📖 Recensione del libro: Giovanna Borradori, Filosofia del terrore. Dialoghi con Habermas e Derrida, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. XIV+220.
di Francesco Giacomantonio
❇ Prima parte del settimo episodio di dieci della serie “21° secolo”
Recensione pubblicate:
1. Zygmunt Bauman, La società liquida
2. Slavoj Žižek: Questioni del 21° secolo
3. Anthony Giddens: La democrazia sociale
4. Richard Sennett: La flessibilità del lavoro e i suoi coni d’ombra
5. Theodor Adorno & Co: La critica delle società complesse
6. Michel Foucault: Il laboratorio della modernità
7. Habermas e Derrida: La filosofia del terrore
— Prima parte: Jürgen Habermas
— Seconda parte: Jacques Derrida
8. Bobbio & co.: Politica, mettiamo un po’ d’ordine
9. Franco Cassano, Modernizzare stanca
10. Danilo Zolo: Guida critica alla globalizzazione
Francesco Giacomantonio: La condizione post-ideologica
Buongiorno e buon fine settimana. Oggi argomento complesso: le radici, le ragioni e il senso del terrorismo nell’analisi di due dei più originali pensatori del nostro tempo.
Derrida manca da quasi un ventennio, ma Habermas è un brillante novantatreenne che sta lavorando a una monumentale storia della filosofia della quale è uscito il primo volume, che presentiamo in chiusura di questo post.
Si tratta di filosofi espressione alta delle due grandi scuole del pensiero europeo: quella tedesca e quella francese; a patto, però, di escludere quella anglosassone visto che il Regno degli angli sembra, ahimè!, volersi ormai collocare al di fuori dello spazio europeo. Altrimenti saremmo a tre.
Visto che oggi il nostro Giacomantonio ci propone due filosofi emblematici del nostro tempo mi piace spendere qualche parola su come la vita privata entra, in un modo piuttosto originale, nel pensiero di Derrida e Habermas… Ma anche di altre persone della filosofia.
Vita e pensiero
Da liceale, pudicamente innamorato della filosofia, ho sempre pensato che un sistema di pensiero dovesse essere soprattutto vivificatore, nutrimento esistenziale da seguire con coerenza. In una “persona filosofica” avrei voluto trovare una osmosi tra pensiero e vita.
Questa osmosi la vedevo appieno, addirittura capovolta, nel mondo del pensiero orientale che appena appena occhieggiava da un qualche angolino del manuale di filosofia. Sovente, questa connessione mi sfuggiva nel cosmo della filosofia occidentale.
Non sempre però le persone occidentali della filosofia conducono una vita notarile incastonata nella placida routine accademica o istituzionale. Qualche significativa eccezione c’è.
Vite non proprio ordinarie
Per la filosofia esistono poche opere, analoghe ad esempio alle Vite del Vasari. Oddio, qualcosa c’è: per i filosofi greci esistono i sette libri de Le Vite e dottrine dei filosofi illustri di Diogene Laerzio. Carlo Sini ha scritto un libro di grande leggibilità intitolato Le Vite dei filosofi (Jaca Book). Emanuele Severino nella seconda edizione del suo La filosofia dai greci al nostro tempo aggiunge delle brevi biografie che non sono assolutamente da saltare.
C’era Marx che era diventato, restando filosofo, un pessimo politico specializzato in scissioni, radiazioni e prevaricazioni, tratti che poi hanno segnato anche tragicamente l’azione dei suoi followers che in ogni caso lui avrebbe in obbrobrio.
A Königsberg (oggi Kaliningrad, zona calda nello scacchiere geopolitico) il guardiano della torre dell’orologio, al mattino, aggiustava le lancette al passaggio di Kant. Lui era sistematico in tutto, ma anche un po’ poeta. Grande esempio di passeggiatina mattutina.
Spinoza si spense a 45 anni di una malattia professionale. Si teneva occupato in un sottoscala a molare lenti e questo lavoro di precisione e anche debilitante potrebbe averlo indotto a pensare che la Bibbia non era altro da un semplice libro con delle avvincenti storie (anche molto violente come ci ricorda Alex che ne traeva ispirazione per i raid dei Drughi in Arancia meccanica, su Prime Video).
Schopenauer metteva al di sopra di tutti i sentimenti l’amore per gli animali. Il suo barboncino si chiamava “Alman” (Anima del mondo in sanscrito) e quando si comportava male lo apostrofava con il termine “Mensch”. Gli altri tre cani si chiamavano Fichte, Schelling ed Hegel in segno di dispregio per i padri dell’idealismo tedesco.
