di Maura Alfaroli
[16° e 17° ricetta della serie “Almeno una volta al mese, vai vegano!”]
Finora pubblicate:
1. Lasagne vegane ai broccoli e besciamella di cavolfiore
2. Hamburger di quinoa con insalata di cavolo viola e noci
3. Risotto alla barbabietola rossa, agrumi e nocciole
4. Frittata di ceci con gambi e foglie di barbabietola
5. Torta di pane con crema pasticciera vegana alle mele
6. La vignarola
7. Fusilli alla melanzana
8. Tofu con cipolle caramellate
9. Cous cous freddo di verdure
10. Lenticchie speziate
11. Polpette di lenticchie
12. Quasi una zuppa inglese
13. Farinata di cavolo nero e altre ricette con il cavolo nero
14. Finocchi gratinati e vellutata di finocchi e patate
15. Torta di cavolo romanesco e salsa saporita di gambi e foglie
16. Ragù scappato
17. Finto patè di fegatini
Buongiorno e buon inizio settimana.
Oggi torniamo con due ricette per recuperare il ritardo. A marzo, infatti, abbiamo dispensato la nostra Maura dalla consueta ricetta mensile. Per una semplice ragione: a un raduno pacifista, con raccolta di fondi, ha dovuto cucinare per più di 100 persone e ha preparato proprio i due piatti che vi proponiamo oggi.
Perciò sono più che sperimentati con tanto di lode che un cospicuo numero di partecipanti a quell’evento ha tributato al lavoro della nostra cuoca.
Non proprio tutti, forse, hanno odorato l’“inganno”, a fin di bene, che c’era in quello di cui si sono appetitosamente cibati. Non era facile indovinarlo tanto era ben camuffato. Eppure la nostra cuoca non è per niente incline alla finzione.
Stereotipi
Come non lo sono, in generale, i toscani, gente schietta e diretta. Sono assai poco versati nell’arte dell’apparenza e della circonlocuzione.
Anche Dante era così, se no sarebbe rimasto a Firenze invece di andare in quell’umido di Ravenna, una città, peraltro, affascinante e anche luogo scelto da Antonioni per uno dei suoi film più belli, Deserto Rosso (Chili, AppleTV), con una strepitosa Monica Vitti.
I toscani, oltre ad avere la lingua salata, sono anche eccessivamente orgogliosi e fieri. Hanno una storia importante, come abbiamo visto dalla folla venuta nei giorni di Pasqua. Un passato che però li ha un po’ imbalsamati, come viene fuori dall’ormai opera buffa dello stadio Franchi.
Se c’è qualcosa che i toscani tendono proprio a mascherare e a non esibire affatto è la condizione di indigenza che per lungo tempo ha afflitto la regione, soprattutto nelle campagne.
Oggi non c’è più indigenza in Toscana. Il reddito pro capite è superiore alla media europea. Però una certa povertà diffusa c’è stata fino al boom economico degli anni Sessanta. E un’impronta nel comportamento l’ha lasciata.
Apparenza senza inganno
Su questa condizione sociale la gente ha steso una sorta di “velo di Maia” dell’apparenza che ha trovato espressione specialmente nell’abbigliamento e nel cibo particolarmente delle famiglie in stato di difficoltà.
Per esempio mia madre mi diceva sempre “su, vestiti perbenino” quando mi preparava per andare a trovare i cugini ben più benestanti, con i quali non aveva una grande intesa.
La carne sulla tavola era un lusso e anche un segno di una certa posizione nello scalone sociale. Allora non c’era ancora l’ascensore.
Questo modo di sentire spiega anche l’origine dei piatti di oggi i quali, fuori da questo contesto, non avrebbero tanto senso. Perché altrimenti fare un ragù di finta carne o dei crostini truccati? Oggi è sicuramente à la page, ma al tempo aveva uno scopo preciso, quello di sentirsi inclusi.
Essere a proprio agio è cruciale e pertanto qualche innocente espediente è ammesso anche dal confessore. Non tutti sono come il severo dispensatore di assoluzioni che si vede nel recente L’isola degli spiriti (Disney+).
L’esempio preclaro dei monaci buddisti
Quando nella impervia regione del Tibet una persona si presentava a un monastero per rifocillarsi, i monaci lo accoglievano e gli servivano un bel pasto. Come atto di rispetto e di inclusione non volevano servirgli due “cicoriette in croce” dell’orto, ma un cibo che l’appagasse e nel quale si riconoscesse pienamente.
Siccome la regola buddista vietava assolutamente le carni, i cuochi del monastero preparavano dei piatti, che oggi chiameremmo a base vegetale. Questi cibi avevano in tutto e per tutto l’aspetto e il sapore della carne. Ho letto che il “pollo simulato” aveva addirittura i puntoni che generalmente rimangono sulla pelle anche dopo la cottura.
Se non ci credete, quando siete a New York, cenate al Vegan Paradise o al Go Zen a due passi da Washington Square, nel Greenwich Village. Il menu neanche simula l’offerta culinaria. Si parla di pollo, anatra, roast beef e via dicendo. Tutto cucinato con ingredienti di origine vegetale.
I cuochi monaci del Tibet erano dei maghi della finzione, ma erano in missione per una causa nobile ed elevata: far sentire tutti a proprio agio senza offendere alcunché, né la loro regola, né il palato dell’ospite.
Un principio che oggi si tende a smarrire in molti ambiti, ma che è basilare.
