Francesco Giacomantonio: La condizione post-ideologica
Dalla società post-ideologica alla società post-ideali?
📖 Libro: Francesco Giacomantono, La condizione post-ideologica. Società politica, cultura, goWare, Firenze, 2022, pp. 119
Di Francesco Giacomantonio
❇ Riflessione finale con Francesco Giacomantono curatore della serie “21 secolo”
Recensione pubblicate:
1. Zygmunt Bauman, La società liquida
2. Slavoj Žižek: Questioni del 21° secolo
3. Anthony Giddens: La democrazia sociale
4. Richard Sennett: La flessibilità del lavoro e i suoi coni d’ombra
5. Theodor Adorno & Co: La critica delle società complesse
6. Michel Foucault: Il laboratorio della modernità
7. Habermas e Derrida: La filosofia del terrore
— Prima parte: Jürgen Habermas
— Seconda parte: Jacques Derrida
8. Bobbio & co.: Politica, mettiamo un po’ d’ordine
9. Franco Cassano, Modernizzare stanca
10. Danilo Zolo: Guida critica alla globalizzazione
Francesco Giacomantonio: La condizione post-ideologica
Buongiorno e buon fine settimana.
Concludiamo questa serie con un breve scambio di idee con il nostro Francesco Giacomantono, curatore di “21 secolo”, all’indomani dell’uscita del suo ultimo libro disponibile su tutte le piattaforma online e in libreria.
Dal prossimo giovedì pensiamo di intrattenervi con il primo episodio della serie “Coincidenze” curata da Riccardo Ciuti.
Ci dicono che viviamo in un mondo post-ideologico. Tu che studi da molti anni questo fenomeno, è veramente così?
Indubbiamente da tempo si ha la percezione, anche piuttosto diffusa, che non esistano più ideologie come quelle che avevano caratterizzato il Novecento e, tutto sommato, si assume il superamento delle prospettive ideologiche come un progresso, soprattutto ricordando le degenerazioni che le ideologie avevano portato nel secolo scorso.
Allora siamo veramente in un meraviglioso mondo post-ideologico?
Credo che la situazione sia da valutare in modo più articolato. La condizione post-ideologica che caratterizza il 21° secolo è un aspetto della società contemporanea che a mio avviso resta, infatti, problematica non meno dell’epoca caratterizzata da dissidi ideologici.
In che senso problematica?
Problematica perché la scomparsa delle ideologie ha avuto anche delle implicazioni non sempre favorevoli dal punto di vista politico, sociale e culturale: tutti questi ambiti infatti scontano attualmente, secondo varie modalità e contesti, un forte decadimento valoriale e una difficoltà di fondo nel proporre prospettive edificanti, prevalendo invece modelli di riferimento puramente tecnici o estetici fini a se stessi.
È questa condizione che cerca di evidenziare il tuo ultimo libro?
Nel libro, sulla base delle riflessioni provenienti dai principali dibattiti politico-culturali contemporanei, mi impegno a evidenziare come nella condizione post-ideologica siano in gioco nessi importanti con temi di fondo molto discussi nelle scienze sociali, come la modernità e il senso dei processi storici, o le strutture legate alla globalizzazione e la particolare formazione della personalità degli individui al loro interno.
Ci sono degli studiosi che, come te, stanno riflettendo sulle implicazioni e le conseguenze dello svanire delle ideologie?
Mi sembra che le correnti e gli autori che più incisivamente abbiano colto i nodi problematici di una fase storica post-ideologica siano in generale quelli riconducibili agli indirizzi più critici e dialettici della sociologia e della filosofia; da questo punto di vista se poi dovessi indicare un paio di nomi di rifermento particolarmente recepiti, penserei in prima istanza senza dubbio a Slavoj Žižek e Zygmunt Bauman.
E quali sono le loro conclusioni?
Žižek rimarca continuamente la percezione di una dimensione post-ideologica determinata dall’affermazione di un modello politico-culturale neoliberale basato sull’individualismo di mercato e su tecnologie sempre più invadenti. Bauman, già nei primi anni 2000, aveva colto il riflesso di scadimento della solidarietà sociale e di un certo standard politico-culturale, che discendeva appunto in misura cospicua dalla scomparsa di orizzonti ideali che comunque le ideologie garantivano.
Quali sono gli indirizzi attuali della ricerca sociologica sul tema che stiamo discutendo?
Osservando il panorama delle scienze sociali nel 21° secolo a mio parere si può cogliere come il versante critico dialettico sia meno esteso probabilmente rispetto alla fase soprattutto di anni Sessanta e Settanta del Novecento, essendo invece oggi molto influenti prospettive analitiche, funzionaliste o quantitative.
C’è ancora un approccio critico?
Certamente, ho ricordato sopra Bauman e Žižek, e comunque sono sempre presenti i riflessi di ambiti della Scuola di Francoforte o del post-strutturalismo francese. Detto questo non sempre nella cultura attuale i possibili rischi legati alla condizione post-ideologica sono colti.