La gatta di Derrida
La gatta di Derrida ha avuto un’importanza decisiva nel modellare il suo pensiero.
Il filosofo francese racconta che continuava a percepire un senso di pudore, e anche di disagio, nel mostrarsi nudo sotto la doccia alla gatta, che, seduta sulle zampette posteriori, l’osservava sorniona e interrogativa. Lo sguardo della gatta gli ha iniziato a dischiudere un mondo.
Ne sono venute molte riflessioni raccolte in un bellissimo libro postumo L’Animal que donc je suis (L’animale che dunque sono, Rusconi) dove quel “donc” sancisce l’unione definitiva uomo-animale, umano-non umano antitesi dell’umano-troppo umano. Anche Nietzsche amava gli animali e pativa le brutalità sui cavalli.
C’è una bella foto di Sophie Bassouls che ritrae Derrida seduto in giardino su una poltroncina di vimini, assorto e un po’ malinconico, con la gatta seduta sulle gambe con lo sguardo rivolto dall’altra parte.
Il 93enne Jürgen
Pure Habermas ha la sua brava storia. Nacque con una malformazione del palato che ne affliggeva la dizione e fu operato più volte da bambino. Questo handicap gli fece nascere un interesse per la comunicazione, l’inclusività e l’integrazione nelle società avanzate.
La sua personale disabilità gli ha insomma fornito materiale decisivo e di prima mano per costruire la sua teoria discorsiva. Chi sa dove sarebbe andato a parare senza quella fastidiosa malformazione?
Adesso però vi lascio alla prima parte della recensione del nostro Giacomantonio sul libro che accoglie le conversazioni di Giovanna Borradori con Habermas e Derrida all’indomani degli attentati terroristici dell’11 settembre.
Riflessioni tra le più interessanti che si possano leggere su questo avvenimento-svolta del mondo contemporaneo. Vi morirono quasi 3mila persone, non si conosce il numero degli animali a parte un cane di nome Sirius.
Buona lettura!
Giovanna Borradori insegna all’università d’élite Vassar College (Stato di New York) e si occupa nei suoi studi di filosofia sociale e politica, e di estetica.
Jurgen Habermas è uno dei più prestigiosi filosofi e sociologi del Novecento nel solco della Teoria critica francofortese.
Un confronto di grande livello
In questo volume Jürgen Habermas e Jacques Derrida intrecciano un dialogo con Giovanna Borradori sul tema del terrorismo e dell’eredità dell’Illuminismo dopo l’11 settembre 2001 (attacco di al-Qaida alle Twin Towers di New York) e forniscono una serie di interessanti osservazioni.
A ciascun dialogo segue un capitolo in cui viene discussa la posizione teorica di ciascun filosofo. La possibilità di un confronto tra le letture di Habermas e Derrida appare particolarmente stimolante, perché consente di valutare il problema degli ultimi eventi legati al terrorismo contemporaneo, attraverso le teorie di due intellettuali in cui il linguaggio e la comunicazione giocano un ruolo centrale, sebbene in modi assai differenti l’uno dall’altro.
Rigoroso, puntualmente argomentativo Habermas; simbolico, magari tortuoso, ma sempre affascinante, Derrida. Nel discorso di Habermas le parole-concetti si snodano criticamente e fenomenologicamente rispetto alla realtà che vogliono interpretare; in quello di Derrida ogni parola-concetto è come una fonte da cui sgorgano significati etimologici tramite cui poi si scorge l’ambivalenza di ciò che si credeva indiscutibilmente categorizzato.
Intellettuali e partecipazione politica
In sede introduttiva Borradori evidenzia come Habermas e Derrida concordino su un’interpretazione della responsabilità filosofica come critica sociale, ossia come risposta ai dilemmi del XX secolo.
In tal senso, entrambi possono essere ricondotti al modello di partecipazione pubblica del filosofo rappresentato da Hannah Arendt: ciò implica che l’impegno politico non è un semplice supplemento all’impegno filosofico e/o una scelta personale.
Sia Habermas che Derrida, in questi dialoghi, si pongono in continuità fondamentale rispetto all’Illuminismo. Per Habermas la cui adesione all’Illuminismo è nota, la situazione attuale è definibile come il progetto incompiuto della modernità e tale progetto richiede l’assenso a principi la cui validità è universale, poiché non dipende da alcun contesto storico e culturale.
Jürgen Habermas
Terrorismo come patologia comunicativa
Borradori fa ruotare il suo dialogo con Habermas intorno a domande fondamentali sull’idea di terrorismo.
Difetto di comunicazione? Come si verifica? Chi ne è responsabile?
