e buon fine settimana.
Continuando con la serie i numeri della storia, concludiamo con questo terzo episodio l’excursus demografico sugli italiani. Il post di oggi del nostro Michele Giocondi, dopo quello sulla natalità e la mortalità, affronta il discorso della composizione della popolazione per fasce d’età.
Esamina cioè l’ampiezza della popolazione in età giovanile, in età lavorativa e infine in età post-lavoro.
Le piramidi
Forse vi sarete imbattuti in quelle buffe forme dette piramidi delle età. In effetti sono dei grafici dalla conformazione piramidale, alle volte un po’panciuta che oggi appaiono sempre più come una piramide rovesciata.
Guardate che piramide perfetta è quella dell’Africa e com’è strana quella dell’Italia.
Lo studio delle fasce di età permette di apprezzare, quasi plasticamente, i mutamenti più significativi della popolazione italiana dalla nascita del Regno d’Italia ad oggi, nonché iniziare a farsi un’idea sulle prospettive per il futuro.
E c’è ragione di adombrarsi. Guardate questo grafico relativo all’evoluzione delle due fasce di età esterne, quella al di sotto dei 14 anni e quella al di sopra dei 65 anni. Oggi i loro trend sono invertiti rispetto a soltanto un secolo fa. Almeno i maltusiani saranno felici.
Buona lettura!
Le fasce di età
di Michele Giocondi
Le tre età
Per cogliere gli aspetti più significativi della popolazione italiana nel corso della sua storia dal 1861 ad oggi, senza farsi travolgere da una marea di numeri e di date, può essere utile suddividere la popolazione in tre fasce o aree.
Partiamo da quella composta dai giovani, da 0 a 14 anni, l’area giovanile, poi quella dai 15 ai 64 anni, l’area lavorativa, e infine quella dai 65 anni in poi, che potremmo definire l’area del non-lavoro.
Quest’ultima si potrebbe anche chiamare area della pensione, ma nel 1861, data di inizio del nostro rapido excursus, la pensione ancora non esisteva.
È noto infatti che il primo sistema previdenziale in Italia si ebbe solo nel 1895, sei anni dopo la Germania del Bismarck, primo paese in assoluto a introdurlo in Europa, sia pur solo per gli alti funzionari statali e militari. Pertanto riteniamo più appropriato definire la terza fascia come area del non-lavoro.
Una suddivisione un po’ “grossolana”
Tale suddivisione della popolazione in tre fasce può essere ovviamente contestata e si presta a innumerevoli eccezioni. Ad esempio nella prima fascia, quella giovanile, c’erano specialmente nel passato moltissimi giovani che già lavoravano a 14 anni, e forse erano addirittura la maggioranza.
Così come nell’ultima fascia, quella del non-lavoro, rientravano molti che continuavano ancora a lavorare. Ma per dare un’idea di massima delle linee di tendenza demografica prevalenti in Italia, tale classificazione, pur “grossolana”, può essere sufficiente.
Partiamo, come sempre, dai numeri
Nel primo anno di vita del Regno d’Italia, nel 1861, con una popolazione complessiva di 21.777.300 abitanti, senza dimenticare che tale numero si riferisce al Regno d’Italia nei confini di allora, e quindi senza il Lazio e il Triveneto, la prima fascia, quella giovanile, 0-14 anni, era composta da 7.445.800 abitanti.
La seconda fascia, quella lavorativa che andava dai 15 ai 64 anni, era la più corposa numericamente, ed era composta da 13.421.600 individui. La terza fascia, quella del non-lavoro, che andava dai 65 anni in poi, contava 910.900 abitanti.
Esiguità della terza fascia
Era quest’ultima una fascia numericamente molto esigua, quasi inesistente, non raggiungeva il milione di individui; ed era più piccola di oltre 13 volte di quella dell’età lavorativa. Era la dimostrazione evidente di quanto fosse breve allora la vita e quanto pochi fossero coloro che riuscivano a percorrerne un buon tratto.
Ampiezza della fascia giovanile
Dall’altro lato emergeva la grande quantità di giovani, da 0 a 14 anni. Era una fascia estremamente ampia, nonostante una mortalità infantile altissima, che nei primi decenni del Regno raggiungeva e superava i 200.000 morti l’anno, di età sotto i 12 mesi.