Anche nella finzione può esserci un mondo di affetti
Nella copertina ho collocato un fotogramma della Vita è bella di Roberto Benigni (Netflix e Disney+). Tre Oscar al film italiano con il più alto incasso di sempre, oltre 200 milioni di euro. Si possono dire molte cose su questo film a quasi 25 anni di distanza.
Oggi può anche risultare inguardabile per l’eccessiva melassa, come qualcuno sostiene echeggiando anche il severo giudizio coevo al film di Mario Monicelli: “una mascalzonata”.
L’idea del film è comunque quella di stendere una sorta di “benigno” velo di Maia su una realtà, quella davvero terrificante, così da farla apparire altro con la consapevolezza però che quella realtà esiste in tutta la sua durezza.
“So che non è vero, ma è bello che tu me lo dica” è una delle battute finali di uno dei più riusciti e commoventi film di Sorrentino, There must be a place (Now TV).
Anche quello che appare oggettivamente non credibile, cioè il riferire a Cheyenne di essere stato amato dal padre, può contenere un mondo di affetti e di sostegno che può aiutare a rendere più accettabile il dolore, anche se accettabile non lo è. La finzione “gentile” viene spesso in soccorso alla vita.
Fortunatamente il nostro post non ha niente della gravità dei paragrafi precedenti, anzi è leggerissimo come i piatti che la nostra Maura ci propone per questo mese. È leggerissimo anche perché non c’è sopraffazione. Sono solo verdurine dell’orto.
Ragù scappato o finto
Ingredienti per 4 -6 persone
200 gr. di cipolle
60 gr. di sedano
70 gr. di carote
1 rametto di rosmarino
4-5 foglie di salvia
1 ciuffo di prezzemolo
1 foglia di alloro
Timo
1/2 bicchiere di vino rosso
40 gr. di concentrato di pomodoro
300 gr. di pelati
Olio Evo
Sale e pepe
Peperoncino se piace
Preparazione
Tritate tutte le verdure e le erbe aromatiche, tranne l’alloro che lascerete intero. In un largo tegame mettete 3-4 cucchiai di olio, aggiungete il trito e fate rosolare bene. Aggiungete il vino e fatelo ritirare, quindi a seguire il concentrato di pomodoro e poi i pelati schiacciati (oppure polpa o passata). Allungate con dell’acqua, aggiungete sale, pepe e peperoncino se vi piace e fate cuocere molto lentamente per circa un’ora.
Potete usarlo per condire qualsiasi tipo di pasta.
Finto paté di fegatini
Ingredienti per circa 500 grammi di paté
100 gr. di lenticchie
100 gr. di cipolla
50 gr. di carota
15 gr. di concentrato di pomodoro
70 gr. di capperi dissalati
1/2 foglio di alga nori
Olio Evo
Sale e pepe
Preparazione
In un tegame mettete 2-3 cucchiai di olio e il trito di cipolla e carota, fate rosolare pochi minuti, aggiungete le lenticchie e fatele insaporire. Mettete la quantità di acqua che servirà per portare le lenticchie a cottura facendo in modo che alla fine l’abbiano assorbita tutta (in genere una parte di lenticchie due di acqua). A fine cottura frullate il tutto, più o meno grossolanamente a seconda dei gusti, insieme ai capperi e l’alga nori. L’alga serve a ricordare un po’ il gusto della pasta di acciughe usata nella vera ricetta del paté.
Rimettete tutto sul fuoco, aggiungete il concentrato di pomodoro e un po’ di acqua, salate e pepate. Fate cuocere molto lentamente per circa 20 minuti o comunque fino a quando avrà raggiunto la consistenza desiderata.
Usatelo per preparare dei crostini da servire come antipasto.
Abbinamento Vino
Non potremmo fare altrimenti che abbinare un vino toscano (Valdarno Inferiore) dal carattere particolare, il "Ciliegiolo" della Fattoria di Caspri, Montevarchi (AR). Si tratta di un vino biodinamico molto piacevole al bicchiere, con profumi di spezie che ben si accordano con il piatto proposto e con la sua natura "toscana". Un vino dotato di freschezza ed equilibrio anche nel contributo del tannino.
Prima di andare
Mangiarotti alla Triennale. “Angelo Mangiarotti. Quando le strutture prendono forma” è una mostra alla Triennale di Milano che mi pare imperdibile. È stata ideata da Renzo Piano, grande ammiratore dell’architetto milanese. Non c’è molto tempo per andarci, chiude il 23 aprile. Speriamo che la proroghino così potrò visitarla anch’io. Ricordo che quando ero a Milano e passavo da via Gavirate (zona San Siro), non lontano dal nostro ufficio, rimanevo senza parole di fronte ai tre edifici siamesi a forma di cilindro con finestre a tutto piano che il Mangiarotti con Bruno Morassutti aveva progettato e qualche “pazzo” aveva costruito. Questo architetto, designer e urbanista schivo e appartato, fuori dal mainstream anche politico, non ha ancora ricevuto in Italia il riconoscimento che merita e che invece gli viene tributato all’estero come dimostra l’attenzione che il “Financial Times” dedica alla mostra.
I paesi più “vegetariani”. Il Good Food Institute Europe (GFI), una ONG che aiuta a costruire un sistema alimentare alternativo alla carne, ha diffuso i risultati di uno studio sul consumo di prodotti di origine vegetale e sul valore di questa industria. Guardate questo grafico che mostra la spesa pro capite in cibo di origine vegetale in Europa. L’Italia va piuttosto bene, è a metà classifica. Guardate dove sta la Francia! Beh!, quando andate a Parigi e chiedete se hanno qualcosa di vegetariano, servono un piatto di patate scondite e fredde.