Bobbio & co.: Politica, mettiamo un po’ d’ordine
Ci vuole proprio un dizionario di 1000 pagine per farlo!
📖 Recensione del libro: Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, Il Dizionario di Politica, Utet, Torino, 2016, pp. X+1042.
di Francesco Giacomantonio
❇ Ottavo episodio di dieci della serie “21° secolo”
Recensione pubblicate:
1. Zygmunt Bauman, La società liquida
2. Slavoj Žižek: Questioni del 21° secolo
3. Anthony Giddens: La democrazia sociale
4. Richard Sennett: La flessibilità del lavoro e i suoi coni d’ombra
5. Theodor Adorno & Co: La critica delle società complesse
6. Michel Foucault: Il laboratorio della modernità
7. Habermas e Derrida: La filosofia del terrore
— Prima parte: Jürgen Habermas
— Seconda parte: Jacques Derrida
8. Bobbio & co.: Politica, mettiamo un po’ d’ordine
9. Franco Cassano, Modernizzare stanca
10. Danilo Zolo: Guida critica alla globalizzazione
Francesco Giacomantonio: La condizione post-ideologica
Buongiorno e buon fine settimana.
A questo punto giunti ci vuole proprio un dizionario, senza farsi intimorire dalla mole. Mica si deve leggere tutto! La voce democrazia sì, però.
Nel disordine
Nella politica mondiale soffia una bella bora e senza una qualche maniglia a cui tenersi si rischia di essere sballottati, come sta in effetti succedendo.
Per fortuna c’è la robusta mano tesa da un dizionario di parole e concetti. Mica un dizionario qualsiasi, quello che oggi ci propone il nostro Francesco Giacomantonio.
C’è uno dei filosofi italiani della politica e dei diritto più considerati anche all’estero, Norberto Bobbio, un costituzionalista di vaglia e fondatore de “Il Mulino”, Nicola Matteucci, e c’è Gianfranco Pasquino, allievo dello stesso Bobbio e dell’altro illustre politologo italiano che è stato un luminare della Columbia University, Giovanni Sartori. Pasquino, che lo ascoltiamo spesso nei talk-show, ha aggiunto un bel po’ di voci alla terza edizione del 2016, così da completarlo con i neologismi degli ultimi dieci anni.
L’autunno della liberaldemocrazia
Siamo naturalmente nell’ambito del pensiero liberaldemocratico ai massimi livelli. Questa dottrina, però, somiglia a un capo fuori stagione. L’ideale liberaldemocratico è entrato nella stagione dei saldi, anche se ancora non si vede quale altra narrativa possa sostituire la “fenice liberale”, per usare la felice definizione coniata dallo storico israeliano Yuval Noah Harari. Scrive Harari nel suo ultimo libro, 21 lezioni per il 21° secolo (Bompiani, 2018, vedi in calce):
«La fenice liberale è risorta più volte dalle proprie ceneri incandescenti. Non è la prima volta che la narrazione liberale affronta un incendio di vaste proporzioni… Nel corso dell’ultimo secolo è successo che la narrazione liberale è uscita vittoriosa su quella dei fascismi e ad assorbire e a neutralizzare le istanze di giustizia sociale e di eguaglianza del comunismo e ha saputo portarle, con la straordinaria invenzione dello Stato sociale, all’interno delle istituzioni e delle politiche delle democrazie occidentali. Un’impresa incredibile per una dottrina politica le cui origini risalgono al 17° secolo.
Oggi, però, sembra arrivato un nuovo autunno per la liberaldemocrazia. Questo declino, come è successo già in passato, rischia di minare anche il suo più importante spin-off, la democrazia.»
E aggiunge:
«Il liberalismo non ha risposte ovvie ai problemi più gravi che dobbiamo affrontare: il collasso ecologico e il cambio di paradigma tecnologico. Nella sua tradizione, il liberalismo fa affidamento sulla crescita economica per risolvere magicamente difficoltà sociali e conflitti politici.»
La crescita e il PIL, che sono il mantra economico, possono come d’incanto scacciare tutti i mali che affliggono le socieà del 21° secolo? In Giappone, vedi sotto, si inizia a dubitarne fortemente.
Nuova linfa
Indubbiamente la narrazione liberaldemocratica è in cerca di nuova linfa, di altre idee così da dare solidità economica, emotiva, finanziaria, interiore, morale, psicologica, insomma strutturale, alla democrazia liberale di fronte a quella illiberale che avanza col passo dell’oca..
Ma ci vogliono i fondamenti per farlo. E Il Dizionario della Politica li offre in modo corretto, analitico e rigoroso. Forse non dovrebbe mancare nelle case degli elettori. Peccato che non esista la versione digitale, per divertirsi un po’ con le statistiche semantiche. La UTET è invitata seriamente a pensarci.
Norberto Bobbio (1909-2004) è ritenuto il massimo filosofo della politica e del diritto del secondo Novecento in Italia.
Nicola Matteucci (1926-2006) è stato un rinomato studioso di filosofia politica, teorico del costituzionalismo liberale.
Gianfranco Pasquino è professore emerito di Scienza politica all’università di Bologna; ha insegnato anche negli USA e ha fornito molti contributi soprattutto negli studi su cultura politica, modernizzazione e teoria politica.