E poi colpiva ancora duramente, tanto che quattro bambini su dieci non raggiungevano i cinque anni di vita. Una vera apocalisse giovanile!
Nonostante ciò, allora in Italia nasceva un numero altissimo di bambini, circa 1.100.000 l’anno, quasi il triplo di quelli di oggi, pur con una popolazione di poco più di un terzo di quella attuale: 21 milioni allora, quasi 60 milioni oggi.
Censimento del 1871
Nel censimento successivo, quello del 1871, si vede per la prima volta l’ingresso nel Regno d’Italia del Lazio e del Triveneto.
Il quadro cambia però solo in virtù dei numeri, che sono ovviamente maggiori per l’entrata di altre regioni, ma in rapporto alla popolazione, le cifre sono più o meno le stesse di 10 anni prima.
Su una popolazione complessiva di 26.801.100 abitanti, la prima fascia ne conta 8.702.600, la seconda 16.730.100, la terza 1.368.400.
La tendenza di fondo
La tendenza demografica di fondo che emerge da questi dati è quella di una grande massa di giovani, che sarebbe via via andata a confluire nell’area lavorativa, per poi estinguersi rapidamente nella terza e ultima fascia.
Stesso discorso anche nel censimento del 1881. Con una popolazione complessiva di 28.459.600 abitanti, gli appartenenti alla prima fascia sono diventati 9.158.500, quelli della seconda sono 17.840.000, quelli della terza 1.457.100.
E più o meno lo stesso avviene anche venti anni dopo, nel 1901, allorché su una popolazione totale di 32.475.200 abitanti, la prima fascia ne conta 11.156.700, la seconda 19.364.700, la terza 1.970.100.
Quest’ultima fascia, quella degli anziani, è cresciuta in proporzione più delle altre due: inizia lentamente a manifestarsi quella tendenza che col tempo si consoliderà e si rafforzerà fino a diventare ai nostri tempi quella più significativa.
Situazione statica
Il quadro demografico che emerge nei primi decenni del Regno, si conferma grosso modo anche in seguito.
Nel 1911, con una popolazione complessiva di 34.671.400 abitanti, gli appartenenti alle tre fasce sono rispettivamente 11.733.200 alla prima, 20.573.400 alla seconda e 2.244.300 alla terza.
Dieci anni dopo, nel 1921, con una popolazione complessiva di 37.974.000 abitanti, le tre fasce continuano la loro crescita: la prima tocca gli 11.789.300, la seconda i 23.436.800, la terza i 2.547.400.
La prima fascia però, quella giovanile, è cresciuta pochissimo, solo 50.000 unità in più rispetto a dieci anni prima, nonostante numericamente resti sempre assai corposa.
È però un arresto momentaneo, perché presto riprenderà la sua corsa.
Il boom della fascia giovanile
La crescita della fascia giovanile riprende già nel 1931, allorché la popolazione totale del paese è di 41.176.700. La prima fascia ne conta 12.242.400, 450.000 più di dieci anni prima, la seconda 25.916.600, la terza 3.005.200. Per il resto niente di particolarmente eclatante.
La ripresa della fascia giovanile appare ancora più evidente nell’insolito censimento del 1936, fatto a metà decennio, cosa mai avvenuta, nel quale la popolazione giovanile cresce di quasi un milione di unità in soli 5 anni.
Adesso i giovani sono ben 13.164.500, una crescita mai registrata in precedenza, dovuta in larga parte anche alla propaganda e alle misure in materia demografica messe in atto dal regime fascista.
L’Italia repubblicana
Nel 1941 non venne effettuato il normale censimento per via della guerra, per cui si entra nell’età repubblicana. Il primo censimento si ebbe nel 1951.
La popolazione complessiva ha raggiunto i 47.515.500 abitanti, mentre le tre fasce contengono rispettivamente 12.421.800, 31.298.600 e 3.895.000 abitanti.
La prima fascia sembra aver smesso di crescere come nel passato, solo 179.400 giovani in più di 20 anni prima, ma ben 742.700 in meno del censimento intermedio del 1936. Non è una decrescita sostanziosa, come assistiamo purtroppo ai nostri giorni, ma si fa notare. Tuttavia fra poco il trend di crescita giovanile ripartirà alla grande.
Il record di nascite
Nel corso degli anni Sessanta, la natalità riparte in grande stile, fino a toccare nel 1964 il record nella storia della Repubblica.
