di Mario Matteini
[Quarto episodio della serie “La password nella storia”]
Post pubblicati:
1. La lingua che discrimina
2. La parola d’ordine da Ificrate a Lamarmora
3. Le societá segrete dell’ottocento
4. L’inutile strage della Grande guerra
5. Parole di liberazione
6. Le spie della guerra fredda | 6.1 La temeraria Martha | 6.2 Polyakov, la talpa gigante al Cremlino | 6.3 Lost in translation
7. Come ai tempi della Guerra fredda
8. Dalla realtà alla finzione
9. Usare bene la password
Buongiorno e buon fine settimana. Altopiano di Asiago, Carso, Dolomiti sono i luoghi dove ci conduce oggi il nostro Mario Matteini. È la linea fronte italo-austriaco della Grande guerra, teatro dell’inutile strage come la definirà Papa Benedetto XV.
“Questa, la più grande di tutte le guerre, non è solo un’altra guerra: è l’ultima guerra” così scriveva HG Wells, inarrivabile scrittore di fantascienza, in un articolo del 1914, The War That Will End War. Slogan che divenne la tranquillante motivazione dei pacifisti in armi. Combattevano per mettere fine alla guerra. In realtà Wells aveva traslato l’approccio alla letteratura fantascientifica alle scienze sociali.
Anche se è la Grande guerra è storia, fa ancora male.
Buona lettura.
Al Sasso Misterioso
La val Travenanzes, che si allunga per circa 10 km fra le Tofane, il Lagazuoi grande e il gruppo del Fanes, è una delle più belle valli delle Dolomiti ed è meta di meravigliose escursioni. Nel corso della Grande guerra fu teatro di scontro sanguinosi fra italiani e austriaci.
Operazioni ai limiti dell’impossibile, spesso per contendersi pochi metri di territorio o piccole postazioni considerate strategiche. Al buio, fra le rocce e la neve, a far la differenza fra la vita e la morte erano anche piccoli eventi, quali un sasso fatto rotolare, un passo sbagliato su una cengia e talvolta anche una parola d’ordine scorretta o dimenticata.
Fu proprio uno di questi eventi a causare la morte per fuoco amico del tenente Michele Fortini.
È la notte fra il 29 e il 30 luglio del 1916, due diverse formazioni di alpini hanno l’ordine di attaccare il “Sasso Misterioso”, una postazione austriaca su una grande roccia affiorante da un ghiaione, che i soldati hanno chiamato così, perché tutte le pattuglie che hanno provato ad assalirla sono scomparse misteriosamente.
Fuoco amico
Gli ordini però non sono molto chiari e, soprattutto, manca un coordinamento fra le due formazioni, che non hanno modo di comunicare fra loro.
Così ci racconta i tragici fatti uno dei protagonisti:
Noi scendemmo alla Forcella Bos per pigliare il nemico di sorpresa alle spalle, perché di fronte venivano avanti quelli del Belluno e dovevamo incontrarci sulla forcella. La nostra parola d'ordine era: "Nizza-Savoia". Quando fummo vicino al Sasso cominciammo a vedere nella notte delle ombre che si muovevano, ma non sparammo per paura che fossero i nostri del Belluno. Al nostro “chi-va-là” risposero: “Trento, Trento, Tommaso” e noi allora cominciammo a sparare a qualunque ombra si potesse vedere. Fu così che io, spostandomi, sparai quasi a bruciapelo e nello stesso tempo anche l'ombra che avevamo di fronte sparò e colpì il tenente Fortini alla testa, io allora la colpii al petto. Dopo qualche tempo sentimmo delle parole in italiano, così capimmo che ci sparavamo tra noi. Fu allora, dato che cominciava a far giorno, che vedemmo il nostro tenente morto ed il sergente maggiore De Biasio del Belluno pure morto poco lontano.
Alt! Non sparate: sono l’Italia
Il rischio di essere colpito dal fuoco amico nei primi giorni di guerra fu corso anche da un ufficiale sull'altopiano di Asiago, uno dei principali teatri della prima guerra mondiale sul fronte italo-austriaco. Qui, nel maggio del 1915, le truppe italiane mossero all'attacco del forte di Vezzena.
La pronta reazione degli austriaci provocò morti e scompiglio fra gli italiani, tanto che venne ordinata la sospensione dell'operazione. Nel rimescolamento dei reparti e nella confusione generale, accaddero anche “casi allegri”, ci racconta un superstite.
Un grosso ufficiale sente il rumore caratteristico degli otturatori dei fucili che si armano: allora, supponendo di essere scambiato per un austriaco, si avanzava carponi, urlando: “Alt: non sparate: sono l’Italia”. E, in fretta, aggiunge la parola d’ordine, la controparola, poi il suo nome … Avrebbe anche dato l’anima, purchè gli lasciassero la pelle.
Nel corso delle successive settimane i soldati italiani furono mandati al massacro in ripetuti assalti suicidi, come quello del 24-25 agosto, quando sul campo restarono più di mille morti.