Che cosa, secondo te, è restato, dell’analisi dei francofortesi?
Gli insegnamenti dei francofortesi sono stati di una ampiezza e una profondità notevoli e in generale la lettura dei loro testi, al netto di apologie ingenue, a mio avviso costituisce uno strumento ancora utile per chi vuole comprendere la società contemporanea.
Quale teorie della famosa scuola hanno ancora un valore conoscitivo cogente?
Nel mio studio tengo particolarmente presenti le loro teorie; penso in particolare, riguardo alle questioni della condizione post-ideologica, che le analisi dei francofortesi sugli eccessi della razionalità strumentale e sull’appiattirsi della società rispetto a un modello unidimensionale dominato dalle logiche dell’utilità e del profitto, continuino a intercettare questioni sociali e politiche di fondo (e, direi anche, di coscienza) soprattutto in rapporto al canone neoliberale oggi influente.
… e i post strutturalisti francesi?
Credo che rispetto alle questioni della condizione post-ideologica, le teorie post-strutturaliste che abbiano avuto maggior influenza siano quelle di Foucault; in particolare le sue ricerche sulla biopolitica e sulla critica al modello neoliberale mi sembrano molto dibattute a livello sia accademico che, più ampiamente, politico-culturale.
Che cosa ci attende nella condizione post-ideologica?
Credo che il problema fondamentale che la condizione post-ideologica ponga nel lungo periodo non sia tanto il fatto in sé che le ideologie possano essere dissolte o che sia subentrato un generale disincanto, ma che ciò abbia comportato sempre più estesamente che si sia perso ogni possibile riferimento ideale a vantaggio dell’affermazione di uno stile puramente tecnico e volto banalmente ad appagare apparenze.
Ci sarà allora anche una morte degli ideali?
In un contesto globalizzato sempre più dominato dal ruolo dei social media, come quello degli anni che viviamo e di quelli che ci aspettano, direi che si configura una dimensione politica, sociale e culturale che si muove senza alcun riferimento ideale e che porta a mio avviso non solo un cinismo generalizzato, ma anche un affievolimento della effettiva coscienza umana, sia in termici etici che anche, direi, epistemologici.
Speriamo che non sia così.
Proprio tale affievolimento della coscienza è il nodo che ritengo più preoccupante, poiché nasconde insidie che possono diventare pericolose come lo furono le esasperazioni dei canoni ideologici che si erano verificate nel Novecento.
Prima di andare
Due grandi mostre. La prima è al Louvre. Il museo parigino ha messo insieme opere provenienti da 70 istituzioni per una mostra epocale interamente dedicata alla rappresentazione di nature morte nella storia dal titolo Les choses — une histoire de la nature morte dépuis la Préistoire, fino al 23 gennaio 2023. “Questa è una mostra che capita una sola volta nella vita”, scrive Jackie Wullschläger sul “Financial Times”. Da non mancare per chi visita Parigi nel periodo delle festività. La capitale francese ha veramente un’offerta culturale sovrabbondante per chi vi capita in quel periodo (vedi anche sotto).
La seconda mostra, fino a 4 marzo 2023, è al Museum of Modern Art (MoMA) di New York ed è dedicata a una delle figure più interessanti e visionarie del surrealismo, l’artista svizzera di origine tedesca Méret Oppenheim. Si tratta di una retrospettiva che raccoglie 200 opere della Oppenheim messe insieme dalla collaborazione di tre diverse istituzioni, il MoMA, appunto, il Kunstmuseum Bern e la Menil Collection di Houston che ha sede in un edifico progettato dal nostro Renzo Piano.
Se avete qualche minuti scorrete questo profilo dell’artista sul sito del Museo di Berna.
Toujours Parigi. Sempre a Parigi, nella futuristica sede al Parc de Bercy, la Cinematheque française, forse la più operosa istituzione cinematografica del mondo, organizza dal 30 novembre al 19 dicembre 2022 una retrospettiva di 24 film interpretati da Marylin Monroe, “Icône Éternelle”.
Se vi fosse sfuggito, cercate Blonde su Netflix. Film anche crudele e discutibile sulla vita dell’“eterna icona”, impossibile da guardare in una sola volta tanto è brutale e duro. Però grandissima fotografia, grandissima interpretazione, grande adattamento dal romanzo di Joyce Carol Oates a cui non è dispiaciuto il lavoro del team di Andrew Dominik, il regista. Unico interrogativo, come fa un uomo a trattare così in profondità la vita intima di una donna? Preparatevi alla visione facendo tabula rasa nella vostra mente di qualsiasi stereotipo su Marylin. La rassegna della Cinematheque vi aiuterà a plasmare un nuovo e più veristico cliché. A ciascuno il suo (anche un bel film di Elio Petri del 1967 tratto dall’omonimo un romanzo di Sciascia, au Prime Video)
Super il video di presentazione della retrospettiva.