Le nascite in quell’anno superano il milione, all’incirca come avveniva un secolo prima, quando la popolazione complessiva era però meno della metà.
Nel 1971, comunque, la situazione è questa: popolazione totale 54.136.500, prima fascia 13.227.700, seconda fascia 34.807.100, terza fascia 6.101.300.
È il numero massimo di popolazione nella prima fascia, da questo momento inizierà a calare costantemente e rapidamente fino al deserto demografico di oggi.
La svolta degli anni Settanta
È da questo decennio, quello degli anni Settanta, evidenziato dal censimento del 1981, che le nascite iniziano a calare sempre più, in parallelo al continuo e progressivo aumento della terza fascia.
Con una popolazione totale di 56.557.000 abitanti, la prima fascia ne conta 12.127.000, con un saldo negativo di 1.100.000 giovani rispetto a dieci anni prima, la seconda 36.945.000 e la terza 7.485.000.
La situazione odierna
La nuova tendenza demografica del paese è oramai questa, e non cambierà più: calano massicciamente i giovani e crescono sempre di più i vecchi.
Nel 2011, con una popolazione che ha superato i 60 milioni di abitanti, per l’esattezza 60.626.400, i componenti della prima fascia sono solo 8.513.100, quelli della seconda 39.811.500, quelli della terza 12.301.400.
In 30 anni, dal 1981 al 2011, il numero dei giovani è calato di 2.700.000 unità, mentre gli anziani, sono aumentati nello stesso periodo di quasi 5 milioni, passando da 7.485.000 a 12.301.000.
La straordinaria riduzione della componente giovanile, che torna ad essere inferiore a quella del 1871, quando la popolazione totale dell’Italia era meno della metà di quella di oggi, unita all’altrettanto incredibile aumento di quella anziana, determinano uno scenario inusitato.
Una situazione demografica drammatica
La situazione peggiora ulteriormente dieci anni dopo, nel 2021, allorché con una popolazione complessiva di 59.236.200, anch’essa in calo per la prima volta nella storia d’Italia, la prima fascia comprende solo 7.636.500 unità, simile di numero a quella del 1861, ma con una popolazione complessiva, come abbiamo visto, di soli 21.777.300 abitanti.
In calo anche la seconda fascia, con 37.657.700 abitanti. Continua invece a crescere la terza fascia, che sale ancora e si avvicina ai 14 milioni, per l’esattezza 13.941.300.
La situazione demografica si conferma nella sua drammaticità anche nell’anno successivo, il 2022, allorché le nascite sono state inferiori alle 400.000.
Appare in tal modo ancora più evidente e urgente la necessità di forti interventi correttivi, anche in materia di immigrazioni, ai quali la classe politica è chiamata quanto prima.
La situazione pensionistica di oggi
Tale stato di cose pone varie questioni sulla vita del paese, fra cui quelle legate al nostro welfare, in particolare per la sanità e la previdenza, oltre che per le politiche assistenziali nel loro insieme.
Ed è sufficiente, a tale proposito, osservare solo la situazione pensionistica, che è, o dovrebbe essere, al centro del dibattito politico. Forse non come in Francia, che proprio in queste settimane la sta affrontando con misure che hanno determinato delle proteste come non si vedevano da decenni, ma senz’altro con grande attenzione.
I dati di fondo in estrema sintesi
Un dato di fondo ne mostra la drammaticità: nel 2022 sono stati erogati 1.350.000 nuovi assegni (770.000 nuove pensioni e 580.000 trattamenti assistenziali vari) di fronte a meno di 400.000 nascite.
In un futuro non molto lontano, con questi ritmi demografici, ogni nato avrà sulle spalle un numero di pensionati difficilmente sostenibile.
Al momento il numero dei pensionati è di oltre 17 milioni, che percepiscono però circa 22 milioni di trattamenti, calcolando anche le pensioni di reversibilità, di invalidità e trattamenti vari di assistenza.
Una spesa previdenziale complessiva di circa 315 miliardi di euro l’anno, il 17,5% del prodotto interno lordo, è un qualcosa da far tremare le vene e i polsi non solo alle future generazioni, ma anche a quella attuale, considerando che non è dato sapere per quanto tempo ancora, senza ulteriori misure, tale carico sarà sostenibile.
Prima di andare
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