Habermas ritiene che la minaccia del terrorismo globale abbia accelerato la necessità del passaggio su scala mondiale dal diritto internazionale classico a un nuovo ordine cosmopolita.
Al centro dell’interpretazione del terrorismo da parte di Habermas si pone quindi la questione del nazionalismo. Borradori ricostruisce, nel capitolo di commento, in modo rapido e accurato i punti salienti della filosofia politica di Jürgen Habermas, ne illustra l’enfasi che egli pone sulla sfera pubblica, sull’azione comunicativa, sul rilancio dell’universalismo e delle categorie della modernità rispetto al problema della democrazia contemporanea.
Dal dialogo con Habermas emerge l’idea che «il terrorismo sia una patologia comunicativa che si nutre del suo stesso nucleo distruttivo» (p. 71).
Fondamentalismo e modernità
La globalizzazione in quest’ottica può essere interpretata come una patologia comunicativa.
Borradori discute l’interpretazione della modernità in Habermas, cruciale per comprendere la sua visione del fondamentalismo religioso e del terrorismo globale. L’autrice sviluppa questa interpretazione attraverso l’analisi che Habermas (come Derrida) sviluppa di un altro filosofo, Benjamin.
Primariamente si nota che per Habermas
«ogni religione comporta un fondamento dogmatico di fede, e questa è la ragione per cui ogni religione ha bisogno di un’autorità che abbia il diritto di separare le interpretazioni ortodosse, o valide, del dogma da quelle non ortodosse o non valide» (p. 79).
La modernità confina la religione all’interno della dimensione spirituale della vita, allontanandola dal controllo politico della sfera pubblica, ma pretende che accetti a livello conoscitivo la sua posizione in una società pluralistica. Ne deriva la necessità della tolleranza come condizione del rigoroso universalismo preteso dalle moderne società pluraliste.
Rischi del postmoderno
Ora, mentre Derrida rifiuta il concetto di tolleranza a causa del suo carattere paternalistico, per Habermas invece la tolleranza è giustificabile a patto che venga praticata nel contesto di una società democratica.
Il fondamentalismo quindi appare, al filosofo tedesco, come una reazione violenta al progetto della modernità. L’intenso coinvolgimento di Habermas nel tema della modernità deriva, peraltro, dal suo timore che l’orientamento postmoderno favorisca l’irresponsabilità politica: egli accusa pensatori come lo stesso Derrida di non dare il giusto peso al messaggio politico della modernità.
Habermas vede Benjamin come diretto antecedente di Derrida, «a causa del senso messianico che attribuisce al periodo moderno» (p. 86).
Il messianismo del periodo moderno
Benjamin ritiene essenziali due condizioni per un rapporto produttivo con il presente: da una parte che esso sia orientato verso un futuro imprevedibile, dall’altra che esso sia selettivo rispetto al valore del passato basato sulle sue aspettative inesaudite. Benjamin insomma
«pensa al passato come a un insieme di aspettative inappagate per il quale il soggetto moderno si dovrebbe ancora sentire responsabile perché è solo in base a questa invocazione proveniente dal passato che il futuro può essere affrontato come totalmente nuovo» (pp. 88-89).
È proprio questa l’idea che, secondo Borradori, Habermas ritiene pericolosa, poiché costruisce il futuro come risposta all’invocazione quasi messianica del passato.
(da Francesco Giacomantonio, Letture su società e politica nell’età della globalizzazione. 90 recensioni per comprendere il mondo attuale, edito da goWare, Firenze, 2019)
A proposito di Habermas
A proposito di Habermas, si segnala che è appena uscito per l’editore Feltrinelli la traduzione della prima parte del suo nuovo libro col titolo Una storia della filosofia. Volume 1: Genealogia del pensiero postmetafisico. Dal pensiero mitico all'età assiale.
L’edizione italiana è curata da un gruppo di quattro quattro studiosi Massimo De Pascale, Giorgio Fazio, Luca Corchia e Walter Privitera e si tratta di un’opera di grande ampiezza teorica e destinata secondo i critici ad avere una importanza notevole, in cui l’allievo di Adorno alla veneranda età di 93 anni, si cimenta in una in una rilettura globale di tutta la storia della filosofia.
Habermas ha fatto del dialogo continuo e assiduo con le più disparate correnti del pensiero filosofico, sociologico e politico, uno dei tratti più tipici del suo stile di studioso e qui si impegna a esplorare tutte le contingenze del pensiero, sempre con l’attenzione di fondo a cogliere il dispiegarsi della ragione e conscio della responsabilità attuale che una storia della filosofia può avere rispetto alla conoscenza scientifica del mondo.