di Mario Matteini
[Quarto episodio di cinque della serie “Le parole nella storia”]
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Buongiorno e buon fine settimana. Il quarto episodio della storia del telegramma arriva all’inevitabile capitolo sulla guerra che sarà tra noi “finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”.
Nuovi venti di guerra spirano in Estremo oriente e addirittura nella stessa Europa che non appare ancora sazia di cimiteri sotto la luna. La pagina di Wikipedia sui conflitti sul suolo europeo ne elenca, dall’alba della civiltà a oggi, oltre 800. A quanti vogliamo arrivare?
Purtroppo ancora una volta verifichiamo l’impossibilità del pacifismo, anche nelle sue forme più politiche, lucide e consapevoli. Non è una cosa affatto nuova: basterebbe vedere come si è infranta contro il muro dei nazionalismi, della ragion di stato, dei revanscismi e delle politiche di potenza lo schema visionario degli assetti internazionali dei pensatori del circolo di Bloomsbury tra le due guerre (Leonard e Virginia Woolf, Lytton Strachey, Norman Angell, Bertrand Russell, lo stesso Keynes) e anche il pacifismo attivo di alcuni partiti europei, come il Partito laburista, convinti che la Grande guerra doveva essere la guerra che metteva fine a tutte le guerre sul suolo europeo.
Basterebbe anche ripercorrere la storia, il profilo e le idee dei premi Nobel per la pace e del pacifista sommo, Leone Tolstoj (guarda caso proprio russo!), per rendersi conto della impossibilità storica e politica del pacifismo stante lo schema dominante delle nazioni sovrane “si vis pacem, para bellum”.
Ma questo sarebbe un discorso lungo e anche poco edificante e siccome siamo in tempi poco edificanti lo lasciamo cadere per consegnaci alla lettura, si spera, di questo capitolo sulla storia del telegramma in tempo di guerra.
Buona lettura e spero che nessuna avo della famiglia delle persone che leggono questo post abbia mai ricevuto uno dei telegrammi di cui parla il nostro Mario Matteini.
Un intervento militare deciso e uno nemmeno pensato
Legato a un’altra “svolta” nella storia è il famoso “Telegramma Zimmermann”. Inviato il 16 gennaio 1917 dal Ministro degli Esteri tedesco Arthur Zimmermann all’ambasciatore tedesco in Messico. In esso si comunicava l’intenzione tedesca di cominciare una guerra sottomarina a oltranza e si ipotizzava un’alleanza con il Messico, al quale si prometteva un generoso contributo finanziario e l’appoggio per la riconquista dei territori perduti del Texas, del Nuovo Messico e dell’Arizona.
Intercettato e decifrato dagli inglesi, il telegramma contribuì a convincere gli Stati Uniti dell’opportunità di entrare in guerra.
Di un evento cui sarebbe potuto (e dovuto) seguire un altro intervento militare ci parla il telegramma inviato nell'agosto del 1942 da Gerhart Riegner, rappresentante del Congresso ebraico mondiale a Ginevra. Inviato al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e al Ministero degli esteri britannico, il telegramma contiene informazioni circostanziate sul piano nazista di deportare e uccidere milioni di ebrei. Nessuna azione concreta venne decisa.
Gli ultimi telegrammi al e dal bunker
Di notevole rilevanza storica è il telegramma inviato il 23 aprile 1945 a Adolf Hitler, rifugiato dal 16 gennaio nel bunker sotto la cancelleria, da Hermann Goering, il quale comunica che, se non avesse ricevuto risposta da Hitler entro le 22, avrebbe dedotto che il Führer non aveva più libertà di azione ed avrebbe assunto lui il comando, come previsto da un decreto segreto firmato da Hitler il 29 giugno 1941.
Il Führer, secondo quanto afferma Albert Speer, uno dei suoi più fidati collaboratori, non la prese bene: gridò al tradimento e al colpo di stato. Alla reazione rabbiosa seguì l’aggravamento del crollo fisico e psicologico. Qualche giorno dopo si uccise insieme a Eva Braun [Momento ben rappresentato nel film La caduta - Gli ultimi giorni di Hitler con Bruno Ganz — su RaiPlay].