Duecento di questi furono recuperati dagli austriaci e sepolti nel vicino cimitero di Costalta. I caduti italiani vennero caricati su muli e trasportati di notte al cimitero, sotto i colpi dell’artiglieria italiana. Un atto di umanità nell'orrore della guerra. Come quello che vediamo nel film Uomini contro, tratto dal romanzo di Emilio Lussu.
Devo farcela!
A un giovane volontario fu proprio l’ignoranza della parola d’ordine ad allontanarlo, almeno temporaneamente dalla guerra. Nel 1915, non ancora diciassettenne, era fortemente intenzionato ad arruolarsi come volontario.
Nonostante la giovane età e le preghiere della madre, decise di scappare di casa e raggiunse l’altopiano di Asiago. Agli sbarramenti venne fermato dalle sentinelle e, non conoscendo la parola d’ordine, fu consegnato ai carabinieri, che, accertata l’età, lo riportarono a casa.
Passati pochi giorni, ci riprovò. Questa volta si diresse verso il fronte del Carso, ma anche questa volta non ci fu niente da fare.
Raggiunta l’età legale, venne finalmente arruolato.
Parola d’ordine: li rimortacci tua
Il film di Mario Monicelli La grande guerra (1959, su Vimeo) riesce a fondere in modo originale e stupefacente le due principali correnti del cinema italiano del secondo Novecento: il neorealismo e la commedia all’italiana. Alberto Sordi e Vittorio Gassman interpretano due apparentemente pusillanimi soldati italiani, il primo è il romano Oreste Jacovacci e il secondo il milanese Giovanni Busacca.
Dopo Caporetto sono impiegati come portaordini tra i vari reparti che stazionano sul fronte del Piave. Chiaramente gli italiani non hanno le procedure o la disciplina e l’addestramento dei prussiani o degli austriaci. C’è un po’ improvvisazione come si vede nella scena della improbabile parola d’ordine.
Busacca tra le frasche: Forse ci siamo.
Si sente uno sparo
Soldato di guardia: Chi va là?
Jacovacci: Ma che fai aoh, prima spari e poi dici chi va là?
Soldato di guardia: È sempre mejo 'n amico morto che 'n nemico vivo! Chi sete?
Jacovacci: Semo l'anima de li mortacci tua!
Soldato di guardia: E allora passate!
Busacca: Su, andiamo.
(Da MYmovies)
Prima di andare
Oscena Ryanair. Il vettore irlandese, campione di maleducazione e ignoranza, ha deciso di chiedere a tutte le persone di cittadinanza sudafricana, dirette nel Regno Unito, di superare un test di lingua Afrikaans. La direzione si è giustificata dicendo che circolano troppi passaporti sudafricani problematici. Si dà il caso che solo il 13% della popolazione sudafricana parli ancora la lingua dell’Apartheid. L’idioma oggi più diffuso In Sudafrica è lo Zulu parlato dal 23% della popolazione e poi c’è l’inglese. Lo stato africano riconosce più di 12 lingue ufficiali. Ma quando le persone smetteranno di volare con questi Barbossa di Ryanair.
La Perla Nera. A proposito di barche e bucanieri. Il panfilo da 500 milioni di dollari di Jeff Bezos, la Perla Nera, ha tre alberi maestri di 70 metri. Sembra che il cantiere di Rotterdam che ne sta terminando la costruzione non abbia considerato che tra il bacino del cantiere e il mare aperto si frappone lo storico ponte “De Hef” (69 metri) che è considerato un monumento cittadino. Adesso tutta la città di Rotterdam, orgogliosamente operaia – come scrive il “Financial Times” – si sta interrogando se devono buttarlo giù per far passare la barca dell’uomo più ricco del mondo. Si stanno arrabbiando con lui, ma lui che c’entra? Certo come scrive il giornale di Londra e come sembra anche orientato il costruttore non si capisce perché Bezos non accetti l’opzione di montare gli alberi dopo aver fatto passare lo scafo sotto il ponte. Non così difficile da intuire.
Gillo Pontecorvo. Dal 23 al 26 giugno la Cinémathèque française, nella futuristica sede al Parc de Bercy a Parigi, proporrà una retrospettiva di Gillo Pontecorvo, il riservato e ammirato cineasta italiano. Queste le proiezioni in ordine di programmazione:
Queimada ,1968, 132 min, con Marlon Brando, Renato Salvatori, su RaiPlay
Kapò, 1960, 118 min, con Susan Strasberg e Laurent Terzief, su Rai.it
La battaglia di Algeri, 1965, 181 min, con Brahim Hadjadj, Jean Martin, Yacef Saadi, su Chili a noleggio
Ogro, 1979, 115 min, con Gian Maria Volontè, Feodor Atkine, Angela Molina, Nicole Garcia, su RaiPlay
La grande strada azzurra, 1957, 103 min, con Yves Montand, Alida Valli, Francisco Rabal, su YouTube
Giovanna, 1958, 36 minuti, con Armida Gianassi, Carla Pozzi, segmento del film La rosa dei venti, solo a Parigi.
Ci saranno anche conferenze e incontri. Qui il programma completo. Meno male che c’è la Francia.