Una disciplina problematica
Tra i fenomeni umano-sociali, la politica è probabilmente quello più pervasivo, influente e complesso; ne è testimonianza il fatto che, attorno a essa, si sono, nel corso della storia, costituiti differenti campi disciplinari, tutti peraltro nient’affatto marginali, per studiarla: storia politica, economia politica, sociologia politica, filosofia politica, scienza politica, diritto pubblico.
In conseguenza di tale situazione, le letture e le interpretazioni dei fenomeni politici tendono a essere numerose e non necessariamente omogenee e, quindi, la definizione del politico, delle sue categorie e dei suoi significati risulta spesso, al di là delle facili apparenze, qualcosa di intrinsecamente problematico.
Già queste semplici considerazioni spingono a comprendere quanto sia importante il linguaggio che scegliamo di utilizzare riguardo alla dimensione politica e quanto possa essere utile impadronirsi di un dizionario concettuale corretto per comprendere i fenomeni politici, senza essere travolti dai luoghi comuni e dalle semplificazioni ideologiche.
Un obiettivo di tal sorta sembra essere, piuttosto proficuamente, perseguito da Il Dizionario di Politica curato da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino.
Convergenza degli strumenti delle scienze politiche
Pubblicato in una prima edizione nel 1976 e in una seconda edizione nel 1983 e tradotto in spagnolo e portoghese, è ora ripresentato, in quest’edizione, con trattazioni rinnovate e bibliografie aggiornate, nonché con l’aggiunta, inevitabile, della voce globalizzazione, curata da Marco Cesa.
L’impianto di fondo del testo, come avvertono gli autori già in sede introduttiva, resta costituito sulla convergenza di diversi strumenti analitici tratti dalla scienza politica, dal diritto costituzionale, dalla filosofia politica, dalla storia delle dottrine politiche.
Proprio l’analiticità e il rigore del testo rispecchiano pienamente lo stile di ricerca che i tre curatori hanno ampiamente mostrato nel corso della loro cospicua e rilevante produzione scientifica: la trattazione delle voci del dizionario riesce, così, simultaneamente a chiarire, offrire risposte, ma anche a far sorgere dubbi e a mostrare la problematicità di alcune questioni.
Conoscenza al di là di facili certezze
In questa capacità si manifesta soprattutto l’insegnamento del grande maestro Norberto Bobbio: l’intellettuale è colui che cerca il dubbio, più che diffondere facili certezze, nella convinzione che è vantaggioso per tutti studiare la politica nel mondo come prerequisito al tentativo di cambiarlo.
Nella scia di tale spirito di conoscenza, le circa trecento voci presentate, che spaziano dalle dimensioni istituzionali (Stato, governo, diritto, costituzione, nazione, ecc.) a quelle teorico-filosofiche (liberalismo, marxismo, conservatorismo, ecc.) a quelle fenomeniche (ideologia, capitalismo, potere, cultura politica, ecc.), coprono con versatilità l’analisi della politica.
Domare le parole della politica
Traspare, dunque, dal lavoro di Bobbio, Matteucci e Pasquino, il tentativo di domare le parole più “movimentate” della vita umana, le parole appunto della politica.
E in questo essi riescono certamente, mostrando il valore profondo della riflessione attenta, che legittima le loro parole.
Ludwig Wittgenstein, che sul linguaggio ha fondato la filosofia analitica, ammoniva che di ciò di cui non si sa parlare, è meglio tacere. E l’ammonimento del filosofo austriaco è forse il motivo migliore per leggere questo dizionario, perché Bobbio, Matteucci e Pasquino sanno ciò di cui parlano.
Nell’epoca dell’inflazione di parole, questo è, più che mai, il presupposto di ogni autentico discorso di valore.
(da Giacomantonio, Letture su società e politica nell’età della globalizzazione. 90 recensioni per comprendere il mondo attuale, edito da goWare, Firenze, 2019, pp. 128-129)
Prima di andare
La biblioteca degli errori. Partendo dal concetto che la storia non ha insegnato e continua a non insegnare nulla ai professionisti della finanza come pure ai governanti, Russell Napier, egli stesso un professionista del settore, ha fondato a Edimburgo la “Library of Mistakes”, una biblioteca a tema che raccoglie volumi e documenti di storia finanziaria. Edimburgo sembra essere davvero la sede ideale di un’istituzione del genere dopo che la Royal National Bank of Scotland, assurta in modo un po’ fraudolento dal quasi niente alla banca con la quinta maggiore capitalizzazione del comparto, è stata seppellita della crisi finanziaria del 2007-2008. Biblioteche simili stanno aprendo a Pune in India, Losanna in Svizzera e Londra. Dio sa quanto bisogno ci sia di robe di questo tipo.
Marx in Giappone. In Giappone una nuova ondata di libri guarda al malessere globale attraverso il prisma di Marx nel quale si vede un geniale il filosofo della decrescita. Il saggio più venduto in Giappone è infatti Prima del diluvio: Marx e il metabolismo planetario del filosofo Kohei Saito. C’è pure un manga (a fumetti) il quale racconta lo sfruttamento dei lavoratori in un lussuoso resort di montagna attraverso le categorie interpretativa del Capitale di Marx. Il pubblico al quale si rivolgono queste pubblicazioni è costituito da coloro che stanno subendo le conseguenze della disuguaglianza e della crisi ambientale e per i quali la decrescita è una realtà toccata con mano. «La generazione dei giapponesi sotto i 35 anni è la prima grande coorte della decrescita nel mondo delle nazioni ricche, «scrive il “Financial Times”. Dopo il Giappone chi può esserci? Facile.