Il telegramma fu trovato nel rifugio di Hitler da un ufficiale americano, che lo portò negli Stati Uniti, dove rimase chiuso in una cassetta di sicurezza del South Carolina. Nel 2015 è stato venduto all’asta a New York per 55 mila dollari.
A proposito delle condizioni fisiche e psicologiche di Hitler nei suoi ultimi giorni di vita, interessanti sono altri documenti rinvenuti nel bunker da due ufficiali francesi nel novembre del 1945. Sono stati pubblicati recentemente e tra questi ci sono alcuni telegrammi inviati da Hitler, per organizzare piani di difesa improbabili con truppe ormai annientate.
L’inizio della guerra fredda
Alla fase storica successiva alla fine della seconda guerra mondiale ci porta il cosiddetto “lungo telegramma”. Si tratta di un corposo messaggio (ottomila parole) inviato nel febbraio del 1946 da George Kennan, incaricato d’affari USA presso l'ambasciata americana a Mosca, al Dipartimento di Stato del suo paese. Alle informazioni relative alla situazione politica dell’Unione Sovietica e ai suoi piani di politica estera seguono indicazioni sulle reazioni da adottare.
Secondo molti storici, tali indicazioni rappresentano la base della cosiddetta strategia di “contenimento”, che sarà successivamente adottata per tutelare gli interessi americani di fronte all’espansionismo sovietico. Di nuovo dunque un telegramma che segna una svolta nella storia delle relazioni internazionali, che porterà al periodo della cosiddetta “guerra fredda”.
… e la fine
Dopo oltre quaranta anni dal lungo telegramma di Kennan, altri telegrammi ci portano in un clima assai diverso. È il 9 novembre del 1989 e il crollo del muro di Berlino segna plasticamente la fine di uno dei prodotti più lugubri della guerra fredda.
“Arrivo il giorno … con il treno da … Puoi venirmi a prendere”: questo si legge in molti dei numerosi telegrammi che i cittadini della DDR inviano ai parenti nella Repubblica Federale. Dopo tanti anni di separazione forzata, finalmente si possono incontrare, e la gioia si somma alla commozione.
Nell’euforia generale, le autorità tedesche e straniere sembrano incredule e quasi disorientate. Alle 7.40 del 10 novembre, Così scrive Nigel Broomfield, ambasciatore britannico a Berlino Est, in un telegramma indirizzato al ministro degli Esteri Douglas Hurd:
Le guardie di frontiera della DDR sono state costrette a cedere e migliaia di persone hanno guidato, camminato e corso oltre il confine, alcuni ancora in camicia da notte, quasi senza credere ai loro occhi, per riunirsi con amici o parenti, ma soprattutto per vedere com'era l'Occidente.
Poche ore dopo un altro telegramma arriva allo stesso ministro. Il mittente è il generale Robert Corbett, ultimo comandante del settore britannico di Berlino. Nella sua dettagliata relazione si legge:
Un flusso costante di auto Trabant della Germania dell'Est transitava verso ovest della città. Sono stati accolti calorosamente dai cittadini di Berlino Ovest, molti dei quali si sono riversati verso Est attraverso il confine del settore, senza alcuna reazione da parte delle guardie di frontiera della DDR. In effetti le guardie qui erano raggianti, godendosi visibilmente il loro nuovo ruolo di guidare felici i berlinesi dell'est in entrambe le direzioni attraverso il punto di attraversamento. Molti dei berlinesi dell'est agitavano foglie di palma dai finestrini delle auto.
Gli anatemi di un uomo di pace
E, per concludere questa carrellata, mi piace ricordare due telegrammi sicuramente meno noti, ma a me personalmente molto cari, perché mi inducono a una piacevole nostalgia per i tempi in cui si combatteva, armati di sole parole, contro i mulini a vento, riuscendo in verità anche ad abbatterne qualcuno. Fra i Buoni Maestri di quei tempi c’era un uomo straordinario, promotore di memorabili iniziative per la pace e la fraternità fra i popoli.
Quell’uomo è Giorgio La Pira e i telegrammi di cui parlo sono quelli inviati al generale cileno Pinochet, nei giorni immediatamente successivi al golpe che abbatté il governo di Salvador Allende.
Il primo, inviato il 14 settembre 1973, tre giorno dopo il golpe, è di una sintesi fulminante: “Ricordi divina ammonitrice Parola. Qui Gladio ferit gladio perit. La Pira”.
Meno minaccioso ma evidentemente mirato a suscitare timore per la punizione divina è quello inviato dodici giorni dopo: “Mediti giudizio di Dio leggendo San Matteo Venticinque. La Pira”.
Insieme a questo secondo telegramma è conservata una minuta con un testo cancellato decisamente più duro: “Cessi terribili operazioni. Ricordi la fine di Hitler”.
I telegrammi cifrati e censurati dei tempi di guerra
Pezzi di storia particolari sono i telegrammi direttamente legati agli eventi bellici che hanno contrassegnato la storia del Novecento.
Curiosi e interessanti, ad esempio, sono quelli cifrati inviati dagli informatori italiani nel corso della prima guerra mondiale. Presenti nei vari paesi stranieri, essi utilizzavano un linguaggio appositamente codificato per fornire notizie su ordini di mobilitazione (“Paolo giunto. Sta bene quanto dici” oppure “Frère partira demain pour Berlin”, per informare che la Francia stava per richiamare i riservisti) o movimenti di truppe (papà era la fanteria, mamà la cavalleria, fratello l’artiglieria, figli l’aviazione, sorella la corazzata, figlia il sottomarino).
Il governo, oltre a dettare le regole per i telegrammi cifrati, interveniva anche per censurare quelli inviati dai soldati al fronte, come faceva anche per lettere, cartoline, pacchi e vaglia, al fine di evitare la diffusione di notizie che potessero risultare utili per il nemico, impedire che si sapesse quali erano le reali condizioni di vita dei soldati al fronte e arginare il disfattismo.
La posta estera, quella interna e quella militare erano sottoposte a diverse modalità di censura. I telegrammi, sia militari che civili, generalmente erano controllati sia alla partenza che all’arrivo. L’avvenuto controllo era testimoniato da timbri con varie diciture: “verificato per censura”, “vistato”, “si dia corso” ...
“ Si compie il doloroso dovere …”
Una pratica seguita nel corso di tutte le guerre del Novecento era quella di informare tramite telegramma le famiglie dei soldati deceduti. Durante la prima guerra mondiale, in molti paesi europei, la notizia era inviata ai sindaci del comune di appartenenza del soldato deceduto. Le formule impiegate dai vari paesi sono praticamente le stesse in tutte i conflitti, dalla prima guerra mondiale, alla seconda, a quella del Vietnam.
“Si compie il doloroso dovere di partecipare alla S. V. che il giorno …” (Italia, 1917)
“Le president du Conseil d’Administration du 38° Regiment d’Artillerie à l’honneur d’informer le Maire de la commune de …” (Francia 1914)
“Deeply regret to inform you ...” (USA 1918)
Negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, la notizia della morte di un soldato era comunicata alla famiglia con un telegramma della Western Union, che iniziava quasi sempre con le stesse parole:
“The segretary of war desires me to express his deep regret that your …” (USA 1945)
Durante la guerra nel Vietnam, lo stesso compito era affidato a un tassista. Si trattava di procedimenti decisamente poco rispettosi sia dei soldati che delle loro famiglie. I tassisti erano molto contrariati e le famiglie dei militari impegnati in Vietnam erano terrorizzate alla sola vista di un taxi giallo vicino a casa.
Il governo finalmente comprese che un compito così delicato doveva essere svolto in modo più adeguato e provvide alla istituzione e alla formazione di un raggruppamento speciale di addetti (Casualty Notification Officers) alla notifica di tali notizie.
Prima di